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Ecco perchè Adriano non verrà squalificato

Tosel vs Adriano capitolo secondo. Dopo il pugno a Gastaldello durante Inter-Sampdoria, costato 3 turni di stop, la prova-tv piomba nuovamente sull'attaccante brasiliano. Ieri il procuratore federale Stefano Palazzi ha segnalato al giudice sportivo il gol che ha sbloccato il derby milanese. Quel tocco col braccio che ha beffato Abbiati rientra nel novero degli episodi che meritano una valutazione supplementare.
Non era un atto dovuto, ma davanti al minimo dubbio la procura federale si è sempre comportata così, affidando al giudice sportivo la valutazione. Ma stavolta, siamo certi, le percentuali che arrivi una nuova squalifica sono vicine allo zero.

La volontarietà, per essere sanzionata con una squalifica, deve essere chiara e incontestabile. Ne sa qualcosa Gilardino che fu fermato per 2 giornate per il gol di mano al Palermo. Impossibile che la stessa sanzione sia applicata ad Adriano. Soprattutto se, come sembra, secondo Collina il gol di domenica sera è stato valutato correttamente da Rosetti e dal suo assistente Calcagno. La linea del designatore è che il primo tocco di Adriano con la testa "sani" la deviazione col braccio. Il secondo capitolo di Tosel-Adriano, dunque, ha già un vincitore scontato.

Juventus, Amauri: "Mi hanno usato"

Digiuno interrotto. Amauri ritrova il gol, primo del 2009. Il brasiliano era fermo al 21 dicembre scorso a Bergamo, ultima delle 11 reti realizzate dall’inizio di una stagione che si era avviata ed era proseguita nel segno di questo attaccante che difficilmente si affida alle cose banali. E anche ieri per celebrare il rientro nella classifica marcatori, ha scelto lo spettacolo. Il cross di Giovinco era millemetrico, la torsione di Amauri per girare il pallone di testa, è stata altrettanto spettacolare. Una rete utilissima per rimettere in carreggiata una partita nel segno della sfortuna. Ma anche degli errori, visto come è arrivato il vantaggio doriano di Pazzini. Amauri è l’opposto di Inzaghi e Trezeguet, due che vivono per il gol. Il brasiliano gioca tanto per sé quanto per la squadra: «Non mi interessa avere il nome nell’elenco dei marcatori. Mi dà la stessa soddisfazione aiutare la squadra. Il gol è l’aiuto massimo che un attaccante possa garantire, tuttavia ci sono tanti modi di essere utile». Lui conosce i più svariati. Basta vedere gli ettari di prato che occupa spostandosi dovunque capisca che l’azione può avere uno sviluppo. «E se sono lontano dalla porta ma riesco a mettere un compagno in condizioni di segnare, sono contento lo stesso».

Ieri dopo il gol ha scelto un modo originale di esultare. Vietato lo spogliarello per non incorrere nelle disavventure di Iaquinta, Amauri ha spazzolato la maglia e ne spiega il significato: «E’ stato un gesto simbolico per dire che mi ero tolto di dosso la sfortuna che ormai mi impediva di segnare da troppo tempo. Una rete importante visto che stavamo perdendo. Ma la Juve deve ancora migliorare. I pali e le traverse sono un’attenuante validissima, però serve maggior cattiveria in attacco come in difesa. Credo sempre che lo scudetto sia possibile». Insomma, non è andato tutto così bene come ha voluto far credere Ranieri parlando di Juve che ha giocato «un’ottima partita». Pali o non pali la Juve dovrebbe avere i mezzi per battere una Sampdoria in piena emergenza difensiva. E ora la trasferta di Palermo diventa un altro snodo cruciale. Amauri è già proiettato verso la sfida contro gli ex compagni: «In Sicilia mi hanno lanciato, ma adesso io devo fare il mio lavoro per la Juve e se anche a quella maglia mi lega un profondo affetto, farò esattamente quello che Ranieri si aspetta da me».

E’ ormai destino che non riesca a evitare le solite domande sulla Nazionale. Italia o Brasile la speranza per lui e per tutti noi è che qualcosa succeda in tempi brevi. In attesa di un passaporto che di questo passo arriverà quando Amauri avrà la sciatica e i dolori reumatici della vecchiaia imminente, all’attaccante juventino non restano molti argomenti di discussione. Di sicuro tutto il rumore che si è fatto per la mancata convocazione da parte di Dunga per l’amichevole contro l’Italia, gli ha dato parecchio fastidio: «Non alimentiamo più polemiche. Hanno speculato sul mio nome e questo non mi è piaciuto. Alla fine voglio vedere cosa succederà quando arriverà una convocazione vera o da Lippi, o da Dunga. Infatti la Juve mi ha impedito di giocare contro gli azzurri, ma intanto il ct brasiliano aveva depennato il mio nome. Sono conteso e questo è un motivo di orgoglio». 



Fonte La Stampa

Napoli, quanti guai all'orizzonte

Anche contro il Bologna, il Napoli ha compiuto l'ennesimo passo indietro della sua travagliata stagione, finendo per confermare le perplessità che io stesso ed altri colleghi avevamo espresso in tempi non sospetti. Sono rimasti ormai in pochi a difendere il fortino azzurro, e chi lo fa è più spinto dalla convenienza che dalla convinzione. D'altra parte i numeri parlano chiaro, chiarissimo, esprimono i problemi di un mercato fallimentare, orchestrato da una società senza capo né coda, oltre ad essere l'ennesima conferma della pochezza di un tecnico puramente aziendalista, condannato dalla sua incapacità di imporsi al cospetto della società.
Trentasei giorni dall'ultima vittoria, dieci reti subite nel ritorno rispetto alle diciotto al passivo con le quali si era concluso l'intero girone di andata. Dodici punti nelle ultime tredici partite: al giro di boa, il Napoli è in perfetta media retrocessione, ed è meglio stendere un velo pietoso sui giocatori che avrebbero dovuto fare la differenza.
Denis non segna da 549 minuti, Rinaudo non perde occasione per palesare la sua mediocre statura tecnica, soprattutto in relazione all'ingente investimento fatto (6,3 milioni) per strapparlo al Palermo. Era arrivato come sostituto di Domizzi, mentre i rosanero lo hanno rimpiazzato con l'ottimo danese Kjaer. Domanda scontata: chi ci ha rimesso? La risposta lo è altrettanto.

Si è poi visto, finalmente, anche Datolo. Premettiamo che è presto per giudicarlo, troppo pochi i 4 allenamenti alle spalle, troppo lungo da smaltire il jetlag del viaggio da Buenos Aires a Napoli. Azzardando però un primo giudizio, appare chiaro come l'ex Boca non potrà mai essere il sostituto di Mannini, o dello stesso Vitale. Jesus ha buona tecnica, ottimo piede, farà tanti assist, ma con il frangiflutti che serve agli azzurri ha ben poco da spartire.
A proposito di ciò, manderei volentieri agli amici di Tmw, la cassetta con le dichiarazioni che Reja ha rilasciato a Canale 34, emittente campana con la quale collaboro da diversi lustri. Il tecnico goriziano ha candidamente ammesso di non sapere nulla di Datolo, affermando di necessitare di almeno 5 o 6 partite per iniziare ad inquadrarlo. Al nostro mister chiedo allora perché lo ha accettato, perché non si è imposto? Chi è causa del suo mal...
Mi rivolgo poi, ai tifosi delusi ed amareggiati quanto lo sono io, domandando loro se uno come Panucci avrebbe potuto fare male alla disastrosa retroguardia capitolata contro il Bologna, o se ancora in un panorama desolante come l'attacco napoletano un bomber di razza, seppur d'annata come Crespo sarebbe davvero stato di troppo...
Passando alla società, non si può non prendere atto del fallimento del progetto estivo di Marino. Il ds azzurro, che in passano ho tante volte e con merito lodato, per puntare su Denis ha rinunciato a gente come Floccari, ha ritenuto troppo oneroso l'eventuale investimento per Diego Milito prima che si accasasse al Genoa. Per non parlare dell'offerta degli agenti di Pazzini rispedite al mittente nel corso del mercato di gennaio, particolari impossibili da smentire perché confermati dallo stesso Tiberio Cavalleri, agente dell'ex centravanti viola, nel corso di un'intervista telefonica su Radio Kiss Kiss.
Stesso discorso se si parla del centrocampo; pur di puntare sul pur inesauribile motorino Gargano, si è rinunciato ad investire su un giovane di grande classe e sicuro avvenire come Cigarini, un regista classico che in una squadra come il Napoli, che si affida più alle giocate del singolo che al gioco corale (solo Sacchi affermò di poter fare a meno del regista, dichiarando di averne in squadra ben 10) sarebbe stato accolto come la manna dal cielo.
Ulteriore nota dolente è poi quella delle riserve. Le alternative a Lavezzi sono un giovane come Russotto, inadatto a certi palcoscenici, almeno per il momento; ed un talento ormai sfiorito come quello di Pià. Tremo al pensiero del primo male di stagione del Pocho.
In questo panorama si inserisce però la speranza che non tutto sia andato perduto. Lo spiraglio di luce arriva direttamente dai risultati di domenica, che mantengono il sesto posto distante solo 5 punti, ed il settimo (utile per l'Uefa in caso di una finale di coppa Italia tra Juve ed Inter) lontano due lunghezze.
Per farcela servirà però il Napoli che tanto bene aveva fatto ad inizio stagione, quel collettivo aggressivo trascinato dalle individualità dei vari Lavezzi, Hamsik, Maggio, Blasi, Gargano.
La rincorsa parte da un cliente ostico, il Genoa di Gasperini: una delle squadre più spettacolari ed organizzate dell'intera serie A, non a caso in piena lotta per un piazzamento in Champions League.
Pur essendo riconosciuti come una delle compagini migliori del nostro panorama nazionale, i rossoblu hanno dimostrato domenica, subendo tre reti in mezz'ora da una Fiorentina allo sbando, come anche in un meccanismo che funziona sia possibile trovare e punire dei punti deboli. La squadra vista all'andata, che mai avrebbe meritato la sconfitta che maturò al Ferraris, potrebbe essere in grado di sfruttarli.
Le ultime righe le voglio dedicare a Zalayeta. Il centravanti uruguayano era stato convocato per la sfida contro il Bologna, e solo dopo aver saputo di essere escluso a beneficio di Denis dalla formazione titolare, ha evidenziato un problema fisico che, secondo la società, lo terrà fuori per almeno un paio di settimane.
Il deja - vu per quanto successo ad inizio anno è inevitabile, fossero vere le voci, che vantaggio si sarebbe ottenuto nell'aver ostinatamente dichiarato incedibile a gennaio un giocatore con questo stato d'animo? E se al contrario fosse vera la versione ufficiale, ovvero quella del guaio fisico, cosa dovremmo pensare della gestione da parte dello staff medico di un giocatore che continua ad avere ricadute sullo stesso infortunio?
Meglio non pensarci. Da oggi iniziano ritiro e silenzio stampa, forse l'ultima occasione per provare a rilanciarsi. L'importante sarà riconoscere i propri errori, e ripartire con un'altra mentalità per quella che sarà la prossima stagione.
Non solo con un altro tecnico, ma anche con l'innesto di almeno tre elementi di provato e sicuro rendimento. E' finito il tempo delle scommesse, i tifosi del Napoli, a giudicare da quanto emerge dai botteghini ogni domenica, si meritano ben altro.

