Ballardini versione vintage: "Il calcio è un sorriso"
Il Palermo continua a vincere e convince e soprattutto fa contento Zamparini. Battendo il Napoli comincia anche avedere l'Europa. Ballardini ha portato idee, concetti nuovi e la convinzione che con il calcio si può ancora sorridere sia in campo che in tribuna.
Ballardini, ma allora è possibile? Il calcio fatto con il sorriso sulle labbra...
"È proprio così, Il nostro, anche se è un lavoro bellissimo, è pur sempre un lavoro. Quindi è fondamentale riuscire a farlo divertendosi, riuscendo a trovare la giusta leggerezza che non faccia perdere la concentrazione e l'attenzione. La mia è una lotta contro la ripetitività. Io credo che, se lo fai divertendoti, tutto quanto diventa più facile e riesci a rendere di più. Ecco, questo è quello che cerco di fare con la mia squadra: cerco di fare lavorare i giocatori e, al tempo stesso, di farli divertire".
E come definirebbe il calcio giocato dalla sua squadra?
"Direi che la mia squadra gioca bene il mio calcio quando riesce a gestire il possesso della palla. Quando riesce a dare profondità a tutte le azioni. Quando resta attenta in fase difensiva e quando riesce a fare pressing sugli avversari. Questo, in sintesi, è il mio Palermo. Quando riusciamo a giocare delle grandi partite è perché mettiamo in pratica tutte queste cose. È chiaro che non sempre ci riesce bene".
Sembra un tipo di calcio nel quale lei chiede molto sacrificio ai suoi giocatori.
"È vero. Ci vuole una grande disponibilità. Tutti quanti devono essere pronti a dare una mano nelle due fasi del gioco. Grande attenzione in fase difensiva e in fase offensiva. È importante creare profondità, ma dare anche molta pressione agli avversari".
C'è qualcuno in particolare al quale lei si è ispirato?
"Ce ne sono tanti e facendo un solo nome rischierei di fare torto agli altri. Il mio calcio è fatto soprattutto di coinvolgimento, di grande applicazione, di partecipazione e di attenzione. Tutto questo si ottiene con il lavoro quotidiano. Un lavoro che deve essere anche divertente per riuscire a mettere in evidenza le qualità dei singoli giocatori".
La sue squadre riescono spesso a cambiare modulo anche a partita in corso. Significa che l'integralismo tattico non paga?
"Per me, più che i numeri, quello che conta sono i principi. Non è importante come sistemi i giocatori in campo, ma sono importanti i principi che dai al tuo gioco. È fondamentale sapere quello che si deve fare quando si ha la palla tra i piedi o quando la palla ce l'hanno i tuoi avversari. Ogni giocatore deve essere messo nelle condizioni migliori per esprimersi al massimo. Questo a prescindere dai numeri e dagli schemi".
C'è un giocatore del quale il suo calcio non può fare a meno?
"Sicuramente questo giocatore è il regista. Nel mio calcio il regista è fondamentale ed è un giocatore che deve avere qualità e grande senso tattico. Dai suoi piedi partono le azioni della squadra. È da lui che la squadra trova i suoi tempi giusti e i suoi equilibri. Nel mio Palermo ho la fortuna di avere uno come Liverani che è tra i migliori nel suo ruolo in Italia".
C'è qualche squadra in Europa che lei segue particolarmente e che magari cerca di copiare?
"In questo momento sono diverse le squadre che giocano bene e che riescono anche a dare spettacolo. Mi piacciono il Barcellona, il Manchester e l'Arsenal. Sono squadre spettacolari. Formazioni che riescono a unire il bel gioco con lo spettacolo e che fanno divertire".
Come riesce a mettere in pratica sul campo tutta la teoria che è alla base della tattica di un allenatore?
"Ci si arriva grazie al lavoro e all'abitudine. È importante trovare delle giocate e degli esercizi sempre diversi. Nella mia idea di calcio c'è la necessità di trovare sempre qualche diversivo che rompa la monotonia. È importante riuscire a diversificare il lavoro. L'allenamento non deve mai diventare una cosa noiosa, ma deve piuttosto essere un divertimento".
