DISCLAIMER Questo blog non rappresenta una testata giornalistica poiché viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Le immagini pubblicate sono quasi tutte tratte da internet e quindi valutate di pubblico dominio: qualora il loro uso violasse diritti d’autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione. L'autore dichiara inoltre di non essere responsabile per i commenti inseriti nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di persone terze non sono da attribuirsi all'autore, nemmeno se il commento viene espresso in forma anonima o criptata.

Juve, il nuovo obiettivo è Lahm


E ora caccia al terzino sinistro, ur­genza legata ai problemi di salute di Molinaro. Cobolli Gigli ha garantito: la Juventus ha ancora soldi in cassa da investire sul mercato. Bisogna, allora, provare a coprire una casella, anche perché, nel frattempo, il nuovo modulo impo­sto dall’arrivo di Diego non obbliga più alla ri­cerca di un esterno di centrocampo ( il vice­Nedved, tanto per in­tenderci; peraltro il ce­co potrebbe ancora pro­lungare di un anno la sua attività di servizio).
De Ceglie quando è stato chiamato in causa il suo dovere lo ha fatto sino in fondo ma è evidente che il modulo con il rombo di centrocampo impone un salto di qualità sulle corsie esterne, con la scelta di interpreti del ruolo in gra­do di fare tutta la fascia, bravi tanto nella fase difensiva che in quella offen­siva.
E qui nascono i problemi: il mer­cato non offre moltissimo anche per­ché i club che hanno atleti con quelle caratteristiche se li tengono.
Una soluzione ideale è Philipp Lahm. Obiettivo difficilissimo da raggiunge­re. In primo luogo perché il tedesco ve­ste la maglia del club più importante della Bundesliga, cioè il Bayern Mona­co. In secondo luogo perché essendo uno dei migliori interpreti del ruolo (se non il migliore) costa tanto: non meno di venti milioni di euro. Risulta diffici­le pensare che la Juventus dopo aver­ne spesi venticinque per Diego, possa essere disposta (o possa essere nelle condizioni) di spender­ne altrettanti per un terzino. Lahm, destro che gioca a sinistra, è nel pieno della maturità professionale (venticin­que anni) ed è legato al Bayern sino al 2012.
Ma il mondo dei ter­zini sinistri non si esau­risce con Lahm. Certo, lui è l’esatta sintesi tra età e qualità tecnico-tattiche (buona proprietà di palleggio, tempi di inserimento, capacità di sviluppare tutte e due le fasi). Eric Abidal, ad esempio, dal punto di vista anagrafico non è un grande investimento (veleg­gia verso i trent’anni), da quello delle qualità tecniche, però, non si discute. Stesso discorso vale per Patrice Evra, ventotto anni, un passato nel calcio ita­liano (non di primissimo piano) e una fama notevolmente cresciuta nella pa­rentesi (ancora in corso) inglese (col Manchester United ha vinto tutto).

Ibra e Kakà: tentazioni spagnole


Real e Barcellona. La Spagna cerca di destabilizzare il mercato italiano, provando a portare via gli elementi migliori, a cominciare da Ibrahimovic e Kakà. Iniziamo dai catalani, che insistono. Ibrahimovic è il loro obiettivo principale per la prossima stagione e non molla la presa con l'Inter. Con l'attaccante il Barça è pronto a pareggiare il contratto di Messi, il giocatore della squadra che guadagna di più: circa 8,5 milioni netti a stagione. E sarebbe disposto pure a spendere i 70 milioni, la valutazione data dall'Inter al suo attaccante. Cash, oppure inserendo nella trattativa Eto'o, anche se Mourinho preferirebbe Drogba. L'ivoriano infatti lascerà quasi sicuramente il Chelsea, che lo rimpiazzerà con Adebayor. A Madrid Florentino Perez vuole fare le cose in grande. Cristiano Ronaldo, Kakà e Ribery sono i suoi obiettivi per rilanciare il Real. E due su tre arriveranno. Il portoghese ha buonissime possibilità di cambiare maglia, così per l'altro posto è affare tra il francese ed il brasiliano.

In Italia si scatena il mercato degli attaccanti. La Fiorentina ha trovato il suo vice Gilardino, prendendo Hernan Crespo da svincolato. L'accordo prevede un contratto da circa un milione di euro, più premi ed incentivi a seconda dei gol e degli obiettivi raggiunti. Ancora non è chiara invece la durata, annuale oppure biennale.

Crespo era un obiettivo della Lazio, che a questo punto si getta su un altro giocatore in orbita Inter: David Suazo, quest'anno in prestito al Benfica, ma sempre di proprietà della società nerazzurra. Molto probabilmente dalla Lazio se ne andrà Goran Pandev, che ha molte richieste in Italia e all'estero: tra queste, Juventus e Atletico Madrid. Più defilato a questo punto il Bayern Monaco, che in quel ruolo ha preso Olic dall'Amburgo. Ma per convincere Lotito servono almeno 12 milioni, visto che il contratto dell'attaccante con la Lazio scade nel giugno 2010.

Il Napoli punta dritto su Cigarini: vicino l'accordo con il Parma, che detiene la metà del cartellino del centrocampista, si parla di una cifra intorno ai 5 milioni, ancora distante quello con l'Atalanta, proprietaria della seconda metà. Si è parlato in queste ore di un possibile ritorno in Italia di Ujfalusi, alla Juventus. Categorico il suo commento: "Ma siete pazzi? Non andrei mai alla Juventus. A Madrid mi trovo benissimo e poi i tifosi della Fiorentina non me la perdonerebbero". Zuniga del Siena, oltre che alla società viola, piace pure al Palermo.

Mai contraddire Berlusconi

Che Berlusconi sia un uomo di calcio e anche con intuizioni notevoli (Sacchi, Capello, Ancelotti stesso etc) e un patrimonio che può permettersi parecchi capricci - nel 2008 il Milan ha sfiorato i 67 milioni di passivo... -, è un dato di fatto. Che sia infallibile, no. In particolare ha una notevole predisposizione per attribuirsi il merito delle vittorie e attribuire agli altri le sconfitte. Che anche al Milan possono capitare. Posto che sia una sconfitta arrivare secondi in campionato...

Segue anche una strada, Silvio Berlusconi, talmente personale da mettere seriamente in difficoltà il suo stesso staff, ormai chiaramente orientato verso il tentativo di trattenere a tutti i costi Ancelotti. Almeno avvertisse prima... Ha il vizietto infatti, come uno Zamparini qualsiasi, di dire ogni volta l'ultima - magari davanti a un gruppo di turisti come ha rivelato Repubblica - e soprattutto l'irresistibile pallino di lontanissimo allenatore dell'Edilnord, per cui esiste sempre uno schema o una tattica migliore che avrebbe evitato l'ultimo scivolone. Su tutti: l'Italia perde la finale degli Europei 2000? Sarebbe bastato far marcare a uomo Zidane. Il Milan ha vinto a Manchester la Champions League? Fu lui a scrivere schemi, marcature e perfino sostituzioni su foglietti miracolosi poi finiti nelle mani - e in un libro - di Vespa.

Ci si illude così di un Milan sempre perfetto e invincibile: anzi tra i soprannomi quasi ufficiali della squadra che tanto ha vinto c'è anche quello di "Invincibili". Le squadre di calcio di Berlusconi, in assoluto, sono costruite per vincere sempre e non perdere mai. E invece qualche volta può capitare che siano costruite a capocchia, forse anche per il ghiribizzo del suo leadear, e che un Ronaldinho - sponsorizzatissimo dal presidente, ma non dal resto del Milan - scopra che il miglior posto sia in panchina. Ancelotti, l'allenatore più buono e bravo della terra, ci ha messo parecchio tempo e la pazienza di Giobbe per farlo. E a tornare così a una squadra fatta di "testa sua". Veramente imperdonabile.

Di Fabrizio Bocca per la Repubblica

Milito all'Inter, Motta pure


Diego Milito giocherà nell'Inter nella prossima stagione. Il centravanti argentino del Genoa dovrebbe arrivare in queste ore a Milano per firmare il contratto con la società nerazzurra. L'Inter pensa anche all'altro gioiello del Genoa, il centrocampista italo-brasiliano Thiago Motta: la trattativa dovrebbe essere definita a fine campionato.

ACQUAFRESCA AL GENOA - Il cartellino di Milito, che il presidente del Genoa Preziosi aveva acquistato dal Saragozza per 12 milioni, sarà pagato da Moratti 20 milioni più la comproprietà di Acquafresca, attaccante del Cagliari e dell'Under 21, del quale l'Inter riscatterà a sua volta la comproprietà dal presdente cagliaritano Cellino. Il Genoa avrà il diritto di riscatto su Acquafresca. La società rossoblù, quinta in classiofica e tuttora in cvorsa per la Champions con la Fiorentina, ha già ingaggiato per l'attacco anche il centravanti dell'Atalanta Floccari.

Crespo alla Fiorentina!