I paradossi di Milan, Juve e Napoli

Il giorno dopo la sconfitta nel derby diventa quasi superfluo parlare ancora del caso Beckham, in realtà unico vero argomento di attualità in casa rossonera. Il 9 marzo è ormai dietro l'angolo e l'affare, se di affare si tratta, va fatto subito. I paradossi non mancano, da un po' di tempo a questa parte, in Via Turati. Abbiamo ammesso l'errore nell'aver giudicato troppo in fretta David come la classica figurina da album Panini, ma forse non ci siamo sbagliati quando abbiamo "accusato" Galliani di aver impostato male la trattativa. Adesso da Los Angeles rivogliono in dietro il loro asso, soprattutto per una questione di immagine; Ancelotti invece ha trovato in Beckham un calciatore umile ma soprattutto duttile a livello tattico, a tal punto da sacrificare tutti gli altri ma non lui. Oggi il Milan rischia di dover sborsare una cifra considerevole per trattenere il vecchio Spice Boy a Milano. Se Beckham dovesse tornare negli States, il Milan dimostrerebbe fragilità societaria, non essendo riuscito a trattenere un calciatore nonostante la ferma volontà dello stesso.

Comunque vada a finire questa telenovela di fine febbraio il Milan rischia di uscirne "bruciato", soprattutto in tema di credibilità verso l'esterno e... l'Estero. Sul settore giovanile meglio stendere un bel velo pietoso. Il vivaio del Milan non produce più talenti ed anche al Viareggio ha dimostrato poca qualità e completa inaffidabilità per il futuro. Sarà il caso di allargare la rete di talent scout in Italia?
Controsensi e paradossi riguardano anche la Juventus, con il fiatone in campionato e disorganizzata in società. La scorsa settimana è arrivato il rinnovo contrattuale del Direttore Sportivo Alessio Secco. Un premio al lavoro svolto. Ci si aspetta dal prossimo mercato qualche colpo "da Juve". Iniziano a diventare troppe le scommesse perse e discutibili le strategie attuate. La Proprietà ha voluto premiare il lavoro del giovane d.s. e questo ci può stare, ma affiancarlo ad una figura di esperienza, forse, non sarebbe completamente sbagliato; a maggior ragione se i suoi superiori sono Blanc e Cobolli Gigli, i quali, per loro stessa ammissione, non sono esperti del settore. Mi ha colpito la mole di lettere arrivata presso la redazione di Tuttojuve.com da parte dei tifosi bianconeri: regna l'insoddisfazione nei confronti del club, qualcuno rimpiange il passato e vorrebbero vedere un'altra squadra con altro carattere in campo.
Un'osservazione anche sul Napoli, che non ha iniziato brillando questo 2009. Fanno riflettere i fischi del San Paolo, fanno riflettere le accuse a Paolo Cannavaro. Fa riflettere ancora di più la scelta di continuare con Edy Reja. Premessa: cambiare oggi non avrebbe senso e sarebbe un errore gravissimo, ma la decisione, forse, andava presa la scorsa estate. Mister Reja merita tutto il rispetto e l'onore che i napoletani possano concedergli. Con Reja, Napoli ha ritrovato il Paradiso dopo essersi scottato all'Inferno. Una volta arrivato in Europa il club azzurro avrebbe dovuto rivedere i propri progetti, con qualche investimento maggiore. Oggi si parla di Delio Rossi futuro tecnico del Napoli, un sondaggio per Conte e Giampaolo. L'era Reja sta per concludersi. Tante grazie Mister, ma adesso Napoli ha bisogno di qualcosa di più. Al "più" ci penserà, come sempre, Pierpaolo Marino. Tasche di De Laurentiis permettendo.



Fonte Michele Criscitiello per Tuttomercatoweb.com

Che cos'è il calcio?

Quand'ero piccolo mi dissero che per giocare con quel buffo oggetto chiamato pallone, la prima cosa che dovevo mettermi in testa era di non toccare assolutamente la palla con le mani. Con gli anni ho visto giocatori pazzeschi diventare qualcuno proprio perchè invece con le mani ci sapevano fare, e non capivo come fosse concesso il tutto. Mi spiegarono che ciò era una cosa normale per qualcuno a patto che si chiamasse Zenga, Peruzzi, Buffon o, perchè no, Diego Armando Maradona.
Da qualche settimana pare che un altro ragazzone sia autorizzato a giocare con le mani, tale Adriano, calciatore brasiliano attualmente in forza all'Inter. Lui credeva potesse usare le mani per abbattere gli avversari, ma mago Tosel gli fece capire che così non era. Qualcuno gli avrà spiegato cosa invece si poteva fare, e ieri sera la lezione è stata esposta con grande successo: decidere un derby di Milano col retrogusto di scudetto con un gol del genere deve essere una goduria inspiegabile, almeno per lui e per i tifosi dell'Inter. Un po' meno per i tifosi del Milan che non capiscono come possa essere che otto giorni prima si vedevano annullati un gol simile, mentre oggi si vedono abbattuti da un episodio identico se non addirittura ancora più "irregolare" di quello a loro negato.


Se poi si pensa che allo stesso Milan è stato negato anche un rigore abbastanza evidente, è lecito pensare che ancora una volta la classe arbitrale si è resa protagonista indiscussa del nostro campionato.
Hanno un forte alibi gli arbitri: il regolamento. Un codice che regolamenta una qualsiasi cosa dovrebbe essere chiaro e lineare anche per il più corto di comprendonio fra gli esseri umani, nel calcio non è così. Non è così perchè se segna di mano Gilardino il gol viene convalidato, ma il giocatore poi squalificato. Se invece segna Seedorf, il gol viene annullato subito (sarà un disegno del "palazzo" per evitare la squalifica all'olandese...). Se ti chiami invece Vergassola e giochi nel Siena invece vai tranquillo, segna di mano, nessuno parlerà di te, e mago Tosel starà buono buonino in silenzio. Qui il problema non si risolve assolutamente con la moviola in campo o altre esperimentazioni tecnologiche, il problema va risolto alla radice. O meglio, andrebbe risolto alla radice: ho una strana sensazione che nulla si farà a riguardo, e ancora meno fiducia ho nel credere che gli arbitri riescano a leggere nel pensiero del giocatore per stabilire la volontarietà di un loro gesto, per alcuni di loro è già difficile collegare cervello e bocca quando devono fischiare in campo!

Aggiungendo a tutto ciò le chiacchiere di chi dovrebbe stemperare gli animi, diventa quasi proibitivo parlare di calcio giocato. Io non so se si rischia di diventare ripetitivi, ma il sig. Mourinho ci dovrebbe spiegare perchè arrivò in Italia criticando gli italiani legati alle chiacchiere da bar per poi cominciare a punzecchiare un po' tutti, e continuare col criticare gli arbitri accusandoli di aver paura o dichiarando di vedere cose "strane" che penalizzano l'Inter. Ce lo deve spiegare perchè a fine partita non può lamentarsi della mancata espulsione di Ambrosini dimenticandosi del gol di Adriano e del rigore non concesso a Inzaghi, senza voler mettere nel mezzo un contatto fra Ambrosini e Stankovic sempre in area nerazzurra. Lo stile non si compra al supermercato, altri avrebbero ammesso l'ambiguità di Rosetti, lui no.
Da tutta questa discussione comunque l'unica cosa che conta veramente è che probabilmente il campionato è finito a metà febbraio, a meno che l'Inter non decida di regalarlo a chi sta facendo di tutto per tagliarsi da solo le gambe nella corsa al titolo, soprattutto per un'inadeguatezza di uomini che è evidente. Basta guardare le prestazioni delle difese di Juve e Milan per capire cosa si stia dicendo.

E' comunque difficile parlare di calcio dopo partite belle come Genoa-Fiorentina, sfide inedite che dovrebbero contare solo per la qualificazione alla Champions, e che invece diventano importanti per la vita di un ragazzo di 37 anni che nella vita sarà sicuramente un tipo tranquillo, ma che la domenica si traveste in animale da guerra: dispiace sempre che qualcuno possa perdere la vita, ma c'è da chiedersi come mai uno pseudo-amante dello sport diventi così anarchico da andare ad assalire insieme agli amici il pullman della squadra avversaria che ha appena dato vita ad un grande spettacolo. Fra l'altro la cosa assurda di questa vicenda è che per assurdo non è neanche l'episodio dello sfortunato incidente lo schifo più schifo visto oggi a Genova. Nella tribuna d'onore del Marassi, porzione di stadio sicuramente non occupata dagli ultras, si è assistito ad un'aggressione alla moglie di un giocatore reo di avere un passato nella squadra odiata: Bonazzoli, attaccante ora alla Fiorentina, ma prima alla Sampdoria. E come se non bastasse la "classe" di questi geni ha colpito anche la moglie di un giocatore (Ferrari) della propria squadra che si era permessa di difendere la donna. Scene raccapriccianti in un mondo che teoricamente dovrebbe avere la civiltà come componente primaria.
Poco altro da dire se non un grande grazie all'evergrenn Cristiano Doni per ricordarci che il calcio è soprattutto poesia, e che la lotta per la salvezza sembra chiudersi sempre più alle solite quattro compagini che a turno cercano di rilanciarsi, ma che invece non riescono proprio a ricucire lo strappo col resto del gruppo.

Fonte Fabio Mauro Fantagazzetta.it

Le pagelle della 24a giornata

ATALANTA 9 Nella domenica nerazzurra, giù il cappello di fronte alla splendida Atalanta di Del Neri che vince la terza gara consecutiva, sempre con Consigli in porta, riservando alla Roma lo stesso trattamento già fatale alla lanciatissima Inter: una lezione di calcio con 3 gol, 2 di Doni, vicino ai 36 anni. Auguri in anticipo.

