Firenze si autodistrugge
Sto vedendo a Firenze troppa voglia di autodistruzione e io a questo gioco non ci sto, potrei anche ripensare a tutto". È un Cesare Prandelli infuriato quello che si presenta in conferenza stampa alla vigilia della trasferta con la Reggina. A tenere banco è però ancora il giovedì nero di Coppa Uefa, che ha visto la Fiorentina uscire dal torneo dopo il pareggio di Amsterdam con l'Ajax. Per la prima volta in tre anni e mezzo, sono arrivate forti critiche anche da una parte della tifoseria viola, rimasta perplessa per alcune scelte fatte del tecnico. Ma Prandelli non ci sta e risponde a muso duro.
AUTOLESIONISMO - "A livello nazionale ci sono state critiche giuste, a Firenze no - dice l'allenatore viola -. Se Firenze è a questo livello di autolesionismo, io non ci sto questa è una città che vive di paradossi e vuole distruggere 4 anni di lavoro. Io invece voglio prendermi quando di positivo è stato fatto dal 2005 ad oggi". L'amarezza di Prandelli è evidente e il futuro in viola non sembra più certo. "Il morale è basso, almeno il mio - spiega il tecnico - A fine stagione rivaluterò il progetto, oggi più che mai".
IPOTESI ADDIO - L'addio a Firenze non sembra adesso un'ipotesi priva di fondamento. "Qualche mese fa avevo detto che in 6-7 anni questa era una squadra che poteva competere per grandi traguardi, ora siamo dopo al quarto anno ed abbiamo fatto grandi cose", afferma Prandelli, ripercorrendo la crescita della squadra. "A livello nazionale e internazionale siamo spesso presi ad esempio, a Firenze invece c'è auto distruzione", ribadisce. "Se la Fiorentina ha determinate risorse per fare una stagione ed è una squadra da quinto-settimo posto dal punto di vista economico, è un miracolo arrivare quarti. C'è troppa aspettativa ed automaticamente tensione. Le grandi squadre hanno più soldi di noi, forse Firenze non accetta il limite".
LA REGGINA - Ora però la Fiorentina è chiamata a cancellare tutte le polemiche sul campo. C'è da difendere il quarto posto e da superare, da subito, l'ostacolo Reggina. "A Reggio Calabria andiamo per fare risultato - dichiara sicuro Prandelli -. Domani sarà difficile, sarà una battaglia, per loro sarà la gara della vita". Contro gli amaranto non ci sarà lo squalificato Gilardino. In attacco, quindi, fiducia dall'inizio a Emiliano Bonazzoli: "Sta bene, lo ha dimostrato anche domenica, sono certo che farà bene".
Anche l'Inter su Diego
L’Inter comincia a lavorare per il futuro. Nel mirino ci sono i due gioielli del Werder Brema: Diego e Mesut Ozil. Gironcino e andata degli ottavi di Champions hanno confermato che serve qualità per primeggiare anche in Europa. Piedi buoni che mancano soprattutto a centrocampo, dove José Mourinho ha via via lasciato per strada i vari Quaresma, Jimenez e Mancini (investimenti da complessivi 50 milioni di euro circa) puntando sui muscoli e la corsa dei vari Zanetti, Cambiasso, Muntari e Stankovic, con i jolly Chivu e Burdisso (di professione difensori) prime alternative in un reparto spesso orfano dello sfortunatissimo Patrick Vieira.
Particolarmente sorprendente la bocciatura di Luis Jimenez, per il quale Mourinho aveva speso parole di grande stima almeno fino ad autunno inoltrato. Giocatore completo, il Maghetto sembrava poter trovare maggior spazio in virtù della sua duttilità tattica: trequartista naturale, ha infatti dimostrato di sapersi muovere molto bene anche come interno sia in nel "rombo" che nel 4-3-3. Ha perso il primo treno per colpa di un grave infortunio muscolare e il secondo per le deludenti prestazioni contro il Siena (20 dicembre scorso) e il Genoa (13 gennaio, ottavi di Coppa Italia): non a caso le ultime due apparizioni ufficiali del Maghetto, al quale non mancano però gli alibi. La società crede molto nel ragazzo di Santiago del Cile (spesi 7 milioni per la metà del cartellino!), bisogna ora capire le intenzioni di Mourinho. Normale che nel frattempo gli uomini mercato di Moratti sondino altre piste per ringiovanire e completare tecnicamente un reparto di centrocampo oggi più muscoli che genio. E giovedì scorso, a San Siro, gli 007 di Palazzo Durini hanno studiato con molta attenzione la partita del Werder Brema e in particolare di Diego Ribas da Cunha e Mesut Ozil. Segni particolari: piedi raffinati, raffinatissimi. Diego non è un nome nuovo del mercato. Nel 2002, appena 17enne, assieme a Robinho ed Elano riportò ai massimi livelli internazionali un Santos caduto di fatto nell’anonimato dopo il ritiro di Pelé. Fu proposto proprio a Massimo Moratti, ma finì al Porto prima e al Werder Brema poi. A frenare all’epoca Palazzo Durini, forse, l’interpretazione troppo brasiliana del ruolo di trequartista — scarsa propensione ad aiutare il centrocampo — e la fama di giocatore poco continuo. Le ultime due stagioni hanno però spazzato molti luoghi comuni nati attorno a questo talento purissimo, 24 anni proprio oggi. Se ne è accorta anche l’Inter, che sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione di Diego, non più genio fine a se stesso, ma trequartista moderno: corsa, intensità, fisico e piedi buoni. È piaciuto nel doppio confronto con i nerazzurri, ha stregato un po’ tutti contro il Milan. Moratti si starebbe convincendo a dare il via a un’operazione da circa 20 milioni di euro, quelli che non sembra disposta a sborsare la Juventus, pure lei sulle tracce del nazionale brasiliano con passaporto italiano. Non trascurabile, infine, la pista che porta a Mesut Ozil, classe 1988, talentino di origine turca (ma nato a Gelsenkirchen), che aveva destato l’interesse dell’Inter a dicembre, nell’ultima gara del girone di qualificazione di Champions. Punto fermo dell’under 21 tedesca, è però già nel mirino della nazionale maggiore. Esterno mancino di grande qualità, vanta 42 presenze in Bundesliga, fra Schalke 04 e Werder Brema. Fonte La Gazzetta dello Sport
Juve - Napoli
Una gara delicata quella che attende il Napoli questa sera. Gli azzurri, infatti, saranno di scena allo stadio Olimpico di Torino. Avversaria, la Juventus: la rivale storica di sempre, contro cui il Napoli sa che non può fare brutta figura. Bianconeri e partenopei hanno da sempre dato vita a gare emozionanti, ricche di gol e mai noiose: ci sarà da divertirsi anche questa sera considerando anche il fatto che il tecnico azzurro, Edy Reja, ha in mente di utilizzare tutti gli uomini offensivi a disposizione, per scardinare la difesa bianconera.
L’allenatore del Napoli è rimasto colpito dalla gara che fece il Cagliari proprio a Torino, battendo la Juventus per 3-2 qualche settimana fa. Reja ha osservato molto bene la chiave del match di allora, trovandola nella velocità degli avanti di Allegri: Cossu, Matri, Jeda e Lazzari scardinarono la difesa bianconera con delle giocate di prima ed in velocità che tramortirono Legrottaglie e compagni. Ebbene, Reja questa sera vorrebbe fare lo stesso adottando un ipotetico 4-3-1-2 con i seguenti protagonisti: Navarro tra i pali; Maggio e Vitale (o Aronica) terzini, Cannavaro e Santacroce centrali; a centrocampo, Blasi, Pazienza (in luogo di Gargano infortunato) e Datolo, con Hamsik alle spalle di Lavezzi e Russotto. In questo caso, l’attacco azzurro, sfruttando la velocità di Lavezzi e Russotto e gli inserimenti di Hamsik, potrebbe giocare un brutto scherzo alla Juventus.