Scriviamo quest'articolo di getto, mossi da un prurito irrefrenabile, pochi minuti dopo quello che sembra il primo acquisto ufficiale della Fiorentina 2009-2010. Qualcuno, fra i tifosi viola più attenti, si ricorderà di quando il Parma, nell'estate del 1997, offriva 50 miliardi della vecchie lire più Crespo, in cambio del cartellino di Gabriel Batistuta. Oggi, a distanza di 12 anni, sembra concretizzarsi un acquisto che, personalmente, ritengo ancora valido, ma c'è da mangiarsi le mani se ripensiamo all'affare sfumato in quella calda estate. Facciamo un passo indietro: va in scena l'ennesimo tira e molla fra Batistuta e Cecchi Gori e questa sembra davvero la volta buona che Bati-gol se ne possa andare da Firenze. E' appena finita l'era Ranieri, allenatore al quale l'argentino era legatissimo, sta per arrivare Alberto Malesani dal Chievo, poco più che un Carneade, e le sirene del mercato suonano incessanti alle orecchie di Gabriel e del suo procuratore Settimio Aloisio. In ballo c'era il famoso "ritocchino", ovvero un nuovo contratto annacquato di qualche miliardo per convincere il bomber a restare. Cecchi Gori, però, in quella che possiamo definire, allora, una lucida follia, resisteva e, al momento in cui Batistuta si rese conto che anche quell'anno avrebbe fatto ritorno in riva all'Arno, per lui si parlò addirittura di crisi isteriche e piedi battuti per terra (alla stregua di una bambino bizzoso). Il resto della storia è noto: il ritocchino arriverà, con lui arriverà anche Malesani che in breve tempo conquisterà l'intero spogliatoio con la forza delle idee, ed a chiudere il cerchio arriverà la tripletta di Udine, alla prima giornata del torneo 97-98, che sistemerà definitivamente le cose.

Ma torniamo a Crespo. L'argentino (classe 1975) giunge in Italia al Parma di Ancelotti, provenienza River Plate, nell'estate 1996. Nel primo anno subito 27 presenze e 12 gol alla tenera età di 21 anni. Al termine di quel campionato viene formalizzata la mega offerta alla Fiorentina con i ducali che, all'epoca, potevano contare sulla forza economica (vera o presunta) della famiglia Tanzi. Ripetiamo: 50 miliardi più Crespo per il cartellino di Batistuta. Qualcuno dirà...ma Batistuta era Batistuta, il più grande centravanti del mondo, colui che scalzerà Hamrin dal trono dei marcatori viola di ogni tempo. Rispettiamo ogni opinione ma noi lo scambio (con il bonus di 50 miliardi, ricordiamolo ancora una volta...) lo avremmo fatto. Hernan, comunque, non arriverà mai, anzi...tre anni dopo se ne andrà alla Lazio dove vincerà uno scudetto e la classifica cannonieri nel 2000-2001 con 26 reti. Quindi due parentesi al Chelsea (Londra, Inghilterra) con il quale vince la Premier League nel 2005-2006. Nel mezzo una breve parentesi al Milan (2004-2005) e con i rossoneri farà in tempo a giocare e perdere incredibilmente una finale di Champions League, ad Istambul, contro il Liverpool (si, proprio quella persa ai rigori passando dal 3-0 al 3-3, dopo che lo stesso Crespo nei tempi regolamentari aveva segnato una doppietta). Quindi l'esperienza all'Inter dove vincerà due supercoppe italiane nel 2006 e nel 2008, due scudetti dal 2006 al 2008, in attesa del terzo di quest'anno. Totale: 277 partite disputate in Italia, 137 reti realizzate, praticamente in tutte le maniere. Crespo sa tirare di destro, di sinistro, è forte di testa, è opportunista, è deciso ma non cattivo, è forte in acrobazia, è estroso (segna gol anche di tacco, e ce lo ricordiamo bene nella finale di ritorno di una Coppa Italia, il 5 maggio 1999, giocata e persa, al "Franchi" contro il Parma (guarda un pò) di Malesani, con l'1-1 dell'andata ed il 2-2 del ritorno). Insomma Crespo è fatto per il gol, è un professionista esemplare, ed ha grandissima esperienza internazionale. Ah, dimenticavamo...Hernan ha disputato 64 partite con la nazionale argentina segnando ben 35 gol. Se vi pare poco... Controindicazioni? Crespo ha 34 anni, e qualcosa sicuramente pagherà all'età non più verde, ma l'argentino è una scommessa che vale la pena di giocare.
Il gran finale è dedicato al suo palmares: 2 campionati argentini (River Plate 1993, 1994), 1 Premier League (Chelsea 2005-2006) 3 Campionati italiani (Inter 2007, 2008, 2009), 1 coppa Italia (Parma 1999) 5 Supercoppe Italiane (Parma 99', Lazio 2000, Milan 2004, Inter 2006, 2008) 1 coppa Uefa (Parma 98'-99').

Una Coppa che vale tanto


Una Coppa per dare un significato completamente diverso alla stagione. E' quello che si augurano Lazio e Sampdoria, impegnate domani sera allo stadio Olimpico nella finale di Coppa Italia. Competizione spesso snobbata, ma che diventa fondamentale per due squadre che hanno vissuto di alti e bassi in questa stagione, e vogliono chiudere con un trofeo.
 
TANTE MOTIVAZIONI - La Lazio poi, se la gioca in casa e, dopo le ultime delusioni in campionato ci tiene particolarmente a vincere davanti al proprio pubblico. Ci tiene il tecnico Delio Rossi il cui futuro in biancoceleste resta in dubbio e che, in qualche modo 'coronerebbe' così il suo ciclo alla Lazio, e ci tengono squadra e tifosi, che 'scucirebbero' la coccarda della Coppa ai 'cugini' della Roma. I biancocelesti sono reduci dal ko interno con l'Udinese in campionato, ma per domani recuperano Goran Pandev che potrebbe fare coppia in attacco con l'argentino Zarate, con capitan Rocchi che partirebbe così dalla panchina. Dall'altra parte c'è una Samp intenzionata a riportare la Coppa Italia a Genova dopo quindici anni e regalare un trofeo a una tifoseria che in questa stagione ha sofferto per il super-campionato dei rivali cittadini del Genoa. Anche il tecnico Mazzarri viene dato in partenza ma, per ora, l'allenatore ha tutta l'intenzione di chiudere in bellezza. Mazzarri ritiene che i blucerchiati partano sfavoriti perché si gioca all'Olimpico, ma ha dalla sua il 'genio' di Cassano, uno che si esalta in certe situazioni. E' una Coppa Italia che conta molto, quindi, e si annuncia una finale deicisamente& combattuta.

LE PROBABILI FORMAZIONI - Queste le probabili formazioni di Lazio-Sampdoria:
Lazio (4-4-2): 86 Muslera, 2 Lichtsteiner, 13 Siviglia, 22 Rozehnal, 3 Kolarov, 5 Brocchi, 6 Dabo, 24 Ledesma, 18 Foggia, 10 Zarate, 19 Pandev. (1 Carrizo, 29 De Silvestri, 32 Radu, 23 Meghni, 11 Mauri, 81 Del Nero, 18 Rocchi). All.: Rossi.
Sampdoria (3-5-2): 1 Castellazzi, 16 Campagnaro, 6 Lucchini, 5 Accardi, 84 Raggi, 21 Sammarco, 17 Palombo, 19 Franceschini, 46 Pieri, 99 Cassano, 10 Pazzini. (83 Mirante, 28 Gastaldello, 3 Ziegler, 20 Padalino, 88 Dessena, 23 Stankevicius, 89 Marilungo). All.: Mazzarri.
Arbitro: Rosetti di Torino.

Giallo Diego: Juve o Bayern?


Giallo Diego. Con due annunci differenti il centrocampista brasiliano si ritrova in due squadre diverse: nel pomeriggio l'agente annuncia che con la Juventus è tutto fatto, che le tre parti, società bianconera, giocatore e Werder hanno firmato il contratto e fornisce cifre e date. In serata esce allo scoperto il padre del giocatore che dice: "Abbiamo firmato con il Bayer Monaco".
Giacomo Petralito, agente che cura gli interessi di Diego Ribas, ribadisce che il 24enne talento brasiliano del Werder Brema ha già siglato un contratto con la Juventus. "Le 3 parti coinvolte (Juventus, Werder Brema e il giocatore, ndr) hanno firmato i contratti", dice al magazine 'Kicker'. Secondo le dichiarazioni di Petralito, l'accordo è stato concluso mercoled' scorso dopo una riunione di 10 ore a Brema. Per la Juventus, come ha detto l'agente, erano presenti l'amministratore delegato Jean-Claude Blanc e il direttore sportivo Alessio Secco. Il cartellino del giocatore, si legge su Kicker, è stato valutato 24,5 milioni di euro. Diego avrebbe sottoscritto con la Juventus un contratto quinquennale da circa 4 milioni a stagione.
Il padre di Diego, Djair da Cunha, sostiene di aver raggiunto un accordo con il Bayern Monaco e lo racconta al tabloid tedesco Bild. Il giornale riporta, nella sua edizione online, che c'è un "accordo con il Bayern" e che adesso "è solo questione di fissare l'ammontare della cifra" da pagare al Werder Brema.
La Bild "è venuta a conoscenza di un incontro segreto, avvenuto martedì scorso, tra il club e il padre e consigliere di Diego", durante il quale sono stati "chiariti" i punti principali del contratto.
Adesso "manca solo un accordo tra il Werder Bremen e l'Fc Bayern sul costo del cartellino del giocatore - sottolinea il tabloid - Si parla di una somma tra 25 e 30 milioni di euro".