INTER 8,5 Decollo avvenuto. L'Inter che vince meritatamente il derby lascia il Milan a meno 11 e la Juventus a meno 9, volando verso un meritatissimo scudetto. Ritrovato Adriano, non ha bisogno del solito Ibrahimovic per imboccare il rettilineo finale. Più bella e più forte per un'ora, ha però la colpa di non schiacciare il Milan con il gol del 3-0 e così nel finale rischia di essere raggiunta sul 2-2.

CAGLIARI 7
Ormai non fa notizia e paradossalmente la vera notizia è proprio questa. Il Cagliari non è più una sorpresa, ma una splendida realtà e quindi il gran destro di Fini e il raddoppio di Matri, entrambi al terzo gol in campionato, sono soltanto l'ultimo trampolino di lancio per una squadra che scavalca Palermo e Napoli e si arrampica al settimo posto, nella scia di chi sogna l'Europa.

JUVENTUS 7 Dedicato a chi ragiona soltanto in base al risultato. La Juventus non vince, ma piace per come reagisce allo svantaggio. Due pali di Nedved, un palo-traversa di Del Piero e tante occasioni sciupate di un soffio dimostrano che non è giornata, malgrado il buon inserimento di Giovinco nella ripresa. E allora ha ragione Ranieri: di solito partite così si perdono, per cui bisogna saper accettare il pareggio. Anche se intanto l'Inter scappa.

BOLOGNA 7 Prima di tutto una carezza a Bulgarelli, tornato ad allenarsi con Bernardini nella squadra del Paradiso. Il primo Bologna senza la sua storica bandiera pareggia a Napoli, ma spaventa il San Paolo con il sedicesimo gol del capocannoniere Di Vaio e con il coraggio di Mihajlovic. Pronto per ricevere a testa alta l'Inter sabato prossimo.

GENOA 7 Da impazzire per come gioca e per come riesce a portarsi sul 3-0, con gol da applausi, dopo essere rimasto con un uomo in meno (sull'1-0) per l'espulsione di Biava. Da condannare, ma fino a un certo punto, per come arretra nel finale incoraggiando la clamorosa rimonta della Fiorentina.

FIORENTINA 6,5 Complessivamente gioca meno del Genoa, acciuffando il 3-3 a tempo strascaduto. Non sfrutta subito la superiorità numerica, svegliandosi quando tutto sembra perduto. Da elogiare per il carattere e per la classe di Mutu, che tiene la Fiorentina al quarto posto, evitandole di essere scavalcata proprio dal Genoa. E adesso il Milan è soltanto 3 punti più su.

TORINO 6,5 Esce dal campo della Lazio con il quinto pareggio consecutivo. La prima vittoria in trasferta, soltanto annusata dopo il bellissimo gol di Abate, è ancora rinviata, ma di questo passo arriverà presto perché Novellino ha trasformato la squadra.

CHIEVO 6 Va sotto con il Catania, punito dal nono rigore (è la squadra che ne ha subiti di più), poi però riesce a mantenere la sua invidiabile imbattibilità nel 2009 con il quinto pareggio (e 2 vittorie) regalato dal gol di Colucci, avvelenato ex al debutto in maglia gialloblù. Ma se in una gara a senso unico il gol arriva soltanto allo scadere, vuol dire che il Chievo al di là del suo gran carattere fa sempre troppa fatica per segnare. Quindi per vincere. E per salvarsi?

MILAN 6 Sufficiente per la reazione d'orgoglio nel finale in cui Inzaghi sfiora il pareggio, dopo il gol dell'1-2 di Pato. Ma prima aveva rischiato il naufragio, evitato soltanto per gli errori di mira di Adriano e le grandi parate di Abbiati. E allora non è il caso di prendersela con l'arbitro, perché al di là degli episodi da moviola, l'Inter si è dimostrata complessivamente superiore.

REGGINA 6 Avanti adagio, quasi indietro, perché il quarto pareggio consecutivo, senza Cozza e Brienza, contro il Palermo serve a poco. Se non si sfruttano le occasioni per vincere, soprattutto in casa, è dura salvarsi anche se è già positivo non avere subito gol.

SAMPDORIA 6 Pazzini la porta in vantaggio sul campo della Juventus e tra i pali bianconeri ne colpisce uno anche Cassano sull'1-0. Ma alla distanza la Samp soffre la pressione della squadra di Ranieri, alla quale comunque ha imposto due pareggi tra andata e ritorno.

UDINESE 6
Sì, la crisi è alle spalle, ma non basta constatarlo. Bisogna anche dimostrarlo con i gol. Invece l'Udinese, malgrado l'assenza di D'Agostino, crea valanghe di occasioni senza concretizzarle, accontentandosi del gol dell'1-1 in rimonta di Di Natale. Ma così lascia 2 punti a Siena.

CATANIA 5,5 Va in vantaggio su rigore, ma si vede troppo poco nell'area avversaria confermando di attraversare una preoccupante involuzione dopo tre sconfitte consecutive. E stavolta l'arbitraggio non c'entra, perché il pareggio del Chievo è beffardo soltanto per il minuto in cui arriva, non certo per quanto (non) fatto prima dalla squadra di Zenga.

PALERMO 5 Grigio 0-0 (primo del campionato) sul campo della Reggina, con un'unica vera occasione da gol nel finale, sprecata da Cavani. Ma non è il caso di recriminare, perché sul piano del gioco il Palermo fa un passo indietro. Con l'aggravante che davanti aveva l'ultima in classifica, non la prima.

LECCE 5 Affonda a Cagliari e vede avvicinarsi Torino e Chievo. Beretta si lamenta per l'arbitraggio, ma il suo pericolante Lecce conferma ancora una volta di avere gravi limiti in difesa.

SIENA 5 Non sfrutta il vantaggio firmato da Maccarone, perché rimane sempre in balia di un'Udinese superiore, senza creare occasioni da gol. E così il punticino in casa è l'unico aspetto positivo per una squadra che sa giocare molto meglio.

LAZIO 4,5 Interrompe la serie di 4 sconfitte consecutive, ma l'1-1 casalingo contro il Torino, senza lo squalificato Zarate, è una conferma del brutto momento di una squadra irriconoscibile rispetto alla promettente partenza.

NAPOLI 4,5 L'esordio di Datolo non basta agli uomini di Reja che non vincono dall'11 gennaio (1-0 al Catania) e hanno raccolto soltanto 2 punti nelle ultime 6 gare. E alla fine i fischi del San Paolo sono la triste ma adeguata cornice di un'altra partita da gambero che fa scivolare il Napoli alle spalle di Cagliari e Atalanta.

ROMA 3 Tre come i gol incassati che nel giro di una settimana la fanno scivolare dal primo all'ultimo posto nelle nostre pagelle, perché passa dal 3-0 casalingo al Genoa allo 0-3 sul campo dell'Atalanta. Un crollo senza attenuanti che allontana la Roma dal quarto posto, dimostrando quanto è difficile risalire la corrente dopo aver sperperato troppi punti in avvio.

Ballardini versione vintage: "Il calcio è un sorriso"

Il Palermo continua a vincere e convince e soprattutto fa contento Zamparini. Battendo il Napoli comincia anche avedere l'Europa. Ballardini ha portato idee, concetti nuovi e la convinzione che con il calcio si può ancora sorridere sia in campo che in tribuna.


Ballardini, ma allora è possibile? Il calcio fatto con il sorriso sulle labbra...
"È proprio così, Il nostro, anche se è un lavoro bellissimo, è pur sempre un lavoro. Quindi è fondamentale riuscire a farlo divertendosi, riuscendo a trovare la giusta leggerezza che non faccia perdere la concentrazione e l'attenzione. La mia è una lotta contro la ripetitività. Io credo che, se lo fai divertendoti, tutto quanto diventa più facile e riesci a rendere di più. Ecco, questo è quello che cerco di fare con la mia squadra: cerco di fare lavorare i giocatori e, al tempo stesso, di farli divertire".

E come definirebbe il calcio giocato dalla sua squadra?

"Direi che la mia squadra gioca bene il mio calcio quando riesce a gestire il possesso della palla. Quando riesce a dare profondità a tutte le azioni. Quando resta attenta in fase difensiva e quando riesce a fare pressing sugli avversari. Questo, in sintesi, è il mio Palermo. Quando riusciamo a giocare delle grandi partite è perché mettiamo in pratica tutte queste cose. È chiaro che non sempre ci riesce bene".

Sembra un tipo di calcio nel quale lei chiede molto sacrificio ai suoi giocatori.
"È vero. Ci vuole una grande disponibilità. Tutti quanti devono essere pronti a dare una mano nelle due fasi del gioco. Grande attenzione in fase difensiva e in fase offensiva. È importante creare profondità, ma dare anche molta pressione agli avversari".

C'è qualcuno in particolare al quale lei si è ispirato?
"Ce ne sono tanti e facendo un solo nome rischierei di fare torto agli altri. Il mio calcio è fatto soprattutto di coinvolgimento, di grande applicazione, di partecipazione e di attenzione. Tutto questo si ottiene con il lavoro quotidiano. Un lavoro che deve essere anche divertente per riuscire a mettere in evidenza le qualità dei singoli giocatori".

La sue squadre riescono spesso a cambiare modulo anche a partita in corso. Significa che l'integralismo tattico non paga?
"Per me, più che i numeri, quello che conta sono i principi. Non è importante come sistemi i giocatori in campo, ma sono importanti i principi che dai al tuo gioco. È fondamentale sapere quello che si deve fare quando si ha la palla tra i piedi o quando la palla ce l'hanno i tuoi avversari. Ogni giocatore deve essere messo nelle condizioni migliori per esprimersi al massimo. Questo a prescindere dai numeri e dagli schemi".

C'è un giocatore del quale il suo calcio non può fare a meno?
"Sicuramente questo giocatore è il regista. Nel mio calcio il regista è fondamentale ed è un giocatore che deve avere qualità e grande senso tattico. Dai suoi piedi partono le azioni della squadra. È da lui che la squadra trova i suoi tempi giusti e i suoi equilibri. Nel mio Palermo ho la fortuna di avere uno come Liverani che è tra i migliori nel suo ruolo in Italia".

C'è qualche squadra in Europa che lei segue particolarmente e che magari cerca di copiare?
"In questo momento sono diverse le squadre che giocano bene e che riescono anche a dare spettacolo. Mi piacciono il Barcellona, il Manchester e l'Arsenal. Sono squadre spettacolari. Formazioni che riescono a unire il bel gioco con lo spettacolo e che fanno divertire".