Torino, ecco chi è realmente mister X
Chi è Raffaele Ciuccariello che aspira all'acquisto del Torino da Urbano Cairo? Qual è la storia dell'imprenditore nato 68 anni fa a Lucera? "Il pallone in confusione" ha cercato di ricostruirla attraverso le visure della Camera di Commercio. Presso gli archivi camerali sono presenti quattro aziende in cui è presente il suo nome: una ditta individuale, due società in nome collettivo e una società a responsabilità limitata di recente costituzione. Sono stati richiesti anche i loro bilanci: ma l'ente camerale risponde che finora non risulta alcun deposito. Non c'è quindi alcun documento contabile disponibile: non si può quindi verificare lo stato economico-finanziario passato e presente delle sue società.
In principio Ciuccariello aveva un'impresa individuale, denominata con il proprio nome e cognome, impegnata nell'autotrasporto di merci su strada con sede a Torino. E' stata cancellata dalla Camcom il 24 gennaio 2001, in seguito alla sua cessazione avvenuta nel dicembre 2000.
Il 1° luglio 2003 l'aspirante acquirente della società granata costituisce una società in nome collettivo: "Il paradiso dei regnanti snc di Di Munno Rosa & c.". Ciuccariello ne risulta socio amministratore assieme a Rosa Di Munno: ciascuno di essi aveva conferito alla società una somma di 250 euro, per un patrimonio complessivo di 500 euro. Le visure riportano un oggetto sociale abbastanza composito: dalla produzione e vendita al minuto e all'ingrosso di pizza da asporto, alla «somministrazione di cibi alimenti e bevande» fino a compiere «qualsiasi operazione mobiliare e immobiliare» e «l'assunzione di mutui passivi con la concessione delle richieste garanzie anche reali e la prestazione di garanzie reali e personali». Pochi giorni dopo la sua costituzione, il 3 luglio, la società acquista dalla "Regnanti snc di Sorintano Pasquale e Ciuccariello Norbert", dove è impegnato un figlio di Ciuccariello, un ramo d'azienda: quest'ultimo il 20 ottobre 2005 il percorso inverso.
Il 24 ottobre 2003 Ciuccariello dà vita alla "Il paradiso dei regnanti 2 snc di Ciuccariello Raffaele e Sorintano Pasquale" con sede ancora a Torino. Capitale sociale sempre i soliti 500 euro (250 per socio): oggetto sociale gemello con quello della precedente snc. Anche in questo caso la società effettua un'acquisizione di ramo d'azienda a pochi giorni dalla sua costituzione. Visure alla mano, il 29 ottobre 2003 lo compra da "Il merendone di Amitrano Silvana & C.snc": il 5 dicembre 2003 il ramo aziendale ritorna al suo precedente padrone.
Nel frattempo "Il paradiso dei regnanti snc di Di Munno Rosa & c.", "Regnanti snc di Sorintano Pasquale e Ciuccariello Norbert" sono state dichiarate fallite dal tribunale di Torino. Le visure camerali riportano che per la prima snc i giudici hanno emesso la sentenza il 27 aprile 2006: inoltre hanno sancito il fallimento «in proprio di Di Munno Rosa e Ciuccariello Raffaele». Lo stesso tribunale ha dichiarato chiuso il fallimento il 6 novembre 2006 «per l'ipotesi n.4 dell'art. 118 L.F.», ossia quando non può essere proseguita la procedura per insufficienza di attivo. L'11 ottobre 2004 è stata dichiarata fallita la "Regnanti snc di Sorintano Pasquale e Ciuccariello Norbert" assieme ai due soci. I magistrati del capoluogo piemontese hanno decretato il 26 ottobre 2004 la chiusura della procedura fallimentare della società «per l'ipotesi di cui al n.3 dell'articolo 118 L.F.» cioè «quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo». Inoltre, è stata stabilita anche la conclusione del fallimento del socio del figlio di Cuccariello, Pasquale Sorintano: anche in questo caso perché «non possa essere utilmente continuata la procedura per insufficienza di attivo».
Infine, il 29 gennaio scorso è stata fondata la Royal srl, sede sempre a Torino e un capitale sociale di 10mila euro. Ne sono soci: Norbert Ciuccariello (50%), il papà Raffaele (25%) e Carlo Saccomando (25%) che ne è amministratore unico. L'oggetto sociale è molto vasto: dalla costruzione e demolizione di immobili di qualsiasi genere, alla conduzione di strutture turistico-alberghiere, edizione e distribuzione di libri, riviste e giornali, fino alla costituzione di scuole per modelle. Le visure riportano che la società «potrà svolgere tutte le operazioni immobiliari, commerciali, bancarie e finanziarie che si rendessero necessarie e opportune per il conseguimento dello scopo sociale». Tra queste c'è anche l'acquisto del Torino? Il mistero è più fitto che mai.