Juve, scelta fatta: Gasperini

La Juve ha scelto il suo futuro: Gian Piero Gasperi­ni. Resta ancora da convincere John El­kann, che ha un debole per Spalletti, ma la decisione ormai è stata presa. Se l’In­gegnere, come lo chiama Ranieri, non si impunterà, la squadra sarà consegnata all’allenatore del Genoa, che risponde all’identikit del perfetto uomo di casa juventina. Perché non solo ha il merito di far giocare bene i suoi calciatori. Ma ha anche personalità e ca­pacità manageriali - Preziosi lo ha so­prannominato Gasperson perché somi­glia a Ferguson nel modo di lavorare - ol­tre a uno stile affabile e accattivante, che con gli Agnelli fa sempre colpo. In più ha un vantaggio rispetto ad altri concorren­ti: conosce benissimo l’ambiente, avendo lavorato per molti anni nel settore giova­nile dove ha tirato su tanti ragazzi di ta­lento (vincendo un torneo di Viareggio) e ha lasciato un ottimo ricordo a un prezio­so consulente del mondo Juve, Marcello Lippi, che era alla guida della prima squadra mentre Gasperini studiava da grande tecnico.

Berlusconi: "Colpa di Ancelotti"


"E' tutta colpa di Ancelotti". Qualcosa si deve essere proprio rotto tra Silvio Berlusconi e il tecnico. Anche con l'allenatore del Milan sembra esserci aria di divorzio. E già, perché altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui ieri sera, a Sharm el Sheik, davanti ad un gruppetto di turisti italiani il premier si sia lasciato andar ad un lungo sfogo contro l'allenatore rossonero. Accuse e recriminazioni con tanto di spiegazioni tattiche. Sorseggiando un aperitivo in riva alla piscina del Resort Domina Coral Bay, il Cavaliere ha prima salutato i concittadini con una battuta sulle recenti polemiche legate alla seperazione da Veronica ("questa volta, come vedete, non mi sono portato le veline") e subito dopo è partito alla carica contro Ancelotti. Il premier è in Egitto per un vertice con Mubarak, ma il pari con la Juve non è stato ancora digerito. "Se quest'anno non abbiamo vinto lo scudetto è solo colpa di Ancelotti", è stato il suo primo affondo senza nemmeno una attenuante. Dopo il 2 a 2 dell'Inter con il Chievo, aveva sperato in una rincorsa dell'ultima ora. Ma il pari agguantato da Iaquinta ha fatto dissolvere anche le ultime speranze berlusconiane. A suo giudizio, allora, la "colpa" è di Ancelotti perché " con gli uomini che ha il Milan, noi potevamo tranquillamente tenere testa all'Inter". Parole che, lette alla luce di quel che sta avvenendo in casa Milan, assumono un significato ulteriore. Ieri, infatti, il tecnico ha ricordato di essere "blindato fino al 2010" dal contratto che lo lega al team rossonero. Si sa però che il Chelsea ha fatto un offerta di 5 milioni l'anno fino al 2013. E con Abramovich c'è un accordo. Il Milan in questi giorni ha rilanciato: 3,5 milioni netti all'anno fino 2012. E Carletto ha preso tempo. Ma è una situazione che al Cavaliere non piace. Così prima del vertice ufficiale con Mubarak ha quasi voluto liberarsi di un peso. E via allo sfogo. Ogni tanto una pausa. I lumini che circondavano la piscina andavano via via spegnendosi. Nel frattempo a tavola tutto era pronto per la cena. Il bicchiere con il prosecco si è alzato per un altro brindisi. Qualche barzelletta sui cugini nerazzurri e sull'Inter, poi Berlusconi ha ripreso la sua requisitoria. Ha continuato a parlare dell'annata sfortunata della sua squadra. Con i turisti italiani sempre più interessati, ha fornito anche le sue idee sul gioco della squadra. "Molte volte - ha ricordato - abbiamo davvero sbagliato la tattica. Noi abbiamo tanti calciatori bravissimo nel palleggio, sono dei gran palleggiatori e allora dovevamo puntare su questo. E invece abbiamo fatto il contrario". Un richiamo allo scarso ricorso a schemi più offensivi. Alla necessità di un uso più frequente di Ronaldinho? Sta di fatto che se l'è presa pure con la difesa: "Troppe volte abbiamo preso gol nella parte finale della partita". Insomma, per dirla con una sola frase, "se abbiamo perso lo scudetto, è solo colpa di Ancelotti".

Primo match point: perso

L'Inter non chiude la questione scudetto: lascia pareggiare un ottimo Chievo (2-2) con il sempre verde Luciano e rimanda di una settimana le feste. Ma il Milan sa non sa approffitarne e si fa bloccare in casa dalla Juventus. In area Champions si avvantaggia una Fiorentina ancora in fiato in questo finale: perentorio due a zero a Catania con una rete per tempo. I viola, ora, hanno tre punti su un Genoa affaticato. I rossoblù hanno salvato al 90', con Criscito, una gara con l'Atalanta (1-1) di cui non sono mai riusciti a trovare il controllo. In zona Uefa pareggio nervoso della Roma a Cagliari, con gli ospiti che segnano il 2-2 finale nonostante un giocatore cagliaritano a terra. Malvagio Palermo, che non profitta di nulla facendosi beffare dal miglior Siena della sua storia. Nella lotta per non retrocedere un rigore a 5' dalla fine tiene a galla il Bologna: pareggio di Di Vaio contro il diretto concorrente Torino che mantiene i rossoblù solo un punto sotto i granata, a quota 31. A 29 punti si appiglia il Lecce, che pareggia in casa con il Napoli meritando la vittoria.
Al 9' Valdes va in contropiede sull'asse di manovra Floccari-Padoin: destro in scivolata dentro l'area e vantaggio dell'Atalanta. Floccari rischia il raddoppio, ma batte male a terra e Rubinho salva di piede. Nel finale del primo tempo Milito manca una doppia occasione in contropiede. L'Atalanta raddoppia le marcature di forza e ha più corsa. Il Genoa, dopo l'exploit del derby, riprende un trend di fine stagione in declino fisico. Nella ripresa i rossoblù spingono, cosa evitata per tutto il primo tempo, ma si espongono al contropiede di un Floccari - prossimo genoano - scatenato. Al 32' se la mangia Jankovic dentro l'area, ma questo Genoa va in avanti per abitudine, non per convinzione. Al 90', però, arriva il pari di Criscito ed è un regalo del solito Milito: acrobazia in area che spiazza Consigli e Criscito la spinge in rete a porta vuota.
La Roma gioca meglio, in generale. Ma non incide, non mette pressione. Al 34' Matri, con una girata di testa piedi a terra, ha messo in cassaforte la rete che fa sognare ai sardi la possibilità di disputare la Coppa Uefa. Reazione giallorossa: da fuori Pizarro, poi un anticipo sotto porta su De Rossi. Nella ripresa due errori consecutivi dei difensori romanisti regalano il 2-0 ad Aquafresca, ma lì scatta la reazione rabbiosa. 18' Totti raccoglie una deviazione in area, mette a terra, salta Marchetti e accorcia. Viene annullato un gol al vecchio Montella, che riprende una respinta su punizione di Marchetti: non c'era fuorigioco dell'attaccante, ma di tre compagni. E poi arriva Perrotta al 23', scarica di destro appena dentro l'area: 2-2 e parte la rissa. Già. Totti contro Daniele Conti, figlio di Bruno. Il gol era stato costruito con un giocatore del Cagliari a terra e il capitano della Roma non ha buttato via la palla nonostante le braccia alzate dei cagliaritani. Ancora Jeda, a meno dieci minuti: non riesce a tirare né a provare un pallonetto in un contropiede solo da trasformare.
Al 12' Jovetic potente da fuori, ed è il vantaggio che inchioda il Catania ai suoi limiti. Per i padroni di casa Giacomo Tedesco fa tutto bene, poi, davanti a Frey, la mette inspiegabilmente fuori. Vargas sfiora il raddoppio, che siamo già nella ripresa, e legittima un finale di stagione, da centrocampista, in crescendo. E a sua volta la Fiorentina legittima il risultato con Montolivo da fuori (deviazione in angolo) e una sforbiciata plastica ma innocua di Gilardino. Uno stato di forma da gran finale, per la Fiorentina. E infatti arriva il raddoppio di Zauri, primo gol di stagione: girata in area a porta spalancata. La Champions è lì davanti.
Crespo su tap in su tiro di Cambiasso: vantaggio dopo soli 3 minuti. E poi da fuori Marcolin al 27': siluro dritto e forte nell'angolo con Julio Cesar immobile. Gioca meglio il Chievo, ma nella ripresa, un Inter senza Ibrahimovic, prova a chiudere la questione scudetto senza farcela. E al 20' Balotelli fa il prezzo del biglietto: palla che rimbalza larga in area, di prima intenzione collo pieno e fulminante. Piattone di Luciano, libero, su cross di Mantovani, ed è 2-2.
Al 31' Inacio Pià controlla al limite dell'area e, dentro di quattro passi, batte basso di sinistro: vantaggio Napoli. Rigore al 43', mani di Cannavaro su tiro di Munari. E Zanchetta segna con paura, rasoterra il cui angolo viene individuato, solo individuato, da Navarro. Pareggio. Definitivo. Navarro salva due volte nel finale. Poi Tiribocchi coglie una traversa piena.
Noia, tanti errori, e poche emozioni. Eppure la sfida tra la seconda e la terza forza del campionato, tra il Milan che ancora poteva tentare di riaprire il campionato e far soffrire l'Inter e una Juventus che deve difendere il terzo posto dall'attacco della Fiorentina. Un primo tempo dove non è accaduto nulla con Kalac e Buffon semplici spettatori. Un po' più animata la ripresa. Prima va in vantaggio il Millan che riparte in contropiede dopo una punizione dal limite dell'area battuta dalla Juve: la palla è ribattuta dalla barriera. Pirlo lancia subito Indaghi che s'infila nella sguarnita difesa juventina, aspetta Ambrosini che colpisce male la palla in area ma serve a Seedorf un assist d'oro a pochi passi dalla porta: uno scherzo battere Buffon. Passano pochi minuti e la Juventus pareggia: cross dalla destra, s'avventa Iaquinta che brucia Flamini e di testa supera Kalac. La partita finisce qui.
Al 12' della ripresa Calaiò salta il difensore in area e manda avanti il Siena. Quasi nulla prima, quasi nulla dopo. Basta per certificare il miglior campionato del Siena e l'inconsistenza di un Palermo che rallenta a un passo dalla Coppa Uefa.
E al 36' Rosina concretizza su rigore, fallo dubbio di Castellini su Rubin, la lunga supremazia fin lì espressa. Raddoppio negato a Dzemaili per un fuorigioco netto dopo tiro parato di Bianchi. Al 40' st Di Vaio realizza il giusto rigore fischiato per il fallo di Calderoni in uscita su Osvaldo, fortunato nel controllo della palla.
C'è solo Zarate in questa Lazio di fine stagione, che lascia il campo all'Udinese e ai guizzi dei suoi talentuosi attaccanti. Bel vantaggio di Rocchi, girata potente a inizio della ripresa. Ma poi dilagano Floro Flores, bell'attaccante chiuso da troppi compagni forti, una punizione di D'Agostino, vicino alla convocazione in nazionale e il rigore finale di Quagliarella.
Diluvio Samp, che usa la Reggina per preparare la partita dell'anno: la finale di Coppa Italia, mercoledì, contro la Lazio. E getta alle spalle una stagione di campionato sotto tono e con la doppia sconfitta nei derby. Due tiri belli e potenti di Dessena poi il terzo gol di Delvecchio. Così va via il primo tempo. Poi segna il terzo gol dell'anno il Primavera Pazzini, alla seconda partita vera. E Pazzini undicesimo gol personale.