Come riesce a mettere in pratica sul campo tutta la teoria che è alla base della tattica di un allenatore?
"Ci si arriva grazie al lavoro e all'abitudine. È importante trovare delle giocate e degli esercizi sempre diversi. Nella mia idea di calcio c'è la necessità di trovare sempre qualche diversivo che rompa la monotonia. È importante riuscire a diversificare il lavoro. L'allenamento non deve mai diventare una cosa noiosa, ma deve piuttosto essere un divertimento".

Torino, ecco chi è realmente mister X

Chi è Raffaele Ciuccariello che aspira all'acquisto del Torino da Urbano Cairo? Qual è la storia dell'imprenditore nato 68 anni fa a Lucera? "Il pallone in confusione" ha cercato di ricostruirla attraverso le visure della Camera di Commercio. Presso gli archivi camerali sono presenti quattro aziende in cui è presente il suo nome: una ditta individuale, due società in nome collettivo e una società a responsabilità limitata di recente costituzione. Sono stati richiesti anche i loro bilanci: ma l'ente camerale risponde che finora non risulta alcun deposito. Non c'è quindi alcun documento contabile disponibile: non si può quindi verificare lo stato economico-finanziario passato e presente delle sue società.

In principio Ciuccariello aveva un'impresa individuale, denominata con il proprio nome e cognome, impegnata nell'autotrasporto di merci su strada con sede a Torino. E' stata cancellata dalla Camcom il 24 gennaio 2001, in seguito alla sua cessazione avvenuta nel dicembre 2000.
Il 1° luglio 2003 l'aspirante acquirente della società granata costituisce una società in nome collettivo: "Il paradiso dei regnanti snc di Di Munno Rosa & c.". Ciuccariello ne risulta socio amministratore assieme a Rosa Di Munno: ciascuno di essi aveva conferito alla società una somma di 250 euro, per un patrimonio complessivo di 500 euro. Le visure riportano un oggetto sociale abbastanza composito: dalla produzione e vendita al minuto e all'ingrosso di pizza da asporto, alla «somministrazione di cibi alimenti e bevande» fino a compiere «qualsiasi operazione mobiliare e immobiliare» e «l'assunzione di mutui passivi con la concessione delle richieste garanzie anche reali e la prestazione di garanzie reali e personali». Pochi giorni dopo la sua costituzione, il 3 luglio, la società acquista dalla "Regnanti snc di Sorintano Pasquale e Ciuccariello Norbert", dove è impegnato un figlio di Ciuccariello, un ramo d'azienda: quest'ultimo il 20 ottobre 2005 il percorso inverso.
Il 24 ottobre 2003 Ciuccariello dà vita alla "Il paradiso dei regnanti 2 snc di Ciuccariello Raffaele e Sorintano Pasquale" con sede ancora a Torino. Capitale sociale sempre i soliti 500 euro (250 per socio): oggetto sociale gemello con quello della precedente snc. Anche in questo caso la società effettua un'acquisizione di ramo d'azienda a pochi giorni dalla sua costituzione. Visure alla mano, il 29 ottobre 2003 lo compra da "Il merendone di Amitrano Silvana & C.snc": il 5 dicembre 2003 il ramo aziendale ritorna al suo precedente padrone.
Nel frattempo "Il paradiso dei regnanti snc di Di Munno Rosa & c.", "Regnanti snc di Sorintano Pasquale e Ciuccariello Norbert" sono state dichiarate fallite dal tribunale di Torino. Le visure camerali riportano che per la prima snc i giudici hanno emesso la sentenza il 27 aprile 2006: inoltre hanno sancito il fallimento «in proprio di Di Munno Rosa e Ciuccariello Raffaele». Lo stesso tribunale ha dichiarato chiuso il fallimento il 6 novembre 2006 «per l'ipotesi n.4 dell'art. 118 L.F.», ossia quando non può essere proseguita la procedura per insufficienza di attivo. L'11 ottobre 2004 è stata dichiarata fallita la "Regnanti snc di Sorintano Pasquale e Ciuccariello Norbert" assieme ai due soci. I magistrati del capoluogo piemontese hanno decretato il 26 ottobre 2004 la chiusura della procedura fallimentare della società «per l'ipotesi di cui al n.3 dell'articolo 118 L.F.» cioè «quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo». Inoltre, è stata stabilita anche la conclusione del fallimento del socio del figlio di Cuccariello, Pasquale Sorintano: anche in questo caso perché «non possa essere utilmente continuata la procedura per insufficienza di attivo».
Infine, il 29 gennaio scorso è stata fondata la Royal srl, sede sempre a Torino e un capitale sociale di 10mila euro. Ne sono soci: Norbert Ciuccariello (50%), il papà Raffaele (25%) e Carlo Saccomando (25%) che ne è amministratore unico. L'oggetto sociale è molto vasto: dalla costruzione e demolizione di immobili di qualsiasi genere, alla conduzione di strutture turistico-alberghiere, edizione e distribuzione di libri, riviste e giornali, fino alla costituzione di scuole per modelle. Le visure riportano che la società «potrà svolgere tutte le operazioni immobiliari, commerciali, bancarie e finanziarie che si rendessero necessarie e opportune per il conseguimento dello scopo sociale». Tra queste c'è anche l'acquisto del Torino? Il mistero è più fitto che mai.

Il diavolo e l'acqua santa: derby in panchina

Uno lo vorrebbero allenatore del Chelsea il prossimo anno, l'altro del Manchester City: ma il sogno di Ancelotti è allenare la Roma (lo ha anche detto chiaramente facendo pure innervosire Spalletti), mentre Mourinho vorrebbe vincere la Champions con l'Inter - dopo lo scudetto - e magari allenare una grande nazionale ai Mondiali. Ma forse non gli basterebbe nemmeno il Portogallo. Intanto però c'è un derby Inter-Milan e Ancelotti e Mourinho si giocano, per il momento, lo scudetto.
Il Diavolo (Mourinho) e l'Acqua Santa (Ancelotti): l'uno opposto dell'altro. Salvo scoprire che alla fine il più religioso dei due è proprio il portoghese.
Per definizione, o luogo comune, Mourinho è l'Antipatico e Ancelotti il Simpatico. Ma è vero anche il contrario: a seconda delle preferenze.
Il portoghese passa le domeniche a litigare in tv con i commentatori, non gliene piace uno, gli stanno cordialmente sulle scatole. Davanti al microfono dà l'impressione di uno che sente di perdere tempo: nessuno, pensa, può essere alla sua altezza. E qualche volta, a dire la verità, viene proprio da tifare per lui. L'ex ragazzo di Reggiolo i commentatori se li coccola, li blandisce, elargisce battute e sorrisi.
Mourinho è più irascibile di braccio di ferro, Ancelotti bisogna picchiarlo per farlo reagire.

Mourinho è talmente sicuro di se stesso da non ammettere mai, ma proprio mai di avere sbagliato. Ancelotti è furbo.
Mourinho non ammette critiche, per lui l'Inter è sempre perfetta e spettacolare, ha fatto autocritica solo dopo gli schiaffi presi a Bergamo. Ancelotti sta a sentire, poi fa spallucce: "forse... sì, certo... può essere anche così" risponde. E strizza l'occhio.
Mourinho è diretto, uno da cazzotto del ko. Ancelotti, vecchio frequentatore del calcio italiano, è scaltro, aggira, evita gli scogli. Ma arriva anche lui allo scopo. E qualche volta anche con più efficacia.
L'uomo dell'Inter è un fascio di nervi, quello del Milan è calmo e serafico. Anzi pacioccone, come gli dicevano a Roma.
Mourinho è cocciuto; Ancelotti - il padre contadino nelle campagne di Reggiolo, primi studi presso i salesiani - forse più di lui.
Mourinho è magro e snellissimo, Ancelotti potrebbe divorare un salame intero della sua cantina in pochi bocconi - "questo fa una brutta fine" dice quando ne afferra uno - ma si trattiene perché ha sempre avuto tendenza a ingrassare.
Mourinho ordina e ottiene, se non ci riesce subito pesta i piedi e si impone (vedi Quaresma...), Ancelotti è abituato a convivere con la filosofia del Milan: non sempre si può imporre, e poi il Capo vuole ormai solo star e ballerine. E tutti all'attacco: che fatica...
Mourinho ora gioca col 4-3-1-2, ma ha pasticciato un sacco quando, in molte occasioni, ha cominciato a buttare dentro attaccanti alla rinfusa (Ibra, Cruz, Quaresma, Mancini...). Ancelotti usa l'albero di Natale (4-3-2-1), ma quante volte vorrebbe mettere un Ambrosini in più e un Ronaldinho in meno, ma non lo può fare, se no Lui chi lo sente?
Il calcio di Mourinho non è bellissimo, ma molto, molto fisico e terribilmente efficace (vedi la vittoria in dieci a Catania). Il calcio di Ancelotti è un bel mix tra quantità e qualità, a metà tra l'estetica assoluta di Sacchi e la concretezza spietata di Capello. Con amnesie e crolli ogni tanto (vedi la partita con la Reggina).
Mourinho, nella gestione del gruppo, attira su di sé tutte le tempeste, Ancelotti - che viene dal campo - sa dividere tutto con i compagni di squadra, anche adesso che gli ordini li dà lui.
Certo Mourinho non è un despota dello spogliatoio, ma Ancelotti è molto più democratico.
I giocatori amano Mourinho: ma non tutti, anzi alcuni forse lo detestano. Ha detto che si sarebbe buttato nel fuoco per loro, ma con Balotelli ha quasi ingaggiato una sfida personale. E non solo con lui. E' raro che Ancelotti tuoni contro i giocatori, ma può accadere: certi atteggiamenti di Gilardino, stufo di fare panchina, non gli piacquero e lo disse chiaramente.
Ancelotti è stato un grande giocatore, Mourinho proprio no, non è mai stato un professionista, si è fermato alle giovanili.
Mourinho è geloso di Mancini, al solo pronunciare il nome gli viene l'orticaria. Ad Ancelotti del confronto con Capello o Sacchi non frega assolutamente nulla.
Mourinho è diventato allenatore per una sfida verso se stesso e verso tutti: per dimostrare che non solo chi ha giocato può fare grande calcio. Pur figlio di un calciatore, si è diplomato all'Isef e ha fatto la gavetta vera: cominciando come interprete di Bobby Robson allo Sporting Lisbona: lo chiamavano El Tradutor. Ancelotti agli inizi fu "raccomandato" da Sacchi trovando subito un posto come assistente dell'Arrigo in nazionale.
Come allenatore Ancelotti ha vinto una Champions più di Mourinho, ma la Coppa di Mourinho col Porto fu un evento storico per una squadra di quella dimensione. Ancelotti ha vinto uno scudetto, Mourinho ha conquistato titoli sia in Portogallo che in Inghilterra col Chelsea. Quali pesano di più?
Mourinho litiga anche con i colleghi, vedi Ranieri, o ne storpia i nomi, vedi Beretta diventato "Barnetta", Ancelotti è l'amico di tutti.
Ancelotti è il Ferguson del calcio italiano, allena il Milan ormai da otto stagioni (e non è detto che questa sia l'ultima). Mourinho, dopo Porto e Chelsea, è all'Inter da soli otto mesi con l'obbiettivo di vincere scudetto e Champions League: ma non è certo il tipo da amori così lunghi.