Ma non è tutto. Altro modulo che Reja avrebbe in mente ed anche sperimentato in allenamento, è il famoso 4-2-3-1 alla Spalletti che assicurerebbe, in fa difensiva, ben 6 uomini in copertura, mentre ne assicurerebbe 4 in fase d’attacco. Fondamentale è il ruolo dei due incontristi tra le due linee, che dovranno fare da collante tra i reparti: Blasi e Pazienza però non sono De Rossi e Pizarro, ma ci si può provare, anche se contro la Juventus fare esperimenti azzardati vorrebbe dire gettarsi la zappa sui piedi da solo. Ma il momento il Napoli ormai è entrato in un momento in cui non ha più nulla da dire al suo campionato, quindi potrebbe sperimentare il nuovo modulo e magari trovare quello adatto agli uomini a disposizione. Tornando al modulo spallettiano, i tre d’attacco sarebbero Datolo, Hamsik e Russotto, con Lavezzi unica punta. Bocciatura nuovamente per Denis.
Alla fine di tutto, però, Reja sa che non può sbagliare l’ennesima gara. Malgrado i suoi superiori abbiano ribadito che la sua panchina non è in discussione anche dopo una eventuale sconfitta contro la Juventus, ci rimane difficile crederlo in quanto il Napoli, in caso di sconfitta anche stasera, rischia davvero di sprofondare sempre più e potrebbe affidarsi ad un traghettatore fino a giugno: in settimana Papadopulo si è fatto avanti “minacciosamente”. Ecco quindi che Reja, per non rischiare brutte figure con cambi di modulo azzardati, potrebbe ripresentare il suo Napoli con il consueto 3-5-2 con le uniche novità Aronica in difesa al posto di Contini e Datolo a sinistra al posto di Vitale; in attacco Lavezzi e Denis. staremo a vedere, fatto sta che il Napoli non ha l’intenzione di andare a Torino da semplice comparsa.
Quanti oriundi!
Gli ultimi sono stati il giallorosso e il genoano, sempre in attesa che la telenovela legata al destino dell'attaccante bianconero giunga ad una soluzione definitiva.
Ma, come detto, non ci sono solo loro tre. Qualche tempo fa a proporsi era stato il laziale Cristian Ledesma, argentino con passaporto italiano, mai chiamato dalla Seleccion, malgrado le recenti convocazioni di Maradona per l'amichevole con la Francia potessero trarre in inganno (il giocatore in questione era il Cristian Raul Ledesma del San Lorenzo).
Qualcuno invece la maglia azzurra l'ha già indossata. Fernando Forestieri, altro argentino, appartiene già alla Nazionale azzurra Under 20, mentre il suo connazionale (di nascita) Osvaldo, ora al Bologna, ha fatto parte della spedizione olimpica guidata da Casiraghi, oltre a giocare nell'Under 21.
In attesa che i giovani crescano, Lippi potrebbe, volendo, 'pescare' giocatori già affermati, da impiegare all'occorrenza. Alla lista dei vice-Buffon, potrebbe, chissà, aggiungersi Rubinho, protagonista col Genoa di Gasperini, nazionale verdeoro solo fino all'Under 20, libero dunque di scegliere altri colori per la Nazionale 'dei grandi'.
Maximiliano Pellegrino e Josè Talamonti, dal nerazzurro dell'Atalanta, potrebbero fare il salto all'azzurro della Nazionale. Entrambi argentini, entrambi con passaporto italiano. Così come i connazionali e colleghi di reparto Campagnaro (Samp) e Silvestre (Catania), più i brasiliani Cribari (Lazio) e Felipe (Udinese). Tutti convocabili, tutti in attesa di una prima chiamata.
Buffon a 360 gradi
Due scudetti tolti d'ufficio e una retrocessione che avrebbe potuto farlo scappare: "E' un fatto di coscienza - spiega - Aver lasciato la Juventus in un momento così non mi avrebbe fatto vivere bene. Alla fine per giocare bene, per stare bene con gli altri, devo avere la coscienza a posto e quello era l'unico modo per poter continuare a giocare in maniera tranquilla e spensierata. Quando Secco prese l'incarico di Moggi mi disse che c'erano Milan e Arsenal che mi volevano. Penso di aver dato a lui e alla Juve quell'iniezione di fiducia ed entusiasmo per ricominciare a tessere la ragnatela per tornare grande. Se non avessi fatto quella scelta la vittoria di un campionato non mi avrebbe più dato grosse soddisfazioni".
In mezzo, prima ancora del Mondiale vinto con la maglia azzurra c'è la bufera delle scommesse, una vicenda che lo ha profondamente segnato. "Nel 2006 - racconta Buffon - erano 11 anni che ero nel calcio e il fatto che in un momento simile tutti mettessero in dubbio la mia lealtà sportiva e di uomo mi ha ferito molto - ammette - Scrissero anche che vendevo le partite per scommetterci sopra, mi ferì molto".
Nel 91' l'arrivo al Parma. Quattro anni dopo, a soli 17 anni, l'esordio in serie A contro il Milan e le parate di Gigi Buffon salvarono i gialloblu. "Il giorno in assoluto più bello della mia carriera calcistica - ammette -. Me lo ricordo ancora, ho dei flash, delle immagini che non mi scorderò mai più: un sogno che si è avverato, un'emozione grande, mista a gioia". Era un Parma fortissimo con i vari Cannavaro, Thuram, Crespo, Stoichkov e un giovanissimo Pippo Inzaghi: "Con il Parma a Parma, in otto anni di prima squadra, non ho mai perso con Milan, Inter e Juve - sottolinea il numero uno azzurro -. Questo è significativo, ti fa capire quanto eravamo forti. Se c'era una partita importante da fare non la perdevamo mai, spesso la vincevamo. Però, per vincere i campionati ci vuole continuità, mentalità, ci vuole consapevolezza di quello che bisogna fare per vincere. Eravamo tutti troppo giovani".
Nel 2001 l'addio ai colori crociati. La Juventus sborso 105 miliardi di lire per poter averlo in squadra. Una cifra stratosferica, ancora più se si pensa che venne spesa per un portiere. "Un bell'orgoglio, anche perché credo di essere stato l'unico portiere per cui sono stati spesi così tanti soldi. Poi credo di aver dimostrato con gli anni che quella cifra non fosse così spropositata come quasi tutti avevano pensato. Anche con il Barcellona avevo preso dei grandi contatti - confessa - ma nel momento in cui Silvano Martina stava andando a Barcellona a chiudere la trattativa, lo chiamò Moggi e si mise in mezzo la famiglia Agnelli. Io avevo una gran voglia di vincere uno scudetto, mio padre mi disse che la Juve non vinceva lo scudetto da cinque anni e che tempo due anni l'avrebbe rivinto. Alla fine ho seguito il suo consiglio ed è stata una bella scelta". C'era anche la Roma, però, nei sogni di Gigi Buffon: " Inizialmente la mia grande amicizia con Totti e Vito Scala, mi aveva fatto propendere per Roma, dove era anche arrivato Capello e sembrava fosse cominciato il ciclo di una squadra invincibile. Mi ricordo che Silvano e mio padre erano andati a parlare con Sensi, poi per ragioni economiche il presidente della Roma fece un passo indietro e preferì prendere Pellizzoli, pagandolo meno, ma che all'epoca era uno degli emergenti".
Tre arbitri in campo
La rivoluzione del football è prevista per domattina a Newcastle, Nord Irlanda: l'International Football Association Board, l'Ifab, darà (quasi sicuramente) il via libera all'esperimento decisivo dei "tre arbitri", mentre boccerà, per la terza volta in pochi anni, il cartellino arancione, l'espulsione a tempo. Si tiene il meeting numero 123. Di estrazione britannica, molto conservatore, l'Ifab è l'organismo che ha scritto le regole del gioco del calcio, e qualche volta le riscrive. Sbagliando pure, e complicandole: vedi fuorigioco o fallo di mano. Su otto voti complessivi, ne servono sei per approvare le proposte.