Il diavolo e l'acqua santa: derby in panchina
Il Diavolo (Mourinho) e l'Acqua Santa (Ancelotti): l'uno opposto dell'altro. Salvo scoprire che alla fine il più religioso dei due è proprio il portoghese.
Per definizione, o luogo comune, Mourinho è l'Antipatico e Ancelotti il Simpatico. Ma è vero anche il contrario: a seconda delle preferenze.
Il portoghese passa le domeniche a litigare in tv con i commentatori, non gliene piace uno, gli stanno cordialmente sulle scatole. Davanti al microfono dà l'impressione di uno che sente di perdere tempo: nessuno, pensa, può essere alla sua altezza. E qualche volta, a dire la verità, viene proprio da tifare per lui. L'ex ragazzo di Reggiolo i commentatori se li coccola, li blandisce, elargisce battute e sorrisi.
Mourinho è più irascibile di braccio di ferro, Ancelotti bisogna picchiarlo per farlo reagire.
Mourinho è talmente sicuro di se stesso da non ammettere mai, ma proprio mai di avere sbagliato. Ancelotti è furbo.
Mourinho non ammette critiche, per lui l'Inter è sempre perfetta e spettacolare, ha fatto autocritica solo dopo gli schiaffi presi a Bergamo. Ancelotti sta a sentire, poi fa spallucce: "forse... sì, certo... può essere anche così" risponde. E strizza l'occhio.
Mourinho è diretto, uno da cazzotto del ko. Ancelotti, vecchio frequentatore del calcio italiano, è scaltro, aggira, evita gli scogli. Ma arriva anche lui allo scopo. E qualche volta anche con più efficacia.
L'uomo dell'Inter è un fascio di nervi, quello del Milan è calmo e serafico. Anzi pacioccone, come gli dicevano a Roma.
Mourinho è cocciuto; Ancelotti - il padre contadino nelle campagne di Reggiolo, primi studi presso i salesiani - forse più di lui.
Mourinho è magro e snellissimo, Ancelotti potrebbe divorare un salame intero della sua cantina in pochi bocconi - "questo fa una brutta fine" dice quando ne afferra uno - ma si trattiene perché ha sempre avuto tendenza a ingrassare.
Mourinho ordina e ottiene, se non ci riesce subito pesta i piedi e si impone (vedi Quaresma...), Ancelotti è abituato a convivere con la filosofia del Milan: non sempre si può imporre, e poi il Capo vuole ormai solo star e ballerine. E tutti all'attacco: che fatica...
Mourinho ora gioca col 4-3-1-2, ma ha pasticciato un sacco quando, in molte occasioni, ha cominciato a buttare dentro attaccanti alla rinfusa (Ibra, Cruz, Quaresma, Mancini...). Ancelotti usa l'albero di Natale (4-3-2-1), ma quante volte vorrebbe mettere un Ambrosini in più e un Ronaldinho in meno, ma non lo può fare, se no Lui chi lo sente?
Il calcio di Mourinho non è bellissimo, ma molto, molto fisico e terribilmente efficace (vedi la vittoria in dieci a Catania). Il calcio di Ancelotti è un bel mix tra quantità e qualità, a metà tra l'estetica assoluta di Sacchi e la concretezza spietata di Capello. Con amnesie e crolli ogni tanto (vedi la partita con la Reggina).
Mourinho, nella gestione del gruppo, attira su di sé tutte le tempeste, Ancelotti - che viene dal campo - sa dividere tutto con i compagni di squadra, anche adesso che gli ordini li dà lui.
Certo Mourinho non è un despota dello spogliatoio, ma Ancelotti è molto più democratico.
I giocatori amano Mourinho: ma non tutti, anzi alcuni forse lo detestano. Ha detto che si sarebbe buttato nel fuoco per loro, ma con Balotelli ha quasi ingaggiato una sfida personale. E non solo con lui. E' raro che Ancelotti tuoni contro i giocatori, ma può accadere: certi atteggiamenti di Gilardino, stufo di fare panchina, non gli piacquero e lo disse chiaramente.
Ancelotti è stato un grande giocatore, Mourinho proprio no, non è mai stato un professionista, si è fermato alle giovanili.
Mourinho è geloso di Mancini, al solo pronunciare il nome gli viene l'orticaria. Ad Ancelotti del confronto con Capello o Sacchi non frega assolutamente nulla.