Fonte Fabrizio Bocca

Il Trap dichiara "guerra" all'Italia

"Siamo una squadra da non sottovalutare". Giovanni Trapattoni guarda la classifica e lancia un mezzo sorriso. La sua Irlanda è in testa al gruppo 8 delle qualificazioni ai mondiali del 2010. 10 punti in 4 partite, tre vittorie e un pareggio. Lo stesso bilancio dell'Italia di Marcello Lippi. Il tutto in attesa dello scontro diretto del primo aprile a Bari, che arriverà dopo la sfida contro la Bulgaria in programma a fine marzo a Dublino.

Contro la Georgia il Trap ha sfoderato tutto il suo repertorio. Durante il primo tempo tarantolato a bordo campo nel dare indicazioni e suggerimenti, nella ripresa l'irrefrenabile contentezza per la doppietta di Robbie Keane. "Non siamo il Brasile ma sono comunque fiero perché mi hanno detto che l'Irlanda non si trovava prima in un girone di qualificazione da 20 anni. Ma è ancora presto, aspettiamo di vedere cosa succede dopo l'Italia".
Marcello Lippi è volato al Croke Park dopo l'amichevole con il Brasile per studiare i suoi prossimi avversari.
"Nel primo tempo forse Lippi avrà pensato che l'Iralnda non fosse un granché. Ma nella ripresa gli abbiamo dimostrato che siamo una squadra da non sottovalutare. Non gli ho ancora parlato, ma di certo lo farò non appena sarò tornato in Italia".

Juventus, salgono le quotazioni di Cassano

È tutto un gioco. Però vedere il centrocampista Alessandro Del Piero fa sempre un certo effetto. Succede ieri pomeriggio, sul campo di Vinovo, nell’amichevole contro i dilettanti del Chisola. Succede questo: l’allenatore bianconero deve fare la conta, comunque. Zanetti è infortunato, Sissoko resterà a riposo fino a lunedì, Poulsen e Tiago devono recuperare dalle fatiche nazionali. Voilà, Del Piero fa il centrocampista: modulo 4-3-3 e il capitano fa un passo indietro, gioca alla Pirlo. Marchionni resta a riposo, Nedved pure e intanto scherza con l’ex compagno Davids: "Visto Edgar, mi hanno già fatto fuori". La partita inizia con Camoranesi a destra, Marchisio a sinistra, davanti il tridente, Amauri-Trezeguet-Iaquinta. Finisce 3-0 (secondo gol di Iaquinta su assist di Del Piero).
Vero, è solo una partitella del giovedì. Vero, è tutto un gioco. Ma anche un Del Piero centrocampista può raccontare un paio di cose.

Primo: un campione lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia e (pure) dalla disponibilità. Del Piero è un campione: si mette comunque in gioco. Alla Juventus fa così da 16 stagioni, continuerà almeno fino a giugno 2010. Secondo: Del Piero che fa (anche) il centrocampista potrebbe aprire nuovi scenari di mercato. A questo sta già lavorando Alessio Secco: due sere fa a un tavolo del ristorante “La dispensa” di Siviglia, il d.s. ha incontrato Seguì, responsabile del mercato spagnolo per la Img. La Juventus cerca sempre un vice-Nedved, alcune piste portano in Spagna: da Silva a Joaquin. Non solo. L’Img, l’estate scorsa, fu la prima a sondare un possibile passaggio di Diego in bianconero. Ora, società e tecnico, sembrano convinti che il brasiliano non sia più l’obiettivo prioritario perché il suo arrivo imporrebbe di abbandonare il collaudato 4-4-2. Meglio tornare sulla solita storia di Cassano. I contatti continuano, il prezzo non è una novità: sul contratto dell’attaccante blucerchiato c’è una clausola rescissoria di 20 milioni. Contatti e suggestioni: quasi inevitabile che si torni a parlare di Cassano aspettando Juventus-Sampdoria. “Un discorso prematuro”, taglia corto Secco. Sarà. Perché la Juve ha quattro attaccanti e una seconda punta. Uno che un campionato fa ha segnato 21 gol e che forse un giorno potrebbe fare un passo a centrocampo e far spazio a Fantantonio. Tranquilli, per ora è tutto un gioco.

Toro: svelato mister X

Una consonante che fa più rumore di dieci stadi stracolmi di gente: incredibile, ma vero. E' quello che sta succedendo a Torino in questi palpitanti minuti. Una "X" sta facendo impazzire un po' tutti: una firma che per ora non basta, un simbolo di discrezione, un assist all'audience forzato, un silenzio che fa rumore, a momenti un segreto di Stato. Scegliete voi. Non è fantacalcio, non è fantascienza: è il mondo del pallone. Una calamita di sogni.
Golden Palace Hotel, due edifici dal lussuoso rigore geometrico, 195 stanze nel cuore pulsante di Torino: l'attenzione granata, oggi, è tutta qui. Un bel paradosso: il campo, la squadra, la classifica deficitaria e la bocciatura di Dzemaili (patrimonio gettato alle ortiche dopo le dichiarazioni di Novellino?) sono questioni che per ora passano in secondo piano. Chissà cosa starà pensando Urbano Cairo in questi istanti: lui, il passionale, e il suo Torino, messi all'ombra per un giorno da un misterioso imprenditore. Lui, esperto comunicatore, "minacciato" da un mister X che comunica senza essere presente (infatti oggi non si presenterà), in un teatro di portavoci dove manca il protagonista. Ebbene sì, nonostante tutto oggi vincono loro: curiosità, incertezza, voglia di sognare un futuro migliore per il Torino.

Alle 15.30 gli avvocati Grazia Porta, Anna Pasquinelli e Massimo Durante sveleranno l'identità di mister X. "Non siamo ciarlatani": un mese e mezzo fa hanno risposto così di fronte alle perplessità dei tifosi e degli addetti ai lavori.

Il sole su Torino è sparito, fa freddo. L'atmosfera è surreale. In città, da giorni, non si parla che di presunte eredità e di imprenditori dal portafoglio gigantesco: chi è mister X? Miroglio, Bertone, Ferrero, Giraudo, Moggi, Giribaldi, Gaucci, Mangone, Grimaldi, Farinetti, Briatore oppure Margherita Agnelli? Oggi la telenovela finirà, finalmente. I tre avvocati hanno ribadito di voler parlare di cose serie e di programmi concreti (anche perché il Toro può già vantare una lunga collezione di promesse non mantenute): dovranno soprattutto motivare lo strano modo di comunicare di mister X. Prima un comunicato, poi un'insolita conferenza stampa dove l'attore protagonista non si presenta.

Le promesse di MisterX: La qualificazione Uefa in tre anni, uno stadio di proprietà con annesso impianto sportivo, la sostituzione dell'allenatore, l'adozione della maglia granata come prima divisa sociale, la riorganizzazione del settore tecnico e giovanile, l'apertura di scuole calcio in ogni continente, il riassetto della rete commerciate tramite accordi con partner prestigiosi: questi gli obiettivi di "mister X", pubblicati a gennaio tramite comunicato. Detto così fa gola, ma al Toro e ai suoi tifosi non può bastare. Primo: Cairo ribadisce di non voler vendere. Secondo: nel caso cambiasse idea, bisognerà bisognerà capire come mister X possa passare dalle parole ai fatti.

Ore 15: tre camionette della polizia davanti al Golden Palace Hotel. Atmosfera più di imbarazzo che di tensione, presenti moltissimi giornalisti e una ventina di curiosi. Vi confermiamo le voci su Raffaele Ciuccarini, imprenditore pugliese che avrebbe eriditato un patrimonio di circa 600 milioni di euro. Mister X potrebbe essere lui, ce lo confermeranno tra poco gli avvocati.

Ore 15.18: lo scenario è decisamente cambiato in pochi minuti. Stanno arrivando sempre più tifosi granata e fuori dall'ingresso dell'hotel c'è un gruppo sempre più consistente di giornalisti e curiosi.

Ore 15.25: tutto esaurito in sala stampa (50 posti a sedere circa, moltissimi giornalisti in piedi). Vi ricordiamo che siamo a un passo dalla sede del Torino, che è proprio qui in via Arcivescovado. Una scelta non casuale da parte di mister X e dei suoi avvocati.

Inizia la conferenza stampa ed ecco subito la conferma dell'avvocato Grazia Porta: "L'imprenditore di cui molto si è parlato in queste settimane è Raffaele Ciuccarini. Nato a Lucera, in provincia di Foggia, il 7 febbraio 1941, è da quasi 40 anni residente a Torino. Ama il calcio, desidera portare a termine questa trattativa a tutti i costi".

Parola ora all'avvocato Anna Pasquinelli: "Questo incontro sarà utile per chiarire molti aspetti di questa vicenda. Abbiamo incontrato Urbano Cairo a Milano a fine novembre e ci è sembrato disposto a portare avanti la trattativa. Si è trattato del primo contatto. I tifosi del Torino oggi possono rendersi conto che l'imprenditore c'è, è disposto a fare di tutto per la squadra. Raffaele ha il dono dell'umiltà e oggi confermiamo che non si è trattato di un'invenzione pubblicitaria. Troviamo inspiegabile il fatto che Cairo non ci voglia più incontrare".