Ma un potere enorme lo ha comunque Sepp Blatter, il dittatore della Fifa. I primi test sui due arbitri (giudici) di area, voluti dall'Uefa, sono stati estremamente positivi: e ne sono stati testimoni anche tre direttori di gara italiani, Rizzoli, De Marco e Saccani in occasione degli Europei Under 19. Pierluigi Collina ha convinto Platini: ci vogliono arbitri veri, magari in pensione (over 45), e non assistenti. Perché questo ruolo è estremamente delicato e si devono prendere decisioni da arbitro: simulazioni, falli di mano (ma quello di Adriano per Collina, si sa, era regolare...), scorrettezze, gol-fantasma, eccetera. "Ho parlato con gli arbitri che hanno fatto questa sperimentazione - ci spiega il designatore - e mi hanno detto che la sensazione era di avere un maggiore controllo su quello che succedeva nell'area di rigore e che comunque la decisione viene sempre presa da uno solo, il capo arbitro".
I calciatori, con più occhi che li osservano, si comportano meglio. Un problema potrebbe essere il costo, perché i due arbitri di area andrebbero pagati. In pratica, sei persone per ogni partita: l'arbitro-capo, i due assistenti, i due arbitri d'area e il quarto uomo. "Ci vorrebbe un pulmino per portarli tutti", disse, tempo fa, Cesare Gussoni. Sei persone collegate fra loro con l'auricolare: sai che caos in campo fra urla e parolacce. E poi, quanto costerebbero mettere in piedi questa maxi-organizzazione? Quante Federazioni se lo potrebbero permettere? Per questo la Figc, più ricca di altre, si è fatta subito avanti: e Platini ha apprezzato molto la disponibilità di Giancarlo Abete. Si partirà quindi dalla prossima Coppa Italia, il 2 agosto.
La Federcalcio scozzese invece propone (ancora) di ritentare la strada delle tecnologie: niente moviola, per carità, ma un dispositivo elettronico sulle porte oppure un pallone coi sensori (studio Adidas che tra l'altro è sponsor Fifa...) per "intercettare" i gol-fantasma. Anni di test hanno portato a risultati deludenti: l'unico sistema che funziona è quello delle telecamere del Cnr, mai preso però in considerazione, a livello internazionale.
Improbabile, forse impossibile, che passi invece la proposta della Federazione Nord Irlanda. Il cartellino arancione. Altri sport hanno già adottato da anni l'espulsione a tempo: l'hockey su ghiaccio, il rugby, la pallanuoto, la pallamano, l'hockey su pista, eccetera. Ognuna ha le sue regole. Il football cerca invece una via di mezzo fra cartellino giallo e rosso. Ma bisogna stabilire la durata della punizione in panchina? Cinque, dieci o addirittura venti minuti? E che succede, ad esempio, se viene espulso un portiere? Tutte domande che domani potrebbero non avere una risposta dall'International Board. Per ora l'espulsione a tempo l'avremo solo in Italia: ai tornei Csi e alla Clericus Cup, il torneo del Vaticano. In entrambe le manifestazioni si usa il cartellino azzurro, per l'arancione bisognerà ancora aspettare. Buone possibilità che sia approvata invece la quarta sostituzione in caso di supplementari, mentre dal fronte britannico è stato già detto di no all'idea di aumentare il tempo limite dell'intervallo, forse per motivi televisivi, passando da 15 a 20 minuti. Via libera agli allenatori: potranno sguazzare nell'area tecnica. Purché, scrive la Fifa, si "comportino bene".
Fonte La Repubblica
Silvio e rifondazione: mai
Inutile fare quest'oggi, all'indomani di una Waterloo totale per la stagione del Milan, processi a posteriori ai singoli: al di là di come è terminata la partita, la squadra di Carlo Ancelotti è stata umiliata dal primo all'ultimo minuto di un match che ha avuto l'epilogo che meritava. A memoria, nessuna squadra durante la così detta "era Ancelotti" è mai venuta in campo europeo ad imporre il suo gioco in maniera così schiacciante, con oltre 20 conclusioni in porta: e la cosa ancor più agghiacciante è che la squadra di Schaaf ha assolutamente annientato il Milan sul palleggio, la costruzione della manovra, ovvero quelle che si presumevano fossero le armi di questa squadra.
Dortmund, La Coruna, Istanbul erano state clamorose disfatte con almeno l'assenza di un'aggravante come il giocare in casa: viene da pensare che sia stata evidentement una fortuna che il pubblico di San Siro non abbia accolto totalmente l'appello di fare sold out, altrimenti i fischi (di ben altro peso rispetto agli sparuti rivolti a Seedorf l'altro giorno) sarebbero stati assordanti e massacranti a ragion veduta. Il ciclo Ancelotti si è ampiamente concluso, questa volta lo diciamo amaramente senza timore di smentita: la questione non dovrà essere se scegliere un suo successore, ma quando farlo e chi. Sarebbe irrispettoso nei confronti di tutti continuare una storia che fa solo del male ai protagonisti: ingiusto propinare ai tifosi l'ennesima illusione di una finta rifondazione, triste anche che un tecnico che ha fatto la storia di questa società debba andar via da indesiderato anziché da vincente come avrebbe meritato. Ora occorre non sbracare, come si dice in gergo, ma guai a spacciare per "obiettivo" la qualificazione in Champions: quella dovrebbe essere piuttosto un impegno concreto che dei grandi giocatori (appannati quanto si vuole, ma pur sempre campioni) hanno il dovere di assicurare ad un popolo, quello rossonero, che anche nei momenti più difficili non ha mai fatto mancare il suo sostegno. Guardare oltre, con un pensiero al passato: il 13 marzo 2001, il Presidente Berlusconi esonerò in diretta tv Alberto Zaccheroni dopo il pareggio contro il Deportivo La Coruna che escludeva i rossoneri dalla Champions. Fu un coraggioso "mea culpa" di una grande tifoso che ammise di aver trascurato il suo primo amore e decise con un atto di forza di cambiare radicalmente via: a distanza di otto anni, un provvedimento analogo è decisamente indispensabile. Berlusconi, si sa, è una persona che ha fatto della sua immagine da vincente la fortuna nella vita ed in tutti i campi in cui si è "buttato", dall'imprenditoria alla politica passando appunto per il calcio: accettare passivamente l'idea di un Milan perdente, che tanto ricorda l'Inter di qualche anno fa, sarebbe una clamorosa svolta in negativo nella storia di questo club. Ben più, con tutto il rispetto ovviamente, della possibile cessione di un fuoriclasse assoluto come Kakà, per cui i tifosi sono scesi in strada incuranti del freddo, della neve e dei petrodollari di Dubai: senza arrivare ad un clima di scontro, è lecito attendersi nei prossimi giorni che i delusi fans milanisti facciano sentire la loro voce. Servirà probabilmente, perchè questa dirigenza ha dimostrato a più riprese di considerare sempre, nel bene e nel male, l'idea di chi paga, di chi soffre, di chi tifa per questi colori: per valutare l'inadeguatezza di alcuni giocatori ad un progetto degno di tale nome ci sarà tempo... Ora però le decisioni vanno prese dalla cima della piramide, a catena: altirmenti, qualcuno sussurra già nei forum, c'è pur sempre lo Sceicco Mansour...