Mourinho è diventato allenatore per una sfida verso se stesso e verso tutti: per dimostrare che non solo chi ha giocato può fare grande calcio. Pur figlio di un calciatore, si è diplomato all'Isef e ha fatto la gavetta vera: cominciando come interprete di Bobby Robson allo Sporting Lisbona: lo chiamavano El Tradutor. Ancelotti agli inizi fu "raccomandato" da Sacchi trovando subito un posto come assistente dell'Arrigo in nazionale.
Come allenatore Ancelotti ha vinto una Champions più di Mourinho, ma la Coppa di Mourinho col Porto fu un evento storico per una squadra di quella dimensione. Ancelotti ha vinto uno scudetto, Mourinho ha conquistato titoli sia in Portogallo che in Inghilterra col Chelsea. Quali pesano di più?
Mourinho litiga anche con i colleghi, vedi Ranieri, o ne storpia i nomi, vedi Beretta diventato "Barnetta", Ancelotti è l'amico di tutti.
Ancelotti è il Ferguson del calcio italiano, allena il Milan ormai da otto stagioni (e non è detto che questa sia l'ultima). Mourinho, dopo Porto e Chelsea, è all'Inter da soli otto mesi con l'obbiettivo di vincere scudetto e Champions League: ma non è certo il tipo da amori così lunghi.
Fonte Fabrizio Bocca
Il Trap dichiara "guerra" all'Italia
Contro la Georgia il Trap ha sfoderato tutto il suo repertorio. Durante il primo tempo tarantolato a bordo campo nel dare indicazioni e suggerimenti, nella ripresa l'irrefrenabile contentezza per la doppietta di Robbie Keane. "Non siamo il Brasile ma sono comunque fiero perché mi hanno detto che l'Irlanda non si trovava prima in un girone di qualificazione da 20 anni. Ma è ancora presto, aspettiamo di vedere cosa succede dopo l'Italia".
Marcello Lippi è volato al Croke Park dopo l'amichevole con il Brasile per studiare i suoi prossimi avversari.
"Nel primo tempo forse Lippi avrà pensato che l'Iralnda non fosse un granché. Ma nella ripresa gli abbiamo dimostrato che siamo una squadra da non sottovalutare. Non gli ho ancora parlato, ma di certo lo farò non appena sarò tornato in Italia".
Juventus, salgono le quotazioni di Cassano
È tutto un gioco. Però vedere il centrocampista Alessandro Del Piero fa sempre un certo effetto. Succede ieri pomeriggio, sul campo di Vinovo, nell’amichevole contro i dilettanti del Chisola. Succede questo: l’allenatore bianconero deve fare la conta, comunque. Zanetti è infortunato, Sissoko resterà a riposo fino a lunedì, Poulsen e Tiago devono recuperare dalle fatiche nazionali. Voilà, Del Piero fa il centrocampista: modulo 4-3-3 e il capitano fa un passo indietro, gioca alla Pirlo. Marchionni resta a riposo, Nedved pure e intanto scherza con l’ex compagno Davids: "Visto Edgar, mi hanno già fatto fuori". La partita inizia con Camoranesi a destra, Marchisio a sinistra, davanti il tridente, Amauri-Trezeguet-Iaquinta. Finisce 3-0 (secondo gol di Iaquinta su assist di Del Piero).
Vero, è solo una partitella del giovedì. Vero, è tutto un gioco. Ma anche un Del Piero centrocampista può raccontare un paio di cose.
Primo: un campione lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia e (pure) dalla disponibilità. Del Piero è un campione: si mette comunque in gioco. Alla Juventus fa così da 16 stagioni, continuerà almeno fino a giugno 2010. Secondo: Del Piero che fa (anche) il centrocampista potrebbe aprire nuovi scenari di mercato. A questo sta già lavorando Alessio Secco: due sere fa a un tavolo del ristorante “La dispensa” di Siviglia, il d.s. ha incontrato Seguì, responsabile del mercato spagnolo per la Img. La Juventus cerca sempre un vice-Nedved, alcune piste portano in Spagna: da Silva a Joaquin. Non solo. L’Img, l’estate scorsa, fu la prima a sondare un possibile passaggio di Diego in bianconero. Ora, società e tecnico, sembrano convinti che il brasiliano non sia più l’obiettivo prioritario perché il suo arrivo imporrebbe di abbandonare il collaudato 4-4-2. Meglio tornare sulla solita storia di Cassano. I contatti continuano, il prezzo non è una novità: sul contratto dell’attaccante blucerchiato c’è una clausola rescissoria di 20 milioni. Contatti e suggestioni: quasi inevitabile che si torni a parlare di Cassano aspettando Juventus-Sampdoria. “Un discorso prematuro”, taglia corto Secco. Sarà. Perché la Juve ha quattro attaccanti e una seconda punta. Uno che un campionato fa ha segnato 21 gol e che forse un giorno potrebbe fare un passo a centrocampo e far spazio a Fantantonio. Tranquilli, per ora è tutto un gioco.