Ancelotti diviso tra Chelsea e Real! Per il Milan c'è Donadoni

Roman Abramovich che tira da una parte, Florentino Perez dall’altra. E Silvio Berlusconi che comincia a dare segni d’insofferenza. Carlo Ancelotti vede e sente tutto. E per ora può solo ascoltare, a cominciare dalla tirata d’orecchie di Adriano Galliani quasi alla vigilia del derby. La lamentela del vice presidente esecutivo rossonero sulla "mancanza di determinazione" contro le piccole è certamente uno sprone alla squadra. Ma pare soprattutto un messaggio al tecnico di Reggiolo: "O vinci lo scudetto. Oppure...".
Dopo 7 anni e 3 mesi il rapporto con il Milan appare logorato. Più che mai. E per mille motivi. Non dimentichiamo che la scorsa primavera Ancelotti aveva già incontrato il proprietario del Chelsea, rifiutando la proposta di prendere il posto di Grant. Una scelta ovviamente condivisa, se non proprio suggerita, da via Turati.
Poi, l’ultima campagna acquisti ha aperto ferite non ancora rimarginate. Senza parlare dell’ingaggio di Shevchenko, di sicuro l’allenatore ha condiviso poco l’acquisto di Ronaldinho. E non è casuale che l’altra settimana Silvio Berlusconi abbia trovato il tempo per chiamarlo e caldeggiare l’utilizzazione dell’immalinconito Dinho. Un intervento che testimonia quanto la dialettica in casa rossonera, in questa fase, abbia fatto emergere più di un malessere. E’ già accaduto in passato, ma le vittorie hanno sempre chiuso ogni polemica. Stavolta è diverso.

Da una parte il Milan avverte sempre più l’esigenza di affidare la squadra a una nuova mano. Dall’altra Carlo Ancelotti si sta rendendo conto che forse è giunta l’ora di trovare altrove nuove sollecitazioni professionali. E se le mire del Chelsea su di lui sono ormai esplicite, non vanno neanche trascurate le mosse del Real Madrid. Florentino Perez a breve presenterà il suo programma elettorale e il nome del tecnico italiano è ben in evidenza. Perciò, occhio alle prossime settimane. Per mille motivi, a cominciare dalla lingua, Ancelotti è più attratto dall’idea di sbarcare nella capitale spagnola che in quella inglese.
E il Milan? Al momento non esiste una candidatura forte per la successione. Di sicuro il Milan intende affidarsi a uno dei tanti ex campioni dell’era Berlusconi. I nomi dei già affermati Marco van Basten e Frank Rijkaard calamitano da sempre tanti consensi, ma è anche vero che ormai frequentano poco la casa milanista.
Anche per questo non meritano minori attenzioni altri due grandi del passato: l’ex c.t. azzurro Roberto Donadoni e l’attuale dirigente Leonardo. Il brasiliano frequenta il corso per allenatori di seconda categoria e a fine stagione può facilmente ottenere una deroga per aver vinto un mondiale da calciatore. Quindi può essere considerato in corsa, ma è presto per indicare le posizioni in questa hit. Il Milan s’augura di poter salutare altre vittorie con Ancelotti in panchina. Del resto esiste un contratto sino al 2010 e per risolverlo occorre una scelta consensuale. Un finale di stagione senza trofei porterebbe a una fatale separazione. Perciò questo derby può anche essere l’ultimo dell’era Ancelotti.

Appiah, che brutta fine: travolto dai debiti

A 28 anni (presunti) l'eroe del Ghana, il capitano non giocatore del paese che ha ospitato l'ultima Coppa d'Africa, è costretto a nascondersi per giocare al calcio. Stephen Appiah, talentuoso e potente centrocampista di Udinese, Parma, Brescia e Juventus, tre figli e moglie nel nostro paese, in questi giorni si sta allenando sotto mentite spoglie a Marbella, costa andalusa, con il Rubin Kazan, club dallo scorso novembre campione di Russia costretto dall'inverno rigido del Tatarstan ad allenamenti su una spiaggia spagnola.
Il peregrinare omerico del massiccio Appiah sta diventando una fuga segreta e protetta a causa della valanga di debiti che il ragazzo di Accra ha contratto ad ogni contratto firmato. L'ultima disputa legale è stata quella con l'ultimo club che lo ha assoldato, nel 2005, il Fenerbahce. La squadra di Istambul, per un'embolia a una gamba mal curata, "ha rischiato di mandarlo al creatore". Lo racconta il suo nuovo procuratore Luca Pagani, ex pr di discoteche lombarde. Alla fine Appiah ha chiesto 21 milioni di risarcimento ai turchi, comprensivi della Coppa d'Africa saltata in patria, e il Fenerbahce ha replicato con una "fattura danni" da 12 milioni per mancato rispetto del contratto.

Nella stagione 2008-2009 Stephen Appiah ha ascoltato una serie di timide offerte da parte di diverse società italiane: la Juventus, il Brescia, poi il Torino. C'è stato anche un affaccio da parte del Milan. Tutti, però, imbattendosi nel macigno della causa Fifa e in una pletora di richieste danni contro il giocatore incardinate in Italia, hanno salutato Stephen e la sua fama di cattivo pagatore. Non tornerà a giocare in Italia. Appiah, allora, ha deciso di raggiungere Londra per allenarsi con il Tottenham e, bruciato anche questo contatto, ha proseguito la fuga dal pignoramento indossando una nuova anagrafe in Spagna e immaginando un futuro nel campionato russo.
Tutta la storia del ragazzo di Accra è un racconto da clandestino. Giovane stella degli Hearts of Oak, arrivò poco più che bambino in maglietta a maniche corte all'aeroporto di Udine. Era febbraio. Gli misero addosso una tuta del club e lui, nei primi sei mesi, mangiò solo gelati perché non conosceva i cibi italiani né i loro nomi. I procuratori più accreditati del calcio ghanese raccontano che Stephen, come buona parte dei ragazzi d'Africa ansiosi di mostrarsi a talent scout stranieri, si fece cambiare il passaporto e abbassare di due anni l'età. Giunto in Italia, il talento si mise in luce per gol straordinari e leggendarie feste con ragazze ucraine. Ma, soprattutto, nuovi debiti. Lasciò senza un grazie lo studio Canovi e il suo primo mentore, quel Domenico Ricci che più di tutti conosce il calcio africano. Oggi l'ufficio gli ha chiesto 105 mila euro di provvigioni non saldate: la sentenza del tribunale di Roma è vicina. Approdato al nuovo procuratore, Santiago Morrazzo, riuscì ad abbandonare anche lui scordandosi del rinnovo del contratto che l'agente gli garantì con la Juventus (un milione e 800 mila euro) e le bollette pagate alla posta per non fargli staccare la luce. Il Tribunale di Roma ha stabilito che Appiah deve a Morrazzo 580.000 euro, ma poiché il calciatore non è mai raggiungibile l'unico risultato è stato che l'ex agente Fifa deve versare - per la sentenza a suo favore - 25.000 euro per i bolli all'Agenzia delle Entrate.
Già, Appiah è in fuga continua. La moglie e i tre figli vivono in una villetta con garage (e auto di lusso) sulla collina di Torino, ma lui ha eletto domicilio personale a Nichelino, nell'hinterland, in un casermone popolare abitato da extracomunitari senza permesso di soggiorno. Fuori dal suo "appartamento legale" non c'è campanello, nell'androne hanno sradicato le cassette della posta e l'ufficiale giudiziario, terrorizzato ogni volta che deve avvicinarsi a quel palazzo per recapitargli una raccomandata, ha stilato un rapporto di "irreperibilità strutturale". A Stephen Appiah ha chiesto i danni anche il vecchio padrone di casa di Torino, quello dei tempi della Juventus. Salutato dalla Triade, Stephen organizzò una festa d'addio all'Italia invitando la comunità ghanese e le solite ragazze ucraine: sfasciarono tutto sradicando lavandini, cessi e pure gli infissi. Le bottiglie di champagne - avrebbe scoperto il giorno dopo il padrone di casa - galleggiavano nello champagne. L'avvocato Mattia Grassani, che per tutte queste imprese difese e spesso salvò il calciatore, a sua volta non è stato mai pagato. E così ha chiesto 400 mila euro di arretrati riuscendo a farne sequestrare 40 mila.
Il bravo ragazzo con il destro preciso è cresciuto dentro una vita da clandestino e ora potrebbe portare la sua fuga nel freddo Tatarstan. Per non smettere di giocare al calcio e per non pagare i debiti.

Le 10 cose che uccidono il calcio

Sono tante le cose da cambiare nel calcio Italiano. Il Times la settimana scorsa ha stilato una lista delle 10 che stanno rovinando questo sport nel mondo. La graduatoria non ha potuto non far scatter qualche polemica. Non siamo naturalmente il Times, ma nel nostro piccolo e per ciò che riguarda il Belpaese proviamo a proporre una classifica delle 10 peggiori cose che stanno uccidendo questo sport.

LA QUESTIONE ARBITRALE – Per una volta ci siamo trovati d'accordo con Ranieri (che stimiamo molto come persona) quando accusa Mourinho, che vince 3-0 e si lamenta dell'arbitraggio. Come detto dal tecnico della Juve ogni allenatore da una parte e dall'altra alla fine di una partita avrebbe almeno 10 cose su cui lamentarsi, ma poi ci si dimentica – chissà perchè – sempre i cosiddetti favori. Ciò non toglie che AIA e e FIGC vanno staccate, che gli arbitri devo essere professionisti e che il sorteggio deve divenire integrale.

LA DIFFERENZA TRA GRANDI E PICCOLE – C'è ovunque nel mondo una squadra che vince più di altre. In Inghilterra lo United in Germania il Bayer, in Spagna il Real. Ma la differenza a volte viene ridotta dalle possibilità o meglio dalla dignità che si dà anche alle altre squadre. In Italia ne esistono 3. Tutto il resto – o quasi – è noia come canta Califano.

GLI STADI – Dal Friuli in poi è tutta o quasi una serie di disatri architettonici, che fanno fuoriuscire la bile pensando a quanto si è sperperato a Italia '90

LA NOMENCLATURA – A leggere i nomi che si susseguono nelle varie cariche si capisce perchè si dice che il calcio è specchio della società. C'è bisogno di gente nuova, con idee innovative e moderne, oltre che eque. Ma purtroppo qua siamo alla gestione Zoppas: qualità costante nel tempo

MOGGI – Ma non dovevamo vederci più? I suoi uomini più o meno di fiducia continuano ad apparire ovunque, lui scrive ovunque e si fa vedere ogni volta che può. Nauseante.

IL MERCATO – Urge una regolamentazione che eviti di far perdere la testa specie a campionato in corso ai giocatori. Chissà perchè le crisi avvengono specialmente quando si avvicina la finestra di gennaio. Blatter temiamo vorrà invece renderlo aperto tutto l'anno.

I PROCURATORI
– Non in quanto tali, ma per come girano e bazzicano nelle società come profeti a cui affidare le proprie sorti.

GLI INGAGGI DEI GIOVANI
– Inconcepibile che un ragazzino di 17 anni guadagni in un anno quanto un operaio o un impegato non vede nemmeno in 10.