Milan, il male incurabile
Davanti la squadra di Ancelotti è potenzialmente una delle squadre migliori al mondo. C'è Pato, con la sua freschezza e la sua velocità impressionante, condita da una potenza non da poco per uno della sua età. C'è Kakà, uno dei centrocampisti offensivi più forti al mondo in assoluto, se non il più forte. C'è Ronaldinho, che a dispetto di una condizione non ancora ottimale ha dei numeri che pochi altri, nella storia del calcio, possono dire di avere avuto. C'è Clarence Seedorf, che nonostante l'ultimo periodo opaco rimane uno dei centrocampisti più forti e vincenti tutt'ora in attività. Per non parlare di Pirlo, considerato il top nel suo ruolo, e di Beckham, che ha meravigliato anche i più scettici. E Ambrosini, anche se Lippi non lo vede neppure col binocolo, è uno che sa tirare la carretta anche per quelli che hanno più piede che polmoni.
Ma Pato, Kakà, Seedorf, Pirlo e Ambrosini c'erano anche l'anno scorso, e Ronaldinho e Beckham, per quanto utili alla causa, non sono innesti che possono risolvere i problemi che affliggono da tempo il Milan. Problemi difensivi. Evidenti, anche a chi guarda il calcio con occhio poco critico. Perché se basta un lungagnone peruviano di 31 anni, Pizarro, a mettere in apprensione l'intera retroguardia, significa che qualcosa è andato storto. Significa che Maldini, Favalli, Senderos e Zambrotta (tutti ultratrentenni a parte lo svizzero), non sono, o non lo sono più, all'altezza della situazione. Vero, l'assenza di Nesta si fa sentire. Ma perché si sostituisce un titolare inamovibile della Nazionale (lasciata per sua volontà) con uno che veniva considerato la sesta scelta tra i difensori centrali dell'Arsenal, ovvero Senderos? Perché si va ad investire una cifra di venti milioni di euro per un giocatore ormai in fase calante, fermo da un anno, ovvero Ronaldinho? Perché si va a riprendere un giocatore usurato, che se n'era voluto andare via per i soldi, e che va solo ad ingolfare un reparto, quello avanzato, che tutto necessitava fuorché di un'altra figurina, ovvero Shevchenko?
L'Inter dopo aver comprato Maicon, attualmente il più forte terzino destro al mondo, ha "coltivato" Santon, una promessa del calcio nostrano. La Juventus ha investito su Chiellini, ha scoperto De Ceglie, dato fiducia a Molinaro. La Roma, in emergenza, si è affidata a Motta, giovane terzino tutto cuore e grinta prelevato dall'Udinese nel mercato di riparazione. E il Milan? I tifosi si chiedono che fine abbia fatto Antonini, relegato costantemente in panchina dopo alcune prestazioni molto positive ad inizio stagione; si chiedono dove siano i ragazzi della Primavera, soltanto una decina d'anni fa fiore all'occhiello della società; si chiedono cos'abbia Mattioni, unico acquisto invernale presentato come terzino di belle speranze. Ah già, c'è Thiago Silva per l'anno prossimo. Vaglielo a spiegare ai tifosi.
Inter, campione a parole
Le pagelle di questi ultimi incontri europei
Juventus 6
La sufficienza perché alla fine, delle tre italiane impegnate in Champions League, è stata la meno triste e un po' di coraggio comunque lo ha mostrato. La Juventus di qualche mese fa aveva basato tutta la sua forza sulle tre coppie fondamentali : Chiellini-Legrottaglie in difesa, Sissoko-Tiago a centrocampo e Amauri-Del Piero in attacco. Arrivati al dunque nessuna delle tre coppie ha fatto niente di speciale. Anzi, quella difensiva, si è fatta pure infilare da Drogba. Possibilità di passare il turno 40%.
Nedved 8,5
Il voto è alla carriera (uno scudetto e una Coppa delle Coppe con la Lazio, due scudetti e Pallone d'Oro nel 2003 con la Juventus), ha deciso infatti di annunciare l'addio arrivato quasi alle soglie dei 37 anni. E' stato, è tuttora, un grande giocatore: potente, agile, capace di gol spettacolari. Celebrando lui non si può non dare anche un 7 di merito a Zdnenek Zeman, suo connazionale, che nel '96 lo volle fortemente alla Lazio, già intravedendo in lui un campione. Anche altre volte Nedved aveva annunciato l'addio, cambiando poi idea in extremis. Gli auguriamo di non farlo, i grandi calciatori devono lasciare quando ancora ne hanno.
Inter 5
L'impressione è che la maggioranza delle energie si sprechino in chiacchiere. Anche se questa è una precisa strategia di Mourinho che cerca di focalizzare tutte le tensioni su se stesso per lasciare tranquilla la squadra. E così alla vigilia se la prende con Ancelotti, e dopo la partita punzecchia pure l'arbitro, come al solito. Frattanto però il Manchester Utd ha dato lezione di calcio, risparmiandole i gol però. L'unico e principale merito dell'Inter è avere un portiere eccezionale, Julio Cesar, che in questo momento è il migliore al mondo. Ibrahimovic invece, quando arrivano queste partitissime, fatica a diventare lo showman del campionato. Il patatrac, è giusto ricordarlo adesso, l'Inter lo fece in fase di qualificazione sbagliando disatrose partite a Cipro con l'Anorthosis (3-3) , in casa col Panathinaikos (ko per 0-1) e a Brema (ko per 1-0), con un Mourinho tra i più fuoriforma di tutti (era il periodo in cui affastellava punte alla rinfusa...). Questo pasticcio l'ha retrocessa al secondo posto, l'ha messa di fronte al Manchester e l'ha costretta a disputare per di più all'Old Trafford la partita di ritorno dove troverà i vari Cristiano Ronaldo, Rooney e Giggs ancora più avvelenati. Le chance di passare non sono tante: 20-25%.
Gigi Simoni 7
E a proposito di Inter : si può ricominiciare anche a 70 anni e dalla Lega Pro, più precisamente il Gubbio. E' capitato a Gigi Simoni, un vero signore del pallone, che l'Inter di Moratti - era l'epoca del primo Ronaldo - maltrattò. Ma questa è storia vecchia. Dice che stare lontano dal calcio lo aveva fatto sentire all'improvviso un po' più vecchio. E così è corso a cercarsi una squadra.
Roma 5
All'Emirates Stadium si è fatta proprio mettere in soggezione dall'Arsenal. Serviva la corsa e non c'è stata; servivano uomini in perfetta forma e non c'erano o erano proprio infortunati; serviva un Totti leader e non si è visto; serviva anche un Pizarro forse in campo fin dal primo minuto ma Spalletti ha preferito puntare su altri; serviva una difesa al suo massimo e invece c'era il solito distrattissimo Loria e così via. Al ritorno ci vorrebbe una Roma letteralmente trasformata, ma nelle ultime settimane non si è vista. Se... se.... se.... se può pure farcela a battere l'Arsenal 2-0. Chance? 40%, scarse.
Calcio inglese 7,5
Più coraggio, più energia, soprattutto quando comincia una partita un club inglese mette palla a terra, corre e ci prova sempre. Meno tatticismo, giocatori che vanno via in dribbling senza paura. I migliori? Nasri per l'Arsenal, Ronaldo per il Manchester e Drogba per il Chelsea. E che spettacolo gli stadi inglesi: Drogba dopo aver segnato ha fatto il gioco del mitra alla Batistuta e poi è andato a stringere le mani ai tifosi a bordo campo.