Bari, il trionfo del gioco


“Eravamo partiti con l’obiettivo primario di riportare la gente al San Nicola. Far tornare l’entusiasmo in una città delusa da tante amare stagioni. Con il passare delle giornate, ci siamo resi conto che potevamo puntare in alto il mirino delle ambizioni. Ed ora ci godiamo la festa. Abbiamo meritato questa promozione, più di tutte le altre squadre. Con il gioco”.
campionato di testa — Antonio Conte è più che mai impettito, orgoglioso, dopo aver conquistato il suo primo alloro da tecnico. Del resto, a giusta ragione, i tifosi del Bari lo ritengono il principale artefice di questa indimenticabile annata. Dai tempi di Eugenio Fascetti e di Antonio Cassano, otto anni fa, la città di San Nicola non assaporava il nettare dei grandi del calcio. Un’impresa riuscita grazie alla marcia trionfale di Barreto e soci, capaci di strapazzare la concorrenza, restando ininterrottamente in testa alla classifica dal 28 febbraio. Risultati a gogò, 10 vittorie esterne, una striscia positiva lunga 16 turni (interrotta dal Parma al San Nicola). Il segreto? La forza di un gruppo di lavoro, che ha organizzato il tutto nei minimi particolari. Conte e i suoi fidati collaboratori, su tutti il preparatore atletico GianPiero Ventrone, non hanno lasciato alcunché al caso.
Raccogliendo frutti copiosi da un modulo tattico assai offensivo (a tutti gli effetti un 4–2–4), che ha esaltato le doti realizzative di Vitor Barreto (20 gol), ma che non ha mai trascurato la fase difensiva (miglior difesa della B, con 28 reti al passivo). “E’ stata un’impresa straordinaria – confida il 39enne tecnico -. Non so se stiamo vivendo un sogno o se siamo su “Scherzi a parte”.
MARCATO BIS — "Vero è che si è rivelato importantissimo il mercato bis. Quando ci siamo accorti di poter inseguire il traguardo più ambizioso, abbiamo ingaggiato i vari Guberti, Kutuzov e Lanzafame. E da quel momento non ci siamo più fermati”. Il momento decisivo? “Ce ne sono stati tanti – risponde Conte -. Anche se la vittoria di Modena contro il Sassuolo (3 – 1, ndr.), per il modo perentorio in cui l’abbiamo ottenuta, ci ha convinto di aver intrapreso la strada giusta”. A far girare la giostra a dovere, le ambizioni mai sopite della società guidata da Vincenzo Matarrese, al timone del Bari dal 1983, nonchè la competenza di un navigato stratega di mercato, Giorgio Perinetti. Una sola nuvola aleggia nel cielo radioso del Bari: il serio rischio che, dopo la grande impresa realizzata con i suoi uomini, Antonio Conte saluti presto la compagnia.
CONTE E I CORTEGGIATORI — Le lusinghe ed i corteggiamenti (Juventus, Atalanta o Lazio) non gli mancano. Nei prossimi giorni toccherà al presidente Matarrese il compito, non agevole, di convincerlo a debuttare in serie A sulla panchina biancorossa. Facile intuire l’alternativa: senza lo spavaldo tecnico salentino, il Bari dovrebbe ricominciare da zero. Sia pur sui verdissimi prati della serie A.

Futuri campioni


Non c'è ancora un portiere e non c'è neppure un libero, nella nazionale esordienti. In compenso ci sono sei centravanti e, più in generale, il ruolo dell'attaccante è coperto in ogni zona del campo. E' la stagione dei ragazzi che s'affacciano alla serie A, la 2008-2009, quella in cui finalmente diversi allenatori italiani - Ranieri, Mazzarri, Del Neri - sulla scia di Mourinho hanno preso coraggio e lanciato in campo i diciottenni cresciuti a casa. Vivaddio. Undici ragazzi in serie A, fin qui, e un paio hanno pure segnato.

La nazionale dei ragazzini esordienti, dicevamo, manca di un portiere, ma Vincenzo Fiorillo è a un soffio dal battesimo. Due volte in panchina con la Sampdoria, una terza volta in Coppa Uefa. Buffon lo ha benedetto come il suo erede e in questo finale di stagione senza più obiettivi di campionato, Coppa Italia a parte, l'allenatore Mazzarri potrebbe mostrarlo allo stadio Ferraris. Più difficile, sull'altro versante genovese, l'esordio di Andrea Signorini figlio del compianto Gianluca, come il padre centrale di difesa potente e sagace. Anche Signorini junior è andato due volte in panchina in prima squadra, ma la volata del Genoa per la Champions League impedirà a Gasperini esperimenti, che pure sarebbero nelle sue corde.

Di Davide Santon, adulto di 18 anni, si sa tutto. Lo schieriamo esterno basso a destra, come ogni tanto fa il suo mentore, José Mourinho, che nell'Inter lo ha usato nelle occasioni più complesse, sempre ripagato: contro il Milan, in casa e fuori con il Manchester United, contro Roma e Fiorentina. La Roma di suo ha fatto giocare a sinistra il terzino Alessandro Crescenzi, otto minuti a Marassi con la Sampdoria. E' titolare nella nazionale Under 19, ha un fisico che si nota e sa giocare con entrambi i piedi, cosa che aiuta.

Nel Milan dei talentuosi brontosauri esordì in serie A, era il 2006, il difensore Matteo Darmian. Non aveva 18 anni. Quest'anno è leader e capitano della Primavera e sta tornando ai palcoscenici di vertice. Ne ha giocate tre con la prima squadra, settanta minuti in tutto: Udinese, Lazio e con il Torino si è preso il lusso di sostituire Paolo Maldini. Claudio Ranieri, poi, ha avuto l'ambizione di far esordire nella Juventus tre ventenni. Lorenzo Ariaudo, anche lui terzino, anche lui prevalentemente mancino, è alla Juve dall'età di nove anni. Ha giocato, e bene, tutta la partita all'Olimpico con la Lazio , poi mezz'ora nel derby e maluccio come il resto della squadra il 2-2 in casa della Reggina. Ha fatto apparizioni nella fase iniziale della Champions League e in Coppa Italia, nel frattempo ha vinto il Torneo di Viareggio. E' nel giro della nazionale Under 21 e, a prescindere dal futuro di Ranieri, lui è già il futuro della Juventus.

Passando al reparto di centrocampo, da segnalare due casi. Ha giocato nella prima fase Champions della Juve, Luca Castiglia, regista che aveva saggiato la serie A l'anno scorso. E nel Milan, che domenica scorsa ha vinto facile a Catania, ha provato due minuti di serie A l'ultimo prodotto brasiliano: Felipe Mattioni, centrocampista di 20 anni, acquistato a gennaio dal Gremio e per volontà di Galliani da valorizzare.

Poi c'è la lunga lista degli attaccanti, razza italiana che non si estingue. Ancora Juventus. Il centravanti Ciro Immobile, napoletano largo un armadio: contro il Bologna ha sostituito, solo per farlo rifiatare, Alessandro Del Piero. In Europa e in Coppa Italia Ranieri ha schierato, poi, l'attaccante di fascia Simone Esposito.