GLI INGAGGI
– Urge un tetto per dare equilibrio ed evitare che le sopra citate grandi rimangano Mecca per chi crede che il guadagno sia tutto.

LE TV
– Comandanop e dettano legge, fagocitando anche altri media che non possono competere per mezzi e per potenzialità. Finchè comanderanno loro e i club saranno schiavi delle loro scelte perderanno tutto quel pensano di guadagnare. Alla fine alle tre carte è sempre il banco che chissà perchè vince.

Fonte Udineseblog.it

Il derby di Milano è già iniziato! A parole...

Senza Kakà, il popolo del Milan comincia a non crederci più. «Ma finchè la matematica non ci condanna tutto è ancora possibile», prova a spronare la sua ex squadra Gianni Rivera. L'ex capitano rossonero da anni ormai vive a Roma. Per lui i tempi mitici delle stracittadine sono ormai lontani, eppure sempre vivi nel ricordo. Neppure l'ultimo allungo interista smuove le sue convinzioni. «Per me quando il Milan gioca da Milan resta in assoluto la migliore squadra del campionato - dice - Il problema è che le manca la continuità». Ma il derby, si sa, è una partita a sè, come dimostra anche l'1-0 dell'andata firmato Ronaldinho.
Già, Ronaldinho. Proprio l'ex Pallone d'oro, a meno di cambiamenti dell'ultima ora di Ancelotti, sarà di nuovo in campo. E i tifosi sperano che torni ad essere protagonista, magari rivitalizzato dall'amichevole di stasera. «Certo nessuno si aspettava questo nuovo allungo dell'Inter - ammette Rivera - però questo non cambia niente.

Il derby è una partita unica dove può succedere di tutto e il Milan ha le stesse probabilità di vincere dei nerazzurri. Spero che vinca il Milan, anche per il campionato».
La settimana del derby però inizia anche con l'eco delle parole di Mourinho sulle «stranezze» arbitrali. «Ma lui è prima personaggio e poi allenatore - la stoccata di Rivera - e da personaggio dice tutto quello che è più utile all'allenatore». «Vedo cose strane», si era sfogato l'allenatore di Setubal, infuriato per la discutibile ammonizione per simulazione rifilata a Ibrahimovic dopo un sospetto contatto in area. Gli ha risposto, poche ore dopo, anche Carlo Ancelotti ha avuto da ridire contro l'arbitro di Milan-Reggina, definito «incerto e nervoso».
Insomma, , a parole il derby è già iniziato....

Chelsea - Juventus: ora c'è più Guus

Abramovich chiama Hiddink al posto di Scolari. Il ct della Russia fino a giugno avrà due panchine. L'olandese: «Avrei detto no a chiunque».
Tra due settimane Claudio Ranieri tornerà faccia a faccia con il suo passato. Non solo a livello di club - al Chelsea ha passato quattro stagioni terminate con un grandissimo rimpianto - ma anche a livello di avversario diretto se è vero che sulla panchina dei Blues, con ogni probabilità, sederà Guus Hiddink, un tecnico che l'allenatore juventino ammira parecchio. Anche perché l'ha avuto da rivaleo ai tempi della Liga. Il bilancio è in pareggio: il 21 novembre 1998 il Valencia di Ranieri ha piegato per 3 a 1 il Real Madrid guidato da Hiddink. L'anno seguente, con Hiddink insediato al Betis e Ranieri sulla panchina dell'Atletico Madrid, è stato l'olandese ad avere la meglio, vincendo 2 a 1.
In realtà però, almeno per il momento, è meglio parlare di ipotesi. La stampa inglese dà per certo l'ingaggio di Hiddink, ma fonti vicine all'olandese frenano un po'. È vero che la federcalcio russa ha concesso il nullaosta perché Hiddink ricopra il doppio incarico fino al termine della stagione (ct russo/allenatore dei Blues), ma quella era più che altro una formalità; buona parte dell'ingaggio di Hiddink con la federazione russa è pagato direttamente da Abramovich, in qualità di super-tifoso (molto gradito a Vladimir Putin). Ed è anche vero che Hiddink ha offerto una certa disponibilità: «La situazione con il Chelsea e la federcalcio russa è complicata - ha affermato -. Ma questa è una situazione eccezionale. A qualsiasi club al mondo che mi avesse chiesto una cosa del genere avrei risposto con un secco no. Però il Chelsea è un caso diverso, perché io ho un rapporto speciale con il proprietario. E, se posso, vorrei aiutarlo».

Detto ciò, Hiddink ha già rifiutato la panchina dei Blues in almeno due occasioni. L'ultima volta lo ha fatto sostendendo che, a 62 anni, e con un passato da giramondo alle spalle, non se la sentiva di prendersi un impegno così grande. Adesso le cose sembrano cambiate. Un Chelsea guidato da Hiddink significa un Chelsea quadrato tatticamente, attento al possesso palla, capace di cambi di ritmo improvvisi. Almeno a giudicare da ciò che il tecnico è stato in grado di mostrare al timone di Corea del Sud, Olanda e Russia, tre nazionali portate fino alle semifinali di Mondiali ed Europei. Ma forse il suo più grande merito è la capacità di inventarsi in epoche diverse. Il primissimo Hiddink era un allenatore in grado di guidare il Psv Eindhoven fino alla conquista della Coppa dei Campioni: era il 1988, altri tempi. Il fatto che sia ancora sulla breccia vent'anni dopo pur cambiando squadra a ripetizione (10 panchine) dimostra quantomeno la straordinaria capacità di adattarsi a qualsiasi situazione.
Sembra che Hiddink sarà un traghettatore in attesa che i Blues centrino il vero obiettivo: Carlo Ancelotti (o, in seconda battuta, uno tra Frank Rijkaard, Roberto Mancini e Martin O'Neill). Già la scorsa estate avevano contattato il milanista, prima di puntare decisi su Scolari. Il brasiliano era stato raccomandato da Peter Kenyon, amministratore delegato, e Pini Zahavi, superagente di fiducia di Abramovich. I due, guarda caso, non sono stati interpellati su Hiddink (Kenyon, addirittura è tutt'ora in vacanza a Barbados). Segno che forse Abramovich non ha poi voglia di cedere il bastone del comando a Stamford Bridge, come ha fatto troppe volte in passato. E forse è proprio questa la vera novità, ancor più dell'arrivo di Hiddink. Kenyon e Zahavi, gli uomini che hanno costruito questo Chelsea, contano molto meno di una volta.

Fonte La Stampa

Il Chelsea esonera Scolari! E a Napoli Reja rischia…

Tempi duri a Londra: il Chelsea ha sollevato dall’incarico Felipe Scolari. Il tecnico brasiliano paga i recenti risultati deludenti, ultimo il pareggio a reti bianche con l’Hull City, e un rapporto non proprio idilliaco con alcuni calciatori. La guida tecnica è stata momentaneamente affidata a Roy Wilkins, ma è una soluzione che sa molto di transitorio.
Infatti è già stato contattato Guus Hiddink, tecnico della nazionale russa e pupillo di Abramovich: l’olandese però non sembra essere interessato a fare da traghettatore e sempre propendere per un rifiuto dell’offerta. Sono spuntati anche i nomi, poco probabili, di Roberto Mancini ( ancora legato contrattualmente all’Inter ) e del ritorno di Avram Grant, ma, come già detto, sono ipotesi fantasiose. Il vero obiettivo e desiderio dei Blues si chiama Carlo Ancelotti: il tecnico rossonero potrebbe chiuedere il suo ciclo vincente questa stagione e non disdegnerebbe un’avventura all’estero. Ovviamente il buon Carletto si libererebbe solo a Giugno, ed ecco quindi che l’ultima idea per guidare i londinesi in questo scorcio di stagione porta il nome di Rijkaard ( probabile che rifiuti anche lui ) e di Roberto Di Matteo, forse la persona più accreditata ad assumere questo ruolo temporaneo.

Napoli: Reja in bilico - Adesso De Laurentis è stufo! La settima sconfitta consecutiva in trasferta ha fatto cadere vertiginosamente la stima della società in Edy Reja. Al tecnico viene addebitata una gestione tecnica della squadra approsimativa e, in particolare, il cambio di modulo per una trasferta difficile come quella di Palermo, non è piaciuto molto : anche i meno esperti sanno che prima di proporre nuove idee e nuove direttive tattiche bisogna collaudarle a dovere! Il tecnico vicentino resterà sulla panchina azzurra sicuramente fino a fine stagione ( sempre che non ci siano sviluppi clamorosi dovuti ad una crisi di risultati eccessiva ), ma dalla prossima stagione dovrà farsi da parte: per la sua sostituzione e per l’inizio di un nuovo ciclo si cerca un tecnico emergente che abbia già dimostrato di saperci fare. Al momento, il nome più gettonato è quello di Massimiliano Allegri che tanto bene sta facendo in terra sarda. Altro nome, emergente e molto valido almeno quanto Allegri, è quello del tecnico del Bari Antonio Conte che sta avendo qualche difficoltà di troppo a rinnovare il contratto con i biancorossi.

Napoli: tecnico e società, due mondi diversi

Tutto troppo scontato, troppo facile da preconizzare, conoscendo bene il nostro campionato e le rose che lo compongono ma soprattutto il nozionismo tattico elementare di Edy Reja. Tutto troppo scontato, forse anche banale, valutando le contraddizioni emerse tra proprietà ed allenatore nelle due fasi di calciomercato: avevo sempre sostenuto che la qualificazione alla Champions League poteva essere al massimo un dolce sogno, ma sinceramente non mi sarei neppure aspettato che l'aggancio alla zona Uefa potesse diventare un incubo. Un punto nelle ultime 5 gare, a Palermo il Napoli ha rimediato il suo settimo ko consecutivo lontano da casa (come 73 anni fa): con quella subita al Barbera, siamo al dodicesimo stop nelle ultime 16 gare esterne, senza contare che nelle ultime 12 partite di campionato, gli Azzurri hanno colezionato la miseria di 11 punti. Il Napoli mi ricorda l'atteggiamento dei sadomasochisti, che amano farsi male da soli: Reja è nel mirino della critica per aver cambiato il modulo nella gara più delicata, lo scontro diretto contro il Palermo di Ballardini.