Fonte La Repubblica
Juventus beffata
La Juve, però, a parte metà primo tempo, ha poi tenuto bene il campo dimostrando personalità e sfiorando in varie occasioni il pareggio che sarebbe stato meritato. La formazione di casa parte forte e passa in vantaggio già dopo 12' grazie a Drogba. Kalou inventa un passaggio filtrante in area per l'ivoriano che stoppa e scarica alle spalle di Buffon portando in vantaggio la sua squadra. La reazione della Juventus tarda ad arrivare ed il Chelsea spinge ancora sfiorando il raddoppio ancora con Drogba al 16': il suo colpo di testa, però, si perde a lato. I bianconeri si fanno notare al 22': Tiago serve bene Del Piero in area ed il capitano calcia verso la porta ma si trova davanti un ottimo Cech che si salva in angolo. Sul corner, Amauri spizzica di testa da buona posizione e Chiellini manca la deviazione a rete davvero di poco. La formazione di Ranieri piano piano si ritrova e mette paura al Chelsea: al 24' Camoranesi prova dalla distanza e Cole ci mette la testa per la deviazione in angolo. In chiusura di tempo, invece, è Nedved che tenta il tiro da fuori ma la sua conclusione è debole. Ad inizio ripresa, la sfortuna sembra accanirsi con la Juve e soprattutto con Camoranesi, costretto ad uscire (al suo posto Marchionni) per il riacutizzarsi di un problema muscolare. I bianconeri, però, adesso tengono meglio il campo e si fanno vedere a più riprese dalle parti di Cech. Al 14' Amauri protesta per un fallo subito in area da Cech ma l'arbitro lascia correre, poi al 17' un sinistro di Marchionni ben smarcato termina alto. Amauri ci prova di testa al 26' ma Cech c'è, Ranieri poi tenta la carta Trezeguet a 5' dalla fine: da un errore del francese, però, arriva il contropiede dei londinesi con bolide da 30 metri di Anelka che sfiora il palo e poi, sul capovolgimento di fronte, proprio il francese bianconero ha sui piedi la palla del pari ma la sua conclusione è sporca e si perde a lato. All'ultimo secondo di gara è Nedved a sfiorare il pari con un sinistro maligno che fa tremare Stamford Bridge. Tutto è rimandato alla gara di ritorno.
RANIERI: «SIAMO PARTITI MALE» - L'allenatore della Juventus a fine partita ha riconosciuto che la sua squadra non ha affrontato l'inizio della partita con lo spirito giusto. Abbiamo lasciato a loro l'iniziativa e l'abbiamo pagato. Adesso giocheremo in salita ma lotteremo fino in fonda. Drogba è stato determinante, anche l'abbiamo contenuto per quanto possibile». «Nella partita di ritorno - ha concluso Ranieri - loro cercheranno di nuovo di fare possesso palla e noi dovremo essere bravi a impedirglielo».
Ranieri, mago mancato
Claudio, ma come si traduce in italiano Tinkerman? "Non si traduce. Al limite, si può dire uno che aggiusta". O uno che pasticcia? "No, i pasticcioni siete voi". Claudio Tinkerman Ranieri è tornato a Stamford Bridge: "Abramovich mi disse che questa sarebbe sempre stata casa mia". Infatti l'hanno accolto come uno dei famiglia, giocando sui doppi sensi di quell'antico soprannome ma soprattutto spalancandogli le braccia, regalandogli sorrisi, miele, zucchero.
"Gli devo la carriera. Se non avesse fatto spendere 11 milioni di sterline per comprarmi dal West Ham, oggi non sarei quello che sono. Mi ha aperto gli occhi, ha insegnato il grande calcio: quando fu mandato via non venne trattato bene, gli dobbiamo rispetto e riconoscenza" dice Frankie Lampard con toni appassionati. Lampard, mica uno qualunque.
"Prima di lui, eravamo una squadra da quinto-sesto posto. Adesso, siamo tra i migliori del mondo". Non è tutto merito di Ranieri ma anche, o soprattutto, dei milioni di sterline (miliardi di rubli) che Roman Abramovich ha speso per collezionare fuoriclasse.
"Ma i padroni pensano che i soldi bastino per vincere. Non è così, per fortuna: la squadre si costruiscono pezzo dopo pezzo e il denaro non è tutto, anche se aiuta", osserva con puntiglio l'allenatore della Juventus, che lavorò al Chelsea dal 2000 al 2004: tre stagioni di fatica a passione, con un club sull'orlo del fallimento, e l'ultima, quando Abramovich cominciò a pompare banconote, ai confini della gloria. Ranieri si fermò alle semifinali di Champions League, estromesso dal Monaco di Deschamps che ancora addesso lo sbeffeggia: "Fece alcune mosse che ci favorirono. Diciamo che lo considero uno dei miei benefattori".
Qui Ranieri ha trovato solo caldi abbracci, e prima della partita riceverà applausi sinceri. "Eppure io qui non ne ho scritta molta, di storia. Per tre anni abbiamo tirato avanti senza un pound, ma riuscimmo a qualificarci per le Champions. Poi arrivò Abramovich e mi sembrava di essere al fantacalcio: compra chi vuoi, mi disse". Ma durò poco, perché Tinkerman non era abbastanza per i sogni di grandezza del magnate russo, che infatti si comprò anche Mourinho: arrivarono scudetti, non la Champions sfiorata invece l'estate scorsa da Grant, il successore di Mou. Oggi c'è Hiddink, successore del successore del successore, che definisce Ranieri "gentleman coach". Per ricevere tanti complimenti ha dovuto tornare a Londra, la città dove si annida il maggior numero dei suoi estimatori: non sarà per caso che si è comprato casa qui, lontano dall'Italia molto meno riconoscente e senz'altro più ingrata. "Ma a Torino posso scrivere una storia nuova".
Magari smettendola, per una vita, di preparare la strada alle vittorie degli altri.
Fonte La Repubblica
L'ultimo saluto
Finanza creativa nel calcio
I sostenitori del Colonia possono in sostanza acquistare un 'pezzettò del loro beniamino di una taglia minima appunto di 64 pixels (8 x 8) pagando 25 euro e lasciare anche un messaggio, come ad esempio quello a firma Ernst e Beeke che si dicono "felici di vedere Podolski ritornare a casa". Da questa originale iniziativa i dirigenti della società dell'ovest della Germania sperano di raccogliere circa un milione di euro, ovvero un decimo della cifra per il trasferimento più oneroso nella storia del club.
Il sito al contempo ha attirato un certo numero di imprese, sia di dimensione locale che internazionale, pronte ad approfittare di questo strumento dove compaiono il giocatore e in primo piano la cattedrale di Colonia per farsi pubblicità.
Dopo tre stagioni in Baviera, Podolski ritroverà a luglio la squadra in cui è cresciuto calcisticamente a condizione che il Colonia rimanga in Bundesliga. Nelle due stagioni e mezzo con la maglia del Bayern, "Poldi" ha collezionato 58 presenze nel massimo campionato tedesco, realizzando in totale 12 gol, dal momento che i tecnici Ottmar Hitzfeld e Juergen Klinsmann gli hanno preferito il centravanti azzurro Luca Toni e quello della Nazionale tedesca Miroslav Klose come coppia d'attacco.
Mourinho e i pirla
Non si è parlato solo di Champions e di Manchester United nella conferenza stampa della vigilia della gara di andata degli ottavi di finale. Forse proprio per distogliere l'attenzione da questa sfida determinante, il tecnico dell'Inter Josè Mourinho ha caricato a testa bassa contro Carlo Ancelotti, reo di aver sostenuto che solo il portoghese non era d'accordo sulla necessità di annullare il gol di Adriano nel derby: "Ancelotti è l'unico a considerarlo irregolare, è un grande allenatore, ma pensa che gli altri sono pirla quando parla così? E lo dimostra quando non dice che nel derby dell'andata ha vinto con il fuorigioco di Kakà
Ed è una fortuna che Allegri è uno tranquillo, se avesse avuto la bocca grande come me o Ancelotti forse oggi si parlava del gol del Milan e di Inzaghi, che meritava tre giornate di squalifica. Si potrebbe parlare di tante cose, di un rosso per Ambrosini contro di noi che non è stato dato. Se il Milan è riuscito a trasformare un derby che andava verso il 3-0 o il 4-0 in un 2-1 è stato fortunato. Ma la fortuna è una qualità delle grandi squadre".