Prima punta di vaglia, e lui ha lasciato il segno con due gol, è Guido Marilungo, appena maggiorenne, già cinque partite in campionato e il debutto dal primo minuto - con il Cagliari a Marassi, 3-3 - bagnato dai due gol di testa. Non è il suo colpo preferito, ma gli assist di Cassano aiutano una crescita a diventar completa. Marilungo è stato il miglior giocatore dell'ultimo Torneo di Viareggio e, dice il ds Marotta, dirigente con lo sguardo lungo, "è un ragazzo intelligente, capace tatticamente, ha tutto per fare una grande carriera".

Nel Cagliari ha esordito un attaccante potente come Daniele Ragatzu. Prima il Torino, poi la Fiorentina, partita in cui ha segnato lenendo la sconfitta (2-1). Domenica scorsa, nel naufragio di Palermo, un altro scampolo di gara. Ragatzu è del settembre 1991, è cresciuto in un quartiere complicato di Cagliari ed è caratterialmente infiammabile. Il Chelsea lo ha insidiato, ma intorno a lui il presidente Cellino vuole crescere una storia alla Zola.

La crisi economica sta aiutando i giovani: i presidenti chiedono più coraggio ai loro allenatori nel lanciarli. Nell'Atalanta, erede di una lunga tradizione giovanile, ha già giocato due gare il centravanti della Primavera, Simone Zaza. Nella Lazio, sabato sera a San Siro, ha fatto il suo esordio Libor Kozak, 20 anni. Lotito lo ha acquistato per 1,2 milioni dopo un provino andato male al Portsmouth. Attaccante della Repubblica Ceca, nella Primavera biancoceleste ha fatto sette gol. E anche il disastrato Torino di Urbano Cairo, in passato il migliore settore giovanile del calcio italiano, ogni tanto torna a mostrare pezzi preziosi. Denis D'Onofrio , classe 1989, è nato a Gruglisco ed è un centravanti cresciuto in casa. Nelle ultime quattro stagioni, dagli Allievi nazionali in poi, ha segnato 70 reti. Sei le ha fatte all'ultimo Viareggio e sei tutte insieme nel campionato Primavera contro il Grosseto. Il suo esordio domenica scorsa, a Firenze, con sconfitta. Al 27' della ripresa D'Onofrio ha sostituito Dzemaili e ha avuto la sfortuna di farsi fischiare un fuorigioco sul gol del pareggio di Franceschini. Succede, non bisogna demoralizzarsi.

Valzer di attaccanti


Sono le squadre più grandi d' Europa. Quelle più quotate e più titolate. Eppure quasi tutte queste il prossimo anno potrebbero cambiare il punto cardine del gioco, il centravanti. O comunque un attaccante. Basti che se ne sposti uno. Il resto sarà una catena che si muoverà di conseguenza. Con tanti, tantissimi soldi in ballo.

LA PARTENZA DI TREZEGUET - Cominciamo con le fresche dichiarazioni di Antonio Caliendo, procuratore di David Trezeguet, rilasciate a Radio Kiss Kiss stamani: "Sono abituato a parlare solo dopo il mercato, ma facendo delle ipotesi c'è da dire che non ci sono grandi possibilità che Trezeguet resti alla Juve, visti i rapporti che si sono instaurati in quest' ultimo periodo. Per concludere direi che ne dobbiamo riparlare tra due settimane e vedere un po', anche d' accordo con la società, che interessi e intenzioni ci siano da entrambe le parti". E per lui si parla già di un possibile ritorno in Francia, al Marsiglia, dove ritroverebbe Didier Deschamps come allenatore. Ma non c'è solo il Marsiglia. Perché anche il Barcellona nel recente passato ha spesso chiesto notizie dell'attaccante francese.

ANCHE ETO'O SUL MERCATO -
Tra l'altro proprio il Barcellona rientra nella lista di squadre che potrebbero cambiare centravanti. Samuel Eto' o, che a dir la verità in questo periodo è spesso sul mercato, ma poi alla fine è sempre rimasto in Catalogna, potrebbe cambiare aria. Il Manchester City lo vuole, anche se il presidente del Barcellona Joan Laporta ha dichiarato: "Una trattativa col City? Non ho mai discusso del trasferimento di Eto'o con loro. Non è una questione di soldi. Il Barcellona non è un club che vende, noi i giocatori li compriamo".

IL CASO IBRAHIMOVIC - Poi c'è sempre l' Italia, con Milan ed Inter alla porta. Già, l'Inter. E la grana Ibrahimovic. Per lo svedese si è parlato proprio del Barcellona, magari con uno scambio, più conguaglio, con lo stesso Eto' o. Ma su Ibra c'è pure il Real Madrid, sempre più pressante. Comunque sia c'è da pagare uno stipendio da 12 milioni netti l' anno. Ma intanto Moratti pensa con grande insistenza a Milito.
Il Chelsea stasera si gioca l' accesso alla finale di Champions League con il Barcellona, ma c'è ancora il dilemma Didier Drogba in agguato. Eduardo Garcia, uno dei candidati alla presidenza del Real Madrid, ha dichiarato di avere già raggiunto un accordo per portare l' attaccante in Spagna. Difficile al momento capire quanto possa reale la sua affermazione oppure rientrare nelle classiche sparate da campagna elettorale. Fatto sta che Drogba è uno che piace a molti.

PARTE ADEBAYOR -
All' Arsenal c'è Adebayor. Ci sono buone probabilità che il giocatore lasci la formazione allenata da Wenger. Anche per lui il Milan ha sempre nutrito un grande interesse, ma le richieste più pressanti al momento sono arrivate da Spagna e Inghilterra. Il Manchester United, primo finalista di Champions League, dovrà sostituire Carlos Tevez, che se ne andrà quasi sicuramente. A proposito, per l'argentino si è parlato spesso dell' Inter. Ferguson, senza Tevez, dovrà così trovare un altro attaccante. E un nome potrebbe essere quello di Karim Benzema, punta del Lione, il cui valore si aggira intorno ai 25 milioni. Ma Benzema potrebbe interessare pure il Real Madrid, che in questa fase di ristrutturazione è pronto a buttarsi su ogni obiettivo possibile. Il Bayern Monaco non ha problemi con il centravanti, visto che Luca Toni rimarrà quasi sicuramente. Però c'è Ribery, che potrebbe andare via. Il Manchester United guarda gli sviluppi della situazione con attenzione, ma l'operazione è legata alla trattativa che potrebbe portare Cristiano Ronaldo al Real. Insomma, tutti alla ricerca di un attaccante. Solo il Liverpool, al momento, sembra escluso.

E mentre c'è grande fermento sulle panchine italiane, pure all' estero sta già iniziando a muoversi qualcosa. Marco Van Basten ha dato le dimissioni dall' Ajax, mentre Felix Magath ha annunciato che a fine campionato lascerà il Wolfsburg, attualmente al comando della Bundesliga, per andare allo Schalke 04.

Manchester, razza padrona


La razza padrona del calcio moderno ha il volto shakespeariano di Sir Alex Ferguson, l'uomo dalle gote arrossate degne di Falstaff, in lotta perenne con la pensione e con una moglie incombente che già tre anni fa tentò invano di scollarlo dall'adorata panchina. La razza padrona ha le fattezze creole di un giovane portoghese di Madeira, che vola sopra le disgrazie degli avversari pur essendo stato lui ad averle provocate. Ha la fisionomia di un ex moccioso della periferia di Liverpool, con le orecchie a sventola e due occhi azzurri piccoli e infossati che lo fanno sembrare una specie di husky, uno che fra pochi mesi diventerà padre dopo aver saputo crescere come uomo e come calciatore sino a diventare campione su entrambi i fronti: centravanti o terzino per lui non fa più così tanta differenza.

Il Manchester che parte per Roma non è una squadra nata ieri. E' la somma di tante primavere, di ragazzini cresciuti sino a diventare un modello per chi li seguiva. La catena inizia con Pallister, Bruce, Sharpe, Cantona, Kanchelsky, Hughes, Schmeichel, Neville, si abbelisce con Beckham, Giggs e Butt, balla con i Calypso Boys (Cole e Yorke), si fa concreta e cinica con Sheringham e Solskjaer e lentamente comincia a vincere tutto, con l'aiuto di O'Shea, Wes Brown, Park, nomi di seconda, terza fascia, sino a prendersi due finali di Champions consecutive, la seconda dopo aver già vinto la prima. Anche le terze fasce sono fondamentali.

Se Ferguson è l'uomo che non sa smettere, se è lui l'instabile capitano che non ha ancora trovato un motivo accettabile per abbandonare la nave, i suoi figli, allevati alla stessa cultura, gli restituiscono quanto appreso sui banchi di scuola di Carrington (il campo d'allenamento) e dell'Old Trafford. La gomma americana che Ferguson si infila in bocca all'inizio di ogni partita è il punto di raccordo, il senso più profondo e allungato di questa emozione fanciullesca e infinita. La password. Ha ragione Desailly. Dalle colonne del "Newsweek" l'ex-Milan e ex-Chelsea scrive: "E' un falso storico pensare che i giocatori moderni pensano soltanto ai soldi. Saranno una decina in tutto. Gli altri vivono per giocare". Vero. Ogni volta che il Manchester segna un gol il suo tecnico salta per aria uscendo dal cappotto, muovendo scompostamente, quasi senza ritmo, le braccia verso l'alto, agitanto i pugni come se fosse sempre la prima volta, come se ogni volta fosse una sorpresa: proprio come un bambino. Quest'uomo, questo fanciullino di quasi 70 anni, comanda il calcio dal 1992. In 17 anni ha vinto come cinque allenatori di grido messi insieme.