Toro: svelato mister X
Una consonante che fa più rumore di dieci stadi stracolmi di gente: incredibile, ma vero. E' quello che sta succedendo a Torino in questi palpitanti minuti. Una "X" sta facendo impazzire un po' tutti: una firma che per ora non basta, un simbolo di discrezione, un assist all'audience forzato, un silenzio che fa rumore, a momenti un segreto di Stato. Scegliete voi. Non è fantacalcio, non è fantascienza: è il mondo del pallone. Una calamita di sogni.
Golden Palace Hotel, due edifici dal lussuoso rigore geometrico, 195 stanze nel cuore pulsante di Torino: l'attenzione granata, oggi, è tutta qui. Un bel paradosso: il campo, la squadra, la classifica deficitaria e la bocciatura di Dzemaili (patrimonio gettato alle ortiche dopo le dichiarazioni di Novellino?) sono questioni che per ora passano in secondo piano. Chissà cosa starà pensando Urbano Cairo in questi istanti: lui, il passionale, e il suo Torino, messi all'ombra per un giorno da un misterioso imprenditore. Lui, esperto comunicatore, "minacciato" da un mister X che comunica senza essere presente (infatti oggi non si presenterà), in un teatro di portavoci dove manca il protagonista. Ebbene sì, nonostante tutto oggi vincono loro: curiosità, incertezza, voglia di sognare un futuro migliore per il Torino.
Alle 15.30 gli avvocati Grazia Porta, Anna Pasquinelli e Massimo Durante sveleranno l'identità di mister X. "Non siamo ciarlatani": un mese e mezzo fa hanno risposto così di fronte alle perplessità dei tifosi e degli addetti ai lavori.
Il sole su Torino è sparito, fa freddo. L'atmosfera è surreale. In città, da giorni, non si parla che di presunte eredità e di imprenditori dal portafoglio gigantesco: chi è mister X? Miroglio, Bertone, Ferrero, Giraudo, Moggi, Giribaldi, Gaucci, Mangone, Grimaldi, Farinetti, Briatore oppure Margherita Agnelli? Oggi la telenovela finirà, finalmente. I tre avvocati hanno ribadito di voler parlare di cose serie e di programmi concreti (anche perché il Toro può già vantare una lunga collezione di promesse non mantenute): dovranno soprattutto motivare lo strano modo di comunicare di mister X. Prima un comunicato, poi un'insolita conferenza stampa dove l'attore protagonista non si presenta.
Le promesse di MisterX: La qualificazione Uefa in tre anni, uno stadio di proprietà con annesso impianto sportivo, la sostituzione dell'allenatore, l'adozione della maglia granata come prima divisa sociale, la riorganizzazione del settore tecnico e giovanile, l'apertura di scuole calcio in ogni continente, il riassetto della rete commerciate tramite accordi con partner prestigiosi: questi gli obiettivi di "mister X", pubblicati a gennaio tramite comunicato. Detto così fa gola, ma al Toro e ai suoi tifosi non può bastare. Primo: Cairo ribadisce di non voler vendere. Secondo: nel caso cambiasse idea, bisognerà bisognerà capire come mister X possa passare dalle parole ai fatti.
Ore 15: tre camionette della polizia davanti al Golden Palace Hotel. Atmosfera più di imbarazzo che di tensione, presenti moltissimi giornalisti e una ventina di curiosi. Vi confermiamo le voci su Raffaele Ciuccarini, imprenditore pugliese che avrebbe eriditato un patrimonio di circa 600 milioni di euro. Mister X potrebbe essere lui, ce lo confermeranno tra poco gli avvocati.
Ore 15.18: lo scenario è decisamente cambiato in pochi minuti. Stanno arrivando sempre più tifosi granata e fuori dall'ingresso dell'hotel c'è un gruppo sempre più consistente di giornalisti e curiosi.
Ore 15.25: tutto esaurito in sala stampa (50 posti a sedere circa, moltissimi giornalisti in piedi). Vi ricordiamo che siamo a un passo dalla sede del Torino, che è proprio qui in via Arcivescovado. Una scelta non casuale da parte di mister X e dei suoi avvocati.