CAPITOLO ADRIANO - Basta con le braccia e le mani di Adriano. Se non riescono a squalificarlo almeno che sia condannato ad essere ammanettato con le mani dietro la schiena. O le usa per spingere dentro un pallone o per dare un cazzotto nello stomaco a un avversario oppure per saltare scompostamente. Nel caso del gol del derby c'era la netta impressione che il fallo ci fosse, ma non la sicurezza che l'uso del braccio fosse involontario. E su questo il giudice si è basato - giustamente - per risparmiargli la squalifica per simulazione. E però a Bologna si è visto ancora qualcosa di molto simile. Forse è il caso di riaffermare solennemente che nel calcio le mani non si usano. Tre indizi fanno una prova e soprattutto il sospetto che un po' di reverenza arbitrale nei confronti dell'Inter ci sia tutta. Altrimenti, come al solito, si rischia di usare due metri e due misure: durezza nei confronti di Gilardino, braccia aperte - è il caso di dire - nei confronti di Adriano e dell'Inter. Proprio dopo che il diabolico Mourinho aveva cominciato a lamentarsi degli arbitri... Insomma Adriano fa il furbo e gli arbitri e chi li comanda si fanno prendere per il naso.
Napoli, ecco i responsabili
I tifosi hanno assediato fino alle 20.45 lo stadio San Paolo, quasi quattro ore. La mediazione della polizia, interessata ad evitare incidenti e a rimandare a casa centinaia di agenti, ha favorito l'incontro di Pierpaolo Marino, il solo dirigente che si sia esposto, con una delegazione di Ultras.
Sono state quindi dettate le condizioni: ritiro immediato e massimo impegno. Il Napoli si è piegato.
Per società, allenatore e squadra è uno smacco. Sono stati espropriati dei loro poteri i dirigenti, dei loro diritti i calciatori. È un golpe che li mortifica, ma scrive una pagina nuova, non esemplare perché segna il trionfo della demagogia, delle minacce, di un assedio.
Tenere una squadra prigioniera negli spogliatoi per quattro ore è violenza, dimostra quanto sia potente e temuta una tifoseria organizzata ma non compromessa da rapporti preferenziali con i dirigenti.
Il movimento Ultras di Napoli è stato negli ultimi anni depurato da inedite inchieste per il calcio italiano, dove tutto comincia e finisce intorno allo stadio, aggressioni e manganelli, sangue e abusi, pietre e coltelli, senza dimenticare attacchi proditori negli Autogrill, poi nemici come prima e arrivedersi alla prossima domenica.
A Napoli no. La Procura antimafia (la Dda) e la Digos hanno attuato una diversa strategia. Le vicende non si sono mai chiuse la domenica, le indagini si aprivano appena terminavano gli incidenti o durante gli scontri.
La Digos, guidata da Antonio Sbordone, ha schierato due formazioni. Una: dialogante. L'altra: investigativa. La prima tiene i rapporti con i tifosi, li conosce, ne studia le gerarchie, i metodi, gli obiettivi. L'altra registra i profili penali in caso di incidenti, ricostruisce oscure alleanze come nella rivolta di Pianura quando i politici reclutarono i professionisti delle sommesse tra gli Ultras. Non disdegna le intercettazioni. Passa quindi alle retate notturne con arresti all'alba, stile blitz anticamorra.
Un pm di punta nel pool anticamorra, Antonello Ardituro, da anni trova il tempo per istruire processi alla tifoseria violenta, senza trascurare il feroce clan dei Casalesi. Questa risposta giudiziaria ha liberato gli Ultras di delinquenti travestiti da tifosi, ragazzi che non sapevano distinguere un gol dalle tangenti, una bandiera azzurra dalle bombe carta, la fede dall'estorsione.
Possono apparire come i nipotini di Masaniello, questi. Sono rappresentanti di commercio o tassisti, studenti fuoricorso o cassintegrati: ma non prendono soldi dalla società, non le chiedono favori, non commerciano biglietti sottobanco. Hanno mani rivide di fatica, ma pulite. Possono sembrare fanatici, ma non corrotti.
Rivendicano la loro indipendenza, non si lasciano manovrare, i loro striscioni sono paventati da società e squadra più delle cartelle esattoriali.
Prima di Napoli-Genoa ne sono comparsi due. In curva B: "Il calcio non è cinepanettone, la programmazione è solo improvvisazione". In Curva A: "Due mesi senza impegno ed ora ci chiedete il sostegno, la nostra posizione è questa: per voi è l'ultima occasione".
Occasione che non hanno colto i giocatori. Fuori forma, anche Lavezzi. Il Napoli ha perso 1-0. E gli Ultras, quasi 400, hanno circondato l'uscita dello stadio. Alla squadra è stato suggerito di non uscire, De Laurentiis e Marino intanto ragionavano con Reja che voleva dimettersi.
Dal 21 dicembre (sconfitta con il Torino e lunghe vacanze) il Napoli non si è più ripreso. Reja non ha letto i segnali di crisi, comunque non ha saputo arginarla. La società neanche, se ha acquistato un grazioso argentino dal piede sapiente per otto milioni di dollari, Jesus Datolo, lasciato in panchina nella partita con il Genoa. Doveva essere il sostituto di Mannini, squalificato per un anno, ma non ha passo né potenza per battere la corsia di sinistra in fase difensiva e offensiva.
Probabilmente la società lo ha acquistato per il prossimo campionato, ipotizzando un allenatore che attui un 4-4-2 e non l'usurato 3-5-2 di Reja. Un errore perché a gennaio è giusto sostituire ruote in corsa come al pit stop, un lusso programmare, trascurando le emergenze. Al Napoli occorrevano giocatori di sostanza a centrocampo per alternare Gargano e Blausi logori, e un attaccante per dare il cambio a Denis. È stato come non accorgersi delle crepe in un palazzo e limitarsi a riverniciare i tetti.
Datolo non copre le necessità del momento, e Reja in un solo giorno ha bocciato tre acquisti. Ha tirato fuori Denis e Maggio, non ha liberato dalla panchina Datolo, preferendogli altri due superleggeri (Più e Russotto) per la rimonta. La squadra è invece apparsa ancora più debole.
Già, la squadra. Gli Ultras rimproverano notti dissennate, tra discoteche e champagne. "Se vi troviamo in giro di notte, sono guai", li avevano avvertiti anche la settimana scorsa. Il calcio scopre a Napoli le ronde contro la dolce vita dei campioni. Interessanti gli sviluppi. Un presidente che ha raccolto il Napoli nella sezione fallimentare del tribunale portandolo dalle macerie alla zona Champions, giocatori superpagati al punto di essere inutilizzati e incedibili: accetteranno la dittatura Ultras?
De Laurentiis ha più volte minacciato di mollare. Stavolta potrebbe davverso pensarci. I giocatori, alcuni ovvio, purtroppo i migliori, sono accusati di notti concitate. Chiederanno di andar via. Discoteche se ne trovano ocunque tante, prima di essere scoperti dagli Ultras. Per loro, come nella canzone della Nannini, c'è sempre un'ultima insegna accesa.