Un capolavoro di esperimenti e valorizzazioni, acquisti strabilianti (Berbatov) o minimi (Park) e cessioni roboanti o inevitabili, con qualche errore, per esempio Veron, e qualche atroce sacrificio, per esempio Van Nistelrooy. Col suo scozzese smozzicato ha trasformato Tevez in un filosofo e Macheda in una specie di golden boy, ha conquistato la sua terza finale di Champions, la seconda consecutiva. Ferguson non è un allenatore, né un manager nel senso più classico del termine. E' piuttosto un inventore. Ha creato dal nulla una generazione di calciatori: la razza padrona, appunto. Che è per sua natura senza età, senza un colore della pelle prevalente, non ci sono né alti né bassi, né giovani né vecchi. Il filo rosso, rosso diavolo, che unisce e compatta un gruppo come questo, e che quindi rende possibile esperienze come quella del Manchester United, è la condivisione di un sentire.

Trenta uomini accomunati da un senso del dovere che si fonde con la creatività individuale, nel nome del lavoro e della qualità. Una percezione collettiva del calcio. Berbatov che si mette al servizio di Welbeck. Neville che spinge perché al suo posto giochi Rafael. Scholes che sostiene Anderson e Giggs che va a prendere Macheda all'aeroporto. Questo si chiama squadra. Una squadra che possiamo allargare ai frequentatori dello stadio, 76 mila posti, sempre pieno, e ai padroni del club, la famiglia Glazer, con a capo il quasi ottantenne Malcolm Glazer, milionario americano che lotta, si indebita, sbaglia. E che all'inizio venne quasi rigettato dalla città.

Anche così si fa quadrato: non caricando di responsabilità un gruppo benché il deficit societario (797 mln di euro) oltrepassi ormai le entrate (550 mln), pur essendo queste le più alte mai raggiunte da un club. Tutto questo sbandare dei conti non impedisce tuttavia di sognare un ampliamento dello stadio (è già qualcosa di più concreto di un sogno): da 77 mila a 95 posti. Nella crisi le grandi imprese investono. O se non altro non restano ferme.

Con queste fantastiche premesse sportive, ma senza dimenticare i suoi fardelli debitori, il Manchester può riconfermarsi campione d'Europa, cosa mai accaduta da 15 anni a questa parte, ossia da quando l'Uefa ha cancellato la Coppa dei Campioni in favore della più democratica Champions League, che è anche la coppa delle seconde, delle terze e in certi casi delle quarte.
Il Manchester va a Roma perché forte, scaltro, geniale, compatto, vitale, pieno di piedi, polmoni, coraggio, entusiasmo. Fra poche ore conoscerà il nome dell'avversaria. Fosse il Chelsea, sarebbe la prima volta che una finale si ripete a distanza di un anno, con l'unica variante della città che la ospita (Mosca, Roma). Fosse il Barça, sarebbe certamente la finale più giusta per i valori espressi nell'arco della stagione. Il Manchester può dunque rivincere la Coppa. L'ultimo a trionfare per due volte consecutive (era ancora il tempo dei tabelloni ristretti) fu il Milan di Sacchi ('89/'90). Ci riuscirono anche il Nottingham Forest, ora tristemente declassato a squadretta, il Liverpool di Keegan, l'Inter di Angelo Moratti e il Benfica di Eusebio. Il Bayern e l'Ajax fecero addirittura tripletta. Il Real dominò le prime cinque edizioni. Altri tempi, altri soldi. Ma non necessariamente un calcio migliore.
Fonte La Repubblica

Roma, Spalletti lascia

Busta numero uno: di­missioni. Busta numero due: eso­nero. Busta numero tre: rescissio­ne consensuale del contratto. Non c’è nessun premio in palio, ma queste, oggi, sono le risposte pos­sibili a un’eventuale domanda sul futuro di Luciano Spalletti sulla panchina della Roma, come da contratto peraltro, visto che c’è un accordo che lega l’allenatore toscano al club giallorossi sino al trenta giugno del 2011. Perché, comunque la si rigiri, alla luce dell’incredibile accelerazione dei fatti delle ultime settimane, oggi co­me oggi appare francamente im­possibile che il ma­trimonio tra l’alle­natore che ha rico­struito la Roma dal­le macerie e la so­cietà possa conti­nuare.

SOROS - L’ultimo atto del botta e ri­sposta tra tecnico e società, è andato in scena domenica po­meriggio, nuova sa­la stampa del­l’Olimpico, subito dopo la conclusione della partita con Chievo, cominciata e finita tra i fischi di una tifoseria al limi­te della sopportazione. «Tutti tira­no in ballo i soldi... lo ha fatto an­che la dottoressa Sensi con il co­municato dopo Firenze, se ci sono in ballo i soldi, li lascio, dal mio punto di vista questo problema non esiste... Lo scorso anno mi hanno anche detto di andare in conferenza stampa e dire che non c’era niente con Soros e poi fece­ro il comunicato in cui si sostene­va il contrario»: queste, in parti­colare la seconda, sono le dichia­razioni che alla proprietà non so­no piaciute per niente, soprattut­to quell’accenno alla vicenda So­ros sarà impossibile o quasi da far dimenticare, è considerato quasi come un tradimento, consideran­do che sui comunicati dell’epoca la società è convinta di aver detto il contrario. Eppure, volendo ri­manere ai comunicati, in partico­lare quello della dottoressa Sensi subito dopo la quaterna incassata sul campo della Fiorentina, nelle parole del presidente c’era stata, pur auspicando un ritorno allo Spalletti delle prime tre stagioni, un’esplicita conferma del tecnico. Conferma che pure ieri è trapela­ta da Trigoria. Anche se la sensa­zione, in questo momento, è quel­la di una società in attesa di di­missioni e un tecnico, al contra­rio, sempre in attesa, ma di esse­re messo alla porta. Chi farà il primo passo?

INCONTRO - Una risposta dovreb­be, potrebbe darcela l’incontro che, dicono, ci sarà questa setti­mana tra l’allenatore e la dotto­ressa Rosella Sensi. Spalletti lo ha posizionato alla fine della stagione, ma è probabile che ven­ga anticipato, pro­prio alla luce degli ultimi fatti, com­presi quelli di cam­po che ormai dico­no Champions del prossimo anno im­possibile, Europa League aggrappata alla speranza di una Roma in grado di fare la Roma nelle ultime quattro par­tite del campionato. Il tecnico, parole sue, ha detto chia­ramente di essere pronto a lascia­re i soldi che gli garantisce il suo contratto per le prossime due sta­gioni. Gli crediamo, semmai il problema da risolvere sarebbe quello dei contratti dei suoi colla­boratori, i vice Marco Domenichi­ni e Aurelio Andreazzoli, i prepa­ratori Paolo Bertelli e Luca Fran­ceschi, il preparatore dei portieri Adriano Bonaiuti, l’osservatore e non solo Daniele Baldini, stipendi che, sommati l’uno all’altro, fanno oltre un milione di euro lordo a stagione. Tutto, ma proprio tutto, potrebbe essere risolto dall’arrivo di un’offerta per Spalletti, offerta che per il momento non è arriva­ta. Ma potrebbe arrivare. Ieri, in­fatti, a Torino, sponda Juventus, con Claudio Ranieri travolto dagli ultimi risultati negativi, il nome di Spalletti come nuovo tecnico bianconero ha trovato sempre più riscontro. E, certo, se si dovesse materializzare, qualcosa potreb­be cambiare in maniera radicale. Se poi pure il Milan accelerasse sull’uomo di Certaldo, allora...
Fonte Corriere dello Sport

Napoli, Conti è tuo


Quando gli è stata prospettata l’ipotesi-Napoli, Daniele Conti non solo avrebbe sgranato gli occhi ma pare abbia raccolto l’invito anche con interesse e compiacimento. Tutto l’opposto di Floccari. Con­ti, pur legatissimo al Cagliari sul piano affet­tivo, aveva sognato fin da piccolo di giocare in due squadre soltanto: la Roma di papà Bruno, dove è cresciuto calcisticamente, ed il Napoli, appunto. Un giorno arrivò persino a chiedere al patron giallorosso Dino Viola: «Presidente, perchè non mi lascia andare al Napoli? Lì c’è Maradona, il mio mito» . Ed il Senatore gli mollò un paio di pizzicotti pri­ma di baciarlo sulle guance. Di recente, poi, il regista che a Cagliari è diventato una bandiera dopo dieci anni di onorata militanza e circa tre­cento presenze tra A e B (266) non ha nascosto le sue simpatie per la formazione azzurra: «Giocare al San Paolo fa sempre un certo ef­fetto. Ti dà una carica che non ritrovi in al­tri stadi», disse il 23 novembre scorso dopo aver obbligato il Napoli al primo pareggio casalingo della stagione, realizzando il gol del due a due in pieno recupero. Fu proprio lui ad interrompere una serie di successi in­terni che durava da sette mesi tra campiona­to e coppe. Conti ed il Napoli, il Napoli e Conti, un amore che parte da lontano, che prima o poi sarebbe dovuto sbocciare. Un segno del de­stino. Daniele ci ha provato anche con un paio di «dispetti»: la rete della vittoria-sal­vezza del Cagliari nello scorso campionato ed il bis al San Paolo sotto gli occhi dell’ex maestro Reja che festeggiava cento panchi­ne in A. Recentissimo l’ammiccamento, l’esplosio­ne del feeling, dopo averci provato con D’Agostino e finto un vago interessamento per Ledesma. Il Napoli aveva individuato in Daniele Conti l’elemento giusto per prende­re in mano le redini del Napoli e portarlo verso traguardi ambiziosi. Personalità, ca­rattere, mestiere e voglia di lasciare l’im­pronta in una grande piazza dopo aver fatto le fortune del Cagliari.