Il problema comunque non è che Reja non abbia cambiato modulo, come anzi io ho più volte chiesto da queste colonne, ma il fatto che la decisione non sia stata presa per una precisa scelta tattica, quanto piuttosto per le palesi scelte societarie, dettate ad esempio dall'arrivo di Datolo. L'argentino è una pedina inadatta al 3-5.2, ma per una squadra che cambia il modulo in corsa, come insegnano i grandi saggi della panchina, sarebbe stato più semplce un 4-4-2, che permette copertura su tutti i fronti e non richiede grandissima applicazione nel metabolizzarlo al contrario di tutti gli altri schemi. Nel 4-3-1-2 improvvisato ieri, sono fondamentali i movimenti degli esterni, i quali, alzandosi o abbassandosi, determinano la superiorità numerica o la parità numerica in alcune zone del campo: se Hamsik poi viene impiegato sulla trequarti, e con due punte, i tre di centrocampo dovranno essere bravi anche nella fase di contrasto e dunque non mi spiego la presenza di Bogliacino.
Se 4-3-1-2 doveva essere allora, sarebbe stato più indicato Pazienza, per cercare di dare più copertura nella fase di non possesso palla, dato che un pareggio in Sicilia sarebbe andato benone: come terzino destro, poi, è stato schierato Maggio, che da tempo ha ben altre caratteristiche e che si è visto così limitare il raggio d'azione. Santacroce, unico velocista nella difesa del Napoli, avrebbe potuto contenere meglio Miccoli in mezzo, cosa che i vari Cannavaro, Contini e Aronica non hanno mai saputo fare. Sui cambi poi meglio stendere un velo pietoso: perchè buttare dentro Pazienza per Hamsik, confermando la scelta insulsa di Bogliacino, con un calcio alla logica. Lo slovacco, come spesso accade per Kakà per il Milan, Del Piero per la Juve ed eccetera, avrebbe potuto inventare la giocata restando nonostante la prova incostante, cosa che il sopravvalutato e modesto Bogliacino non avrebbe potuto fare. E poi, perché Pià viene preferito al povero Russotto per la panchina? Da tutto ciò si evince solo una cosa: il Napoli quando fa mercato non tiene conto delle esigenze dell'allenatore. Abbiamo rivissuto lo stesso copione di 12 mesi prima, quando fu imposto l'arrivo di Mannini e Reja fu costretto in fretta e furia a schierare un 4-3-3 con l'Empoli. Poi si tornò al 3-5-2, con Mannini esterno, poi Maggio e Mannini a sinistra fuori ruolo. Con Datolo poi abbiamo completato il tris: è un giocatore prettamente offensivo, e visto l'investimento, il Napoli sarà obbligato ad adattare alle sue esigenze lo schema della squadra. Mi sovviene un pensiero, un flash di gennaio 2007, quando fu offerto al Napoli Federico Balzaretti: abbiamo appurato nell'ultima gara quanto sarebbe stato utile un giocatore simile, terzino sinistra ma bravo a riciclarsi a destra, poliedrico e ricco di forza. Ma perchè i giocatori vengono acquistati per stravolgere un impianto consolidato, anziché ad hoc per il modulo prestabilito? Certo con un allenatore diverso sarebbe anche stata possibile una squadra poliedrica e camaleontica, ma conoscendo le caratteristiche di Reja non mi sembra una grande idea.
Questo modulo ad esempio in carriera lo ha già usato a Vicenza com Zauli trequartista, ma lo spiegò dal ritiro, non da gennaio. La seconda considerazione invece è sui cambi a disposizione di Reja, per cui vanno rimarcate le davvero modeste alternative a sua disposizione: basta confrontare ad esempio il fatto che a Ballardini mancassero Carrozzieri e Liverani, eppure Ballardini ha potuto schierare ugualmente gente valida, adatta alla serie A. Riprendo allora il discorso fatto nel primo editoriale della stagione: l'ultima campagna acquisti non ha rinforzato il Napoli, perchè mancano una punta, un centrocampista ed un difensore di grande livello per non finire a rischiare un ottavo posto, al momento concreto per i Partenopei. Ebbene alcuni lettori mi scrissero critici quel giorno, ma oggi sarei davvero curioso di capire il parere di quei pochi: chi vuol bene al Napoli, ed io tra questi, non deve sempre dargli ragione, ma dargli anche essere duro per aiutarlo a crescere. Perché Denis e non Floccari, data l'impossibilità (presunta) di arrivare a Milito? Perché Gargano e non Cigarini? Ma soprattutto perché ancora Reja e non un tecnico emergente? Con tutta probabilità si ripartirà con un nuovo allenatore quet'estate, ma avranno sprecato una stagione. Il calcio italiano intanto sta mettendo in mostra nuovi tecnicidavvero iinteressanti, nomi sulla bocca di tutti, ed a riguardo consiglio ai tifosi del Napoli di godersi il secondo tempo di Sampdoria-Siena, o il primo tempo di Fiorentina-Lazio. Marco Giampaolo e Delio Rossi, ma anche Massimiliano Allegri o Antonio Conte, non sarebbero un salto nel vuoto per un club che deve ancora crescere. Sbagliare è umano, ma l'importante è non perseverare, riconoscendo con umiltà i propri errori senza censurare scomode verità. Il settimo posto è ancora alla portata: andranno sfruttate le gare interne con Bologna e Genoa, con i felsinei particolarmente alla portata. Ma ora è tempo di cambiare registro: sperando che Jesus Datolo valga davvero i sacrifici economici e tattici che la società ha fatto per lui...



Fonte Ciro Venerato per Tutto Mercato Web

L'Inter è sempre padrona

Ogni settimana cerchiamo di disegnare in questo spazio quello che il calcio italiano ci racconta giornata dopo giornata, forse però ci sfugge che in fin dei conti è sempre la solita storia: si cerca una trama complicata, si arredano un po' i discorsi, ma alla fine cosa ci ritroviamo davanti? L'Inter che domina, le altre che si illudono a turno, che arrancano a turno, che si affibiano il platonico titolo di "anti-Inter", ma sempre senza mai preoccupare più di tanto il popolo nerazzurro che osserva, ride e gongola.

Questa giornata perde praticamente d'interesse (o quasi) già il sabato pomeriggio quando la ormai nota "Special-band" fa un sol boccone di un troppo arrendevole Lecce. Però vedere le giocate di Ibrahimovic, Figo e Stankovic è un piacere per l'occhio dell'amante del calcio. Peccato che ci pensi Mourinho a far diventare meno anonima del dovuto questa partita: l'inutile lamentela verso l'arbitro a fine partita poteva essere tranquillamente evitata, soprattutto considerando che lui, da quando è arrivato in Italia, non ha fatto altro che lamentarsi dell'eccessiva attenzione che qui diamo alla moviola. In un ambiente già avvelenato, non è questo atteggiamento che aiuta a stemperare gli animi.

Se Mourinho si sente autorizzato a dire certe cose, Ancelotti dopo la fine della sua partita avrebbe potuto tranquillamente assalire l'arbitro per quanto visto a S.Siro.
Il Milan infastidito dall'eccessivo agonismo della Reggina non è riuscito a portare a casa l'intera posta in palio, si è visto annullare un gol identico a quello convalidato ieri al Siena, e la prossima settimana dovrà fare a meno di Kakà nel derby per un problema ad una caviglia probabilmente dovuto all'agonismo mostrato dai giocatori calabresi durante i 90 minuti. Naturalmente tutto ciò non può essere un alibi, una squadra che ambisce a vincere lo scudetto, partite del genere le deve portare in porto. Invece il Milan non è la prima partita contro squadre di bassa classifica in cui perde punti importanti, quegli 8 punti che domenica lo porteranno alla sfida con l'Inter considerandola l'ultima spiaggia: se il Milan non vince, l'Inter si cuce addosso già mezzo scudetto.

Torna alla vittoria invece la Juve, e decide di farlo nel modo più particolare possibile: in 10 per tutta la partita, soffrendo, con qualche decisione arbitrale discutibile, ma soprattutto grazie ad uno dai piedi di legno criticato da ancora prima che vestisse la maglia della Juventus. Dimenticavamo il nome, Poulsen, l'uomo dello sputo di Totti, letale come un Amauri, roba da non credere.
Zenga si chiederà di quale male si è macchiato per meritarsi una scena da teatro dell'assurdo come questa di Poulsen goleador decisivo, magari quando si ritroverà Terlizzi in allenamento verrà investito da un fascio di luce che gli schiarirà le idee. Ranieri ringrazia, la Juve si fa la seconda puntura di fiducia della settimana dopo la vittoria ai rigori sul Napoli in Coppa Italia, e domenica proverà a sbrigare il proprio compito per arrivare a sedersi comodamente in poltrona e gustarsi il posticipo per capire se veramente è finita l'ora di sognare, o se c'è ancora qualche ora di sonno a disposizione.

Nel frattempo dietro continuano a correre come le matte Roma e Fiorentina.
Totti e compagni, nell'inedita sfida Champions col Genoa, hanno fatto vedere di che pasta sono fatti: come già detto nelle passate settimane, più passa il tempo, più cresce il rammarico per quella che sarebbe dovuta essere la vera realtà di questa squadra senza quelle sciagure di inizio stagione. E' però importante arrivare in questo periodo in forma, l'Arsenal senza Fabregas e probabilmente orfana di Adebayor fa meno paura di quel pomeriggio in cui l'urna decise l'accoppiamento di Champions.
La Fiorentina invece resiste bene alla Lazio perchè ha un portiere che probabilmente è secondo solo a Buffon, e soprattutto un attacco da far invidia a parecchie compagini: Mutu è un misto di fantasia e potere che fa paura, Gilardino è una macchina da reti che non conosce pause.
La lunga volata per l'Europa che conta è appena iniziata, e comunque il Genoa non è da escludere a priori esclusivamente perchè ha meno blasone delle avversarie, o perchè oggi ha perso con la Roma.

Da questa corsa a cui pareva poter partecipare, è uscito invece probabilmente in maniera definitiva il Napoli. Malato di "trasfertite", aveva illuso i suoi tifosi con la prestazione di Torino in Coppa Italia, per poi ricadere a Palermo sotto i colpi di un pazzesco Fabrizio Miccoli.
Poi magari in settimana Reja spiegherà a Blasi che Cavani e Succi non sono giocatori del Napoli, o più semplicemente che lo stesso Blasi non è un giocatore del Palermo.
O succede qualcosa all'ombra del Vesuvio, o a fine anno Lavezzi e Hamsik scappano via.

Dietro è la solita storia, forse avevamo escluso troppo presto Sampdoria e Siena dalla lotta, ma le quattro maggiori indiziate restano le solite. Si accettano sempre scommesse.

Ed ora aspettiamo domenica per capire se è arrivata l'ora di andare tutti sotto la doccia o meno...



Fonte Fabio Mauro Giambò per Fantagazzetta.it

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