Fonte Antonio Corbo per La Repubblica
Il Napoli è una polveriera
Il giocattolo si è rotto oppure gli sono solo state tolte le pile? Per avere una risposta, probabilmente, dovremo aspettare ancora qualche settimana; sta di fatto che il giocattolo di Aurelio De Laurentiis non diverte più. Un calo era prevedibile, fisiologico, ma è la crisi nera a spaventare i tifosi infuriati e dietro ogni crisi c'è sempre qualche problema più profondo. Uno spogliatoio diviso in due, se non addirittura in tre. La squadra ha "scaricato" Reja perché, se lo ha fatto ufficiosamente la società, i calciatori si sentono autorizzati a comportarsi di conseguenza. Urge un intervento, netto e deciso, del Presidente De Laurentiis, il quale sta iniziando a rendersi conto che l'immagine nel calcio non è tutto e che gestire il rapporto con i calciatori non è come spiegare ad uno dei suoi attori come recitare la parte nel solito film di Natale
Solo Massimo Moratti, negli ultimi 12 mesi, ha speso più del Napoli, che sognava la Champions ed invece rischia di restare completamente fuori dall'Europa: sarebbe un clamoroso fallimento, nell'anno in cui la città ha ritrovato, seppur per poche settimane, la Coppa Uefa. Gli azzurri non divertono, non portano a casa punti, appaiono rassegnati e soprattutto non rispecchiano la città. Un gruppo che non sa lottare e quel che più conta è l'indifferenza di alcuni singoli. La scommessa Denis il Napoli rischia di perderla definitivamente, Datolo non è il calciatore di cui Reja aveva urgentemente bisogno e, se confrontate i numeri di Lavezzi con quelli di qualsiasi altro attaccante, noterete che la media tiri in porta/gol realizzati è piuttosto bassa. Tra gli innumerevoli motivi della crisi c'è anche il fattore fisico. Quando il Napoli ad inizio stagione volava, gli altri camminavano; adesso che gli altri volano, il Napoli si ritrova a camminare su una sola gamba.
Fonte Michele Criscitiello per Tutto Mercato Web
Sempre e solo le grandi!
Le prime della classe vincono tutte, nessuna entusiasma, gli errori arbitrali sono sempre tanti e Adriano continua a giocare con le mani.
Le danze settimanali le aveva aperte proprio l'Inter a Bologna.
Una partita ben controllata per 75 minuti dai nerazzurri che stavano vincendo grazie alla prima rete in campionato di Cambiasso, ma che hanno rischiato alla fine anche di perdere, e forse l'avrebbero pure meritata la sconfitta.
L'avrebbero meritata perchè dal gol di Cambiasso in poi si è cominciato, giustamente, a pensare a Manchester prima che la pratica Bologna fosse chiusa, e ci è voluto uno J.Cesar strepitoso, secondo solo a Buffon nel mondo, e soprattutto una grossa dose di fortuna targata Balotelli per portare a casa tre punti che forse sono ancora più importanti di quelli conquistati nel derby. Può sembrare assurdo pensarlo, ma buttando un occhio al calendario delle prossime giornate, pensare di aver conservato un vantaggio così largo sulle concorrenti non è poi roba da poco.
Fa piacere che a realizzare una rete di tale importanza sia stato, come già detto, Mario Balotelli: una punizione beffarda che non aveva la pretesa di far male ad Antonioli, ma che può rappresentare il confine della carriera di questo straordinario ragazzo. Da qui può (ri)nascere la sua carriera, non può più fallire il buon super-Mario.
Alla vittoria dell'Inter ha risposto per prima in ordine cronologico la Juventus. Sul difficile campo di Palermo l'evento di straordinaria importanza non sono i tre punti incassati dalla squadra che fu degli Agnelli, ma il ritorno al gol di David Trezeguet, un'autentica macchina da gol che non accenna ad incepparsi.
Meno straordinariao ma non meno importante la rottura dell'incantesimo Sissoko: il centrocampista maliano aveva realizzato due reti sinora in maglia bianconera, entrambe le volte la Juve aveva perso in casa 2-3. La fantastica prodezza de "La Favorita" ha fatto crollare anche questo piccolo tabù, oltre ad aver ricordato ancora una volta a tutti che questo giocatore è si famoso innanzitutto per la sua fisicità, ma con la palla fra i piedi non è di certo l'ultimo arrivato.
Ai rosanero restano i tanti complimenti e nulla più, ma il sogno europeo resta vivo.
Vittoria difficile e importante anche per il Milan, seppur con qualche polemica legata al mezzo fallo di Inzaghi nell'occasione del gol di Seedorf, e a qualche errore dei guardalinee non abili a ravvisare i fuorigioco durante la sfida col Cagliari.
Milan costretto a giocare senza brasiliani, senza fantasia, e non è un caso che a segnare sia stato proprio Seedorf. Assurdi i fischi di S.Siro contro l'olandese, neanche ci si stesse rivolgendo ad un Andreas Andersson qualsiasi, o ad un Quaresma nerazzurro. Sono i misteri brutti del calcio questi, probabilmente non esiste una spiegazione a un simile atteggiamento, ma tant'è che ormai Seedorf pare essere il capro espiatorio di qualsiasi malumore dei tifosi rossoneri. D'altronde Gilardino non c'è più, con qualcuno dovranno pur prendersela, no?
Nella corsa ad un posto Champions brillano le stelle di Jankovic e Taddei.
Il primo si sta prendendo rivincite incredibili dopo che da Palermo l'hanno praticamente cacciato, e con il suo Genoa la cavalcata sembra non avere freni. L'altra faccia di questa stessa medaglia è Napoli: che crisi nera per Reja e giocatori, ora non solo si perde fuori casa, ma anche al S.Paolo si cominciano a perdere colpi decisivi. La sfida con la Juve della prossima settimana può essere la scossa giusta per l'ambiente partenopeo.
Dicevamo invece di Taddei, ex di turno che ha regalato una vittoria importante ai suoi contro al Siena in una serata di piena emergenza come quella a cui è andata incontro la Roma fra infortunati e acciaccati lievi.
Torna alla vittoria la Lazio, nonostante il gol annullato a Pandev, nonostante i suoi attaccanti continuino a restare a digiuno, nonostante fra Carrizo e Muslera ci sarebbe da mettersi le mani ai capelli. Ma va bene così in fin dei conti, per gli abbellimenti ci sarà tempo in futuro, intanto si pensi giustamente al sodo.
In fondo alla classifica pare che sia sempre meno critica la situazione della Sampdoria, quel Cassano è da alti livelli, e poi c'è Pazzini che pare essersi ricordato all'improvviso come si faccia a segnare, anche se comunque un buon 90% di merito delle sue realizzazioni è di FantAntonio. Impensanbile che Lippi continui a far a meno di lui, sarebbe come negare che il sole sorga all'alba di ogni giorno.
Le altre invece sono sempre le solite, e fra queste oggi troviamo il sorriso solo in casa Torino: la rete di Dellafiore con l'Udinese (altro fenomeno inspiegabile di questa stagione) fa uscire dalla zona retrocessione gli uomini di Novellino, ma la strada è ancora lunga considerando soprattutto l'ottimo momento del Chievo che si è visto scippare un sacrosanto punto in classifica da un arbitro probabilmente con la testa altrove: non si può non ravvisare l'evidente fallo di Mutu nell'azione che ha portato al sorpasso viola nella partita del Franchi.
La chiusura è ovviamente dedicata alla scomparsa di Candido Cannavò: non un giocatore, non un dirigente, non un allenatore, di certo non uno simpatico a tutti, ma sicuramente uno dei personaggi più conosciuti del mondo dello sport. Avrà già trovato un posto nella redazione del giornalino del Paradiso, quel giornale che racconta il campionato dei beati.
Ciao Candido, da oggi il cielo è un po' più rosa.
Ciao Candido!
Si è spento Candido Cannavò. Firma storica de "La Gazzetta dello Sport", l'unico capace di dare quella soffiata di novità decisiva per il giornale rosa. Oggi chiudo qui con le notizie: il blog non verrà aggiornato in segno di lutto e per rispetto al buon Candido e alla sua famiglia! Se ne vanno sempre i migliori, questa è la triste realtà. Ci mancherai caro Direttore.
Collina costretto a lasciare?
A volte ritornano: fra poco più di due settimane, il 6 marzo a Roma, potrebbe andare in porto la "restaurazione" nel mondo degli arbitri. Proprio così: dopo il terremoto di Calciopoli, ecco che Tullio Lanese e i suoi uomini si stanno riaffacciando con forza nell'Aia, associazione italiana arbitri . L'attuale presidente, Cesare Gussoni, ha fatto bene in questi ultimi anni (è stato eletto il 25 novembre 2006) ma non ha alcuna intenzione a ricandidarsi. Perché? Perché non vuole entrare in una lotta di potere, e di poltrone, che non gli appartiene.