IL CONTRATTO - Conti, proprio a giugno scor­so, respingendo le sirene del Bayern Mona­co, del Celtic e del Palermo, decise di allun­gare il contratto con il Cagliari fino al 2011. Fu testimone papà Bruno di quel rinnovo di un connubio così felice e voluto da entram­bi. Ma non prima di aver ricevuto rassicura­zioni da Cellino che in caso di una chiamata importante si sarebbe trovata il modo per accontentare Daniele. La chiamata è arrivata. De Lau­rentiis e Marino sono decisi a metterlo a disposizione di Donadoni per il prossimo campionato. Ora resta da ve­rificare le pretese di Cellino, che intanto ieri ha blindato i suoi gioielli: «Smentisco qualsiasi tipo di trattativa che riguardi Daniele Conti o altri elementi della rosa. Nessun tesserato del Cagliari è in ven­dita. L'unico giocatore che lascerà la squa­dra il 30 giugno 2009 sarà Acquafresca».

Ibra, Buffon e Kakà: è addio


Tre storie differenti tra loro, ma che alla fine qualche punto di contatto lo hanno. Perché si parla di tre campioni, delle tre big del campionato e di tre bandiere nelle rispettive squadre. Ma che in tutti i casi a fine stagione potrebbero cambiare aria: Buffon, Ibrahimovic e Kakà. E un futuro tutto da decidere.
Gianluigi Buffon sta vivendo giorni di particolare insofferenza e l'intervista rilasciata a "L'Èquipe" è servita a confermarlo: "Ormai da sei mesi mi criticano, come se non potessi più permettermi di prendere un gol. Sì, ho un problema: non ho più diritto di subire ua rete". E pure la Juventus non considera più il suo portiere incedibile. Il problema semmai adesso è trovare un acquirente. La spaventosa offerta del novembre scorso del Manchester City, pronto ad investire su Buffon addirittura 75 milioni di euro, è ormai solo un lontano ricordo. Ultimamente si è fatto vivo solo il Tottenham, che però non si è spinto oltre i 20 milioni. Pochi, troppo pochi, visto che la società bianconera vuole recuperare dalla cessione del suo giocatore una cifra molto vicina ai 40 milioni. Che in pochi possono permettersi. E quelle poche che ci possono arrivare non hanno problemi in porta. Situazione in evoluzione.
Passiamo ad Ibrahimovic. L'attaccante sta facendo di tutto per rompere con l'Inter ed i suoi tifosi. Tra dichiarazioni di voler cambiare dopo cinque anni di Italia e gesti eloquenti rivolti al pubblico nerazzurro sabato scorso durante la gara con la Lazio, Ibra sta tirando la corda. Moratti non ne vuole sapere di cederlo. Ma di fronte ad un'offerta di almeno 70 milioni potrebbe pure vacillare. Richiesta che al momento potrebbe arrivare solo dalla Spagna, il campionato più gradito allo svedese. In prima battuta è stato il Barcellona a farsi avanti, potendo contare su una parziale contropartita tecnica come Eto'o. Più almeno 40 milioni cash. Ma adesso è il Real Madrid a farsi sotto. Florentino Perez ufficializzerà la sua candidatura alla presidenza del Real il prossimo 14 maggio. E in fase di elezioni presidenziali vengono sempre spesi nomi di giocatori importanti per accaparrarsi voti. Ibrahimovic è uno di questi.
E così arriviamo al terzo giocatore, Kakà. Anche lui rientra nei piani di Florentino Perez per la rifondazione del Real Madrid. Oppure ci può essere il Manchester United, nel caso in cui perdesse Cristiano Ronaldo. Per prendere il brasiliano servono però circa 80 milioni.
Chiudiamo infine con un punto della situazione sull'uomo del momento, Diego Milito. L'attaccante molto probabilmente a fine stagione lascerà il Genoa. L'unica possibilità per trattenerlo è che la squadra di Gasperini arrivi in Champions League. Ma il futuro dell'argentino pare proprio essere all'Inter. Anche se piace pure fuori dall'Italia. Con Preziosi che incasserà tra i 20 ed i 25 milioni.

Juve al capolinea


Fabio Cannavaro ha completato le visite mediche, cominciate domenica a Perugia e terminate stamattina di buon'ora a Torino alla Fornaca, la clinica di fiducia della Juventus. Dopo i test di ieri, oggi gli hanno scandagliato caviglie e ginocchia per capire, attraverso la risonanza magnetica, se oltre all'usura di un atleta che viaggia verso i 36 anni ci fossero problemi di altro genere. Pare che tutto sia andato molto bene e a questo punto il difensore del Real Madrid è ormai a tutti gli effetti un giocatore della Juventus, alla faccia della crescente contestazione che gli ultrà stanno organizzando nei suoi confronti. Stamane non ci sono state contestazioni, e d'altronde la società sta lavorando per placare tifosi sempre più inviperiti. Ma la nuova Juve, in un certo modo, è cominciata oggi.
I dirigenti continuano a starsene zitti, non si sa se per vergogna o per totale mancanza di argomenti. Ogni decisione sul futuro di Ranieri (futuro immediato: quello a lunga scadenza è già stato stabilito) è stata rinviata alla prossima settimana, quando nel corso del previsto cda, che dovrà servire non soltanto per organizzare le scadenze del divorzio dal tecnico, ma soprattutto per chiedere conto a Blanc e Cobolli Gigli di cosa diavolo stia accadendo a una squadra che s'è squagliata dopo che l'ad e il cittì della nazionale hanno condiviso una focaccia a Recco.
Martedì scorso, John Elkann ha salvato il lavoro dei suoi dirigenti, ma in consiglio d'amministrazione (dove la proprietà è rappresentata da Carlo Sant'Albano) si pretenderanno risposte approfondite e analisi specifiche, perché tutti sono sorpresi da come, a due anni di distanza, si stia riproponendo il medesimo copione che portò alla burrascosa separazione da Deschamps. Tra oggi e allora c'è una serie di analogie impressionante, ma anche una differenza sostanziale: il francese (che ha un carattere più impulsivo, rispetto al suo successore) presentò le dimissioni mentre Ranieri non ha intenzione di farlo, nonostante Blanc gli abbia rivolto calorosi inviti in tal senso. Pare che addirittura l'ad si sia arrabbiato molto quando il tecnico gli ha chiaramente fatto sapere di non voler rinunciare al contratto in scadenza nel giugno del 2010. Non è tanto una questione di soldi, anche perché Ranieri guadagna relativamente poco (circa un milione e 300 mila euro) e durante la carriera ha già monetizzato abbastanza, quanto di principio, perché l'allenatore non vuole fare sconti a una società che non lo ha mai veramente spalleggiato, lavorando piuttosto, e con notevole anticipo, per un futuro senza di lui. "Non sono legato a nessun carro, io corro da solo" ha detto Ranieri e in quella frase non si può non leggere un'allusione a quegli ambienti a cui la Juve continua a essere molto sensibile e che, molto genericamente, si possono definire moggiani. Una galassia attorno a cui orbitano Lippi, Conte, Ferrara. Tutti nomi papabili per la panchina della Juventus.
Domani, alla ripresa degli allenamenti, ci sarà il solito summit a Vinovo. Stavolta ci sarà anche qualcosa da chiarire all'interno della squadra, anche se la clamorosa lite nell'intervallo di Juventus-Lecce ha in qualche modo rafforzato l'immagine di Ranieri all'interno del gruppo ed emarginato Camoranesi, che ha punteggiato le ultime stagioni (compresa quella di serie B) con una serie intollerabile di insubordinazioni e scatti di nervi, senza che poi il rendimento in campo giustificasse tale arroganza. "Ci vuole più rispetto per giocatori di un certo spessore dopo otto anni di militanza alla Juventus - ha detto Sergio Fortunato, procuratore del giocatore - Per Camoranesi non ci saranno strascichi, ma lo si deve capire: ha giocato in un ruolo non suo ed aveva diritto ad un appello nel secondo tempo, giocando da esterno, come sa fare".
Intanto, il Milan si è allontanato mentre Fiorentina e Genoa si avvicinano. E i tifosi sono terrorizzati all'idea che domenica prossima non sarà Vives ma Beckham, non Tiribocchi ma Inzaghi, non Giacomazzi ma Kakà ad attentare alla pericolante porta di Buffon.

Ibra ma che vuoi?


Tra una settimana potrebbe essere scudetto: l'Inter di Mourinho e di Ibrahimovic è quasi giunta alla fine della sua corsa. E già questo è il punto fondamentale della questione, posto che ormai non c'è più alcun dubbio sul quarto titolo nerazzurro consecutivo. E' l'Inter di Mourinho o quella Ibrahimovic? Se dovessimo scegliere un leader unico di questa squadra, il suo marchio, il suo timbro identificativo diremmo l'Inter dell'allenatore showman portoghese o quella del fenomeno svedese?