In pista quindi restano in due: Marcello Nicchi e Matteo Apricena. Nicchi, ex arbitro di Arezzo, non è un nome nuovo: ci aveva provato tre anni fa, ora può contare su una solida cordata di cui fanno parte Alfredino Trentalange (candidato alla presidenza del Settore Tecnico), D'Elia e i Paparesta (padre e figlio, avvelenatissimo quest'ultimo per essere stato fatto fuori da Gussoni e Collina). Secondo candidato: Matteo Apricena, invece, è sbucato a sorpresa. Fiorentino, 50 anni, si è dovuto dimettere dalla carica di designatore della D (lui voleva solo autosospendersi ma Abete non glielo ha consentito). Nella sua cordata c'è Maurizio Mattei, candidato al Settore Tecnico e attuale sostituto di Apricena come designatore della D; ma sopratutto ci sono tantissimi uomini legati all'ex numero 1 degli arbitri, Tullio Lanese. Dal siciliano Ingargiola (esilaranti le sue intercettazioni dopo Reggina-Juventus...), a Lascioli, presidente commissione appello Aia, e all'avvocato Giuseppe Napoli, ex arbitro e legale dello stesso Lanese. L'ex presidente Aia è stato condannato dalla Corte Federale a due anni e sei mesi, pena diminuita dalla Camera di conciliazione ad un solo anno (e già scontata). Ma Lanese è anche rinviato a giudizio a Napoli: ha chiesto il rito abbreviato, come Giraudo ed altri, e aspetta la sentenza verso maggio-giugno di quest'anno. Intanto piazza i suoi uomini nella cordata-Apricena. Con l'ex designatore della D pare ci sia anche Carlo Tavecchio, potentissimo presidente della Lega Dilettanti, mentre si è candidato, per il settore tecnico, Stefano Tedeschi, pupillo di Gigi Agnolin, e che nel dicembre 2005 si dimise da designatore della A-B. Con Apricena, candidato al comitato nazionale dell'Aia, l'organo di governo degli arbitri, inoltre c'è pure Filippo Antonio Capellupo, ex presidente del comitato calabrese. Capellupo è stato deferito alla Commissione disciplinare da Palazzi "per avere stipulato una convenzione - si legge in una nota - con un operatore telefonico (la Wind, ndr) per la fornitura di beni e servizi, senza la preventiva autorizzazione del competente organo federale, nonché per avere violato i principi di correttezza e probità nella fase costitutiva ed esecutiva del rapporto contrattuale instaurato, omettendo di effettuare i doverosi controlli sulla sua pratica attuazione". Risultato? Il processo a Capellupo è stato rinviato al 19 marzo, dopo l'elezione-Aia. Complimenti. Ma poteva candidarsi, pur essendo deferito? Chissà. Intanto, nessuno due rivali fa conoscere un minimo di programma, niente di niente: solo la spartizione di poltrone.
Nessuno fa sapere se, vincendo, è intenzionato a proseguire con il designatore Pierluigi Collina, o se ci metterà un amico suo. Incredibile: se Collina è una risorsa per il calcio (e lo è, e ha diritto a concludere il suo lavoro senza interromperlo a metà), allora si dica chiaramente cosa si vuole fare. C'è anche il rischio, a questo punto, che Collina decida di mollare tutto. Ipotesi quasi certa se dovesse vincere la cordata Apricena-Lanese. Tutto questo sta bene ad Abete? D'accordo che l'Aia è autonoma ma i soldi da dove arrivano? E che succederebbe se, litigando, il governo degli arbitri non fosse in grado di governare? C'è già qualcuno che pensa al commissario (Gussoni?): ma intanto vediamo che succede il prossimo sei marzo.
Plebiscito per Luca Pancalli: e fra quattro anni...
Luca Pancalli è stato rieletto presidente del Comitato italiano paralimpico con il 99% delle preferenze. Un autentico trionfo, insomma. Candidato unico, l'ex commissario Figc e vicepresidente del Coni, ha detto: "Ora ci attendono sfide importanti, dalla collaborazione sempre più stretta con il mondo del volontariato alle politiche all'interno del mondo della scuola, per una sempre maggiore integrazione delle persone disabili nel contesto scolastico". All'assemblea di Tivoli hanno assistito anche il sottosegretario allo sport Rocco Crimi ed il presidente del Coni Giovanni Petrucci, al quale già in passato Pancalli aveva promesso il sostegno del "Cip" in occasione delle prossime elezioni di maggio. Fra quattro anni, invece, potrebbe essere lo stesso Pancalli a candidarsi alla presidenza del Coni.
Mourinho fa lo spavaldo
Ora sì che si può pensare al Manchester United. Vinta la partita di Bologna, conservato il vantaggio su Juve e Milan, rilasciato il più classicio dei sospiri di sollievo per le condizioni di Ibrahimovic, Mourinho parla della sfida ai Red Devils senza limiti. "Voglio che i miei giocatori abbiano grande piacere di giocare la partita con il Manchester United, senza paura di uscire agli ottavi. Io ho grandissima fiducia di farcela. Sono una squadra molto pericolosa sulle palle inattive, mi aspetto una grandissima partita".
Il portoghese ha parlato subito dopo la vittoria (2-1) a Bologna, che ha messo un'altra pietra sulle speranze delle inseguitrici. "Ci mancano tanti punti per considerarci al sicuro - ammonisce Mou - è ancora troppo presto. Stasera abbiamo battuto un avversario molto difficile, difensivamente organizzato, che segna sempre il suo gol, che ha carattere, con un'aggressività e voglia di vincere che sono la faccia del suo allenatore".
Parlando dei singoli, Mourinho assolve Muntari, schierato dietro le punte e non molto brillante ("sapevo che non era la sua vera posizione, ma ha fatto il suo lavoro ed era importante fare questa gestione del centrocampo, un tempo lui e uno Stankovic") mentre per quanto riguarda Julio Cesar, decisivo con la sua parata nel finale su Di Vaio, solo tanti complimenti: "Ha dormito per 75 minuti, per 75 minuti non ha toccato palla, poi si è svegliato quando Stankovic quasi faceva un gol fantastico nella sua porta e poi ha fatto quella grande parata su Di Vaio. Il portiere di una grande squadra deve essere così, ha una parata da fare in 90 minuti e quando la fa regala punti". Decisivo è stato anche Balotelli. "Era in panchina, era un'opzione e ho deciso di fare entrare lui - racconta Mourinho -, Mario ha risposto bene, è entrato con voglia, ha segnato, ha lavorato difensivamente, mi piace quando un giocatore capisce la strada che deve percorrere". E con un Ibrahimovic "impressionante, fantastico", l'Inter adesso può concentrarsi sul Manchester United, perché il discorso torna sempre lì, alla Champions.
"Non voglio che i miei giocatori si sentano sotto pressione, voglio che giochino questa partita con grande piacere e la prima cosa che dirò domani loro è che ho grandissima fiducia sul fatto che possiamo farcela - dice il portoghese -. Conosco il Manchester dal 2004, è la miglior squadra al mondo a giocare in contropiede, uccide il suo avversario in transizione, ha Berbatov che ha qualità tecniche fantastiche e poi Ronaldo, Rooney, Tevez o Park che fanno la differenza dando profondità, velocità, ci vorrà una grandissima concentrazione".
Mourinho chiede l'aiuto del pubblico perché "se sappiamo che all'Old Trafford giocheremo contro 12, il Manchester a San Siro deve giocare contro 12". Una grande sfida che arriva nel momento giusto per l'Inter, che forse dovrà fare a meno del solo Samuel infortunato. "Ci presentiamo in una forma fisica e psicologica forte - conclude - e tatticamente sappiamo cosa dobbiamo fare in campo. Mi aspetto una grandissima partita, voglio che il mondo sia felice di guardare questa sfida in tv".