L'acrobata Ibrahimovic - 28 anni ancora da compiere, atleta probabilmente al clou della sua carriera - si è preso tutto il finale dell'ultima recita: gol di classe e potenza insieme, un assist sopraffino e persino una rottura clamorosa con il pubblico che aveva cominciato a fischiarlo per il suo egoismo insistente sotto porta (e ci mancherebbe altro...). E probabilmente anche per le sue paturnie esternate recentemente, in quanto non propriamente convinto a restare ancora troppo a lungo nell'Inter. Dopo tanti anni e tanti scudetti (uno con la Juve revocato più due consecutivi e un altro in arrivo con l'Inter) vorrebbe un approdo più sicuro alla Champions League - unico trofeo che manca ancora al suo già ricco palmares - e magari un contratto ancora più ricco. Proprio quest'ultima pubblica uscita ha deluso e sconcertato Moratti che già paga al suo Zlatan un contratto da favola.

Ma non è nemmeno escluso, a questo punto, che si faccia muovere a compassione e conceda pure un ritocchino alla decina di milioni già concessi al fuoriclasse. Unico giocatore del panorama italiano (a parte Kakà forse...) in questo momento in grado di competere con lo star system del football internazionale: Cristiano Ronaldo e Messi in primis. Secondo Mourinho - giudizio di parte, ovviamente - Ibra è anche meglio di loro.

E' soprattutto dopo la partita contro la Lazio, che il marchio di Ibrahimovic si presenta quasi stampato a fuoco sulla pelle dell'Inter. Marchio probabilmente predominante rispetto a quello di Mourinho. Non per sminuire l'importanza e l'apporto del portoghese a questo quarto scudetto consecutivo che si va velocemente costruendo, ma i gol dello svedese sono stati determinanti. Nella partita di sabato sera a San Siro - prima del micidiale gol di Ibrahimovic: una bordata di destro a oltre 100 all'ora, arrivata dopo una finta che gli ha aperto lo specchio della porta (è qui il vero segreto del fuoriclasse) - l'Inter non c'era proprio.

Difettava in gioco, mostrava una manovra lenta e poco costruttiva, non riusciva a creare molte nonché efficaci occasioni. E anche dal punto di vista fisico, che è sempre stata il suo elemento distintivo, sembrava in netto calo rispetto alle giornate migliori e più travolgenti.

E' stato Ibrahimovic a tirarla fuori dalla palude, col suo 21° gol del campionato: un livello cui mai mai era giunto prima. E' stato Ibrahimovic a consegnarle lo scudetto in mano. Come aveva fatto l'anno prima a Parma, quando era rientrato proprio all'ultima giornata per partire dalla panchina, entrare e segnare i gol decisivi che avrebbero tenuto a distanza di sicurezza la Roma. E' addirittura un Ibrahimovic più forte e deciso dell'anno prima. E' stato lo stesso Mourinho ad ammetterlo: "Lo scorso anno Ibra è stato a lungo infortunato, in questa stagione invece è stato sempre bene".

Ibrahimovic in questa stagione ha giocato da unica punta o quasi, tutti gli altri intorno (da Balotelli, a Cruz, a Crespo per non parlare di Adriano) hanno praticamente fatto da comparsa. Gli hanno fatto da assistente. Ibrahimovic ha trascinato la squadra quando le punte intorno sono venute meno: Adriano si è autoescluso fino a decidere di abbandonare, follemente, una squadra ancora in grado di vincere moltissimo; Cruz non è mai entrato tra gli eletti di Mourinho, il quale lo considera indisciplinato tatticamente; Crespo, un attaccante ancora integro e in grado di dare molto nonostante l'età, è stato soltanto una riserva e per un lungo periodo addirittura riserva della riserva; Balotelli, giovane puledro di razza, dopo una partenza burrascosa è diventato il partner ideale di Ibra, ma deve ancora trovare un equilibrio psicologico che gli dia continuità. Ma tra Ibra e gli altri quest'anno c'è un vero abisso. Dopo i 21 gol dello svedese si precipita ai 6 di Balotelli. Già questo dato giustificherebbe da sola l'affermazione che l'Inter è una squadra Ibra-dipendente.

Ingaggiato nell'estate 2006 sfruttando il precipitare della Juventus in serie B e pagando 26 milioni (si dice che ora ne valga addirittura 100) alla società bianconera che non è mai riuscita a rimpiazzarlo efficacemente, nei suoi tre anni all'Inter Ibra è andato progressivamente aumentando il suo tesoro di gol. Quindici reti al primo campionato, diciassette al secondo e siamo già a ventuno al terzo, con possibilità di finire ancora più in alto (anche se domenica prossima a Verona contro il Chievo sarà fermo per squalifica). Con Mancini alla fine il rapporto si era molto logorato, il vecchio tecnico lo pungeva perché restava troppo fermo a causa dell'infortunio, i due non si amavano. Mourinho lo ha rimesso al centro del suo progetto: anzi a dir la verità, se si togliesse Ibrahimovic dal progetto-Mourinho non si sa bene che Inter sarebbe.

Il suo punto debole (ma anche quello di forza) è il caratteraccio: irascibile e litigioso Ibra si fa spesso saltare i nervi, rimedia ammonizioni inutili. Ma è lo stesso carattere che gli permette anche di pensare l'impossibile, di essere egoista e micidiale quanto serve.
Già con Ibrahimovic in formazione l'attacco dell'Inter, per fare un salto di qualità verso la Champions" ha bisogno di rinforzi. Senza di lui la ricostruzione dovrebbe essere totale e diventerebbe un fortissimo punto interrogativo. Ibra sogna la Champions e il Pallone d'Oro: farselo scappare prioprio ora che è al top della sua carriera, significherebbe ricominciare da capo.

Paradossalmente l'Inter potrebbe arrivare allo scudetto proprio nel match col Chievo, quando Ibra non ci sarà per squalifica. Sarebbe proprio un bello scherzo e tutto sommato ci vorrebbe un crollo del Milan, al momento non ipotizzabile. La festa potrebbe essere per il match in casa col Siena (anche lo scorso anno l'Inter doveva festeggiare col Siena, poi rimandò tutto all'ultima giornata...): un'occasione d'oro per riconciliarsi col pubblico dopo i fischi, i veleni, i gesti e i gestacci della partita di sabato sera. O anche l'occasione per darsi un clamoroso addio.
Fonte La Repubblica

Juve: no a Conte. Gasperini o Spalletti

Sembra che tutto stia accadendo un po' troppo tardi. Lippi che fa chiarezza con Blanc, tre settimane dopo aver spezzato con lui una focaccia. I giocatori che difendono Ranieri, con Buffon, Legrottaglie e Chiellini che giurano di essere tutti dalla stessa parte. Nel frattempo, però, la Juventus è precipitata in classifica, si è fatta contestare per l'acquisto di Cannavaro, ha scoperto il razzismo dei suoi tifosi, ha perso o pareggiato e mai vinto (l'ultimo successo è del 21 marzo, in casa della Roma, prima che il campionato si fermasse e che Blanc e Lippi si incontrassero), è uscita dalla Coppa Italia, è scivolata dal secondo al terzo posto e s'è lasciata sforacchiare da qualsiasi avversario: soltanto l'Inter ha segnato un solo gol a Buffon, mentre Chievo e Genoa gliene hanno fatti tre e Lazio e Reggina due.

Analizzando fatti e conseguenze, sembra che tutto sia dipeso da quell'incontro clandestino che ha squassato la Juve, scatenato voci e illazioni e, soprattutto, svelato un piano segreto che poi è andato a monte proprio quando è emerso alla superficie. Non a caso, Blanc ha dovuto chiedere scusa ai membri del comitato sportivo: se l'ha fatto, un motivo ci sarà. E se poi magari Lippi avesse spiattellato subito le sue verità, magari avrebbe interrotto la frana quando era soltanto un sassolino. E se i giocatori avessero difeso pubblicamente il loro allenatore prima che la classifica degenerasse, la Juventus non sarebbe stata travolta dalla crisi più acuta delle ultime settimane.
La sensazione è che ci si stia preoccupando di chiudere la stalla a buoi già ampiamente scappati. E il rimedio rischia di essere peggiore del male. Così, mentre Buffon semina dubbi suo futuro ("Vediamo come si muoverà la società, poi deciderò"), a Torino si parla ormai soltanto dell'eredità di Ranieri. Bruciata la pista Lippi, adesso sono in risalita le quotazioni di Gasperini, perché l'idea di Secco (Conte) non convince Elkann, che teme il rischio di affidarsi a un allenatore troppo giovane. Spalletti piace molto alla proprietà e molto meno (anzi, quasi niente) alla dirigenza, che sta tentando di indirizzare gli azionisti verso una figura più aderente alla loro politica: il romanista c'è il sospetto che non lo sia. Nel frattempo, Secco si è preso qualche giorno di vacanza ma dalla settimana prossima tornerà a lavorare per l'acquisto di Diego, un giocatore che, curiosamente, sarebbe difficilmente collocabile sia del 4-4-2 spinto di Conte sia nel 3-4-3 dinamico di Gasperini sia nel 4-4-2 più canonico di Ranieri. A Spalletti, invece, andrebbe a pennello.

Tags

Contattami

Name:
Email Address:

Free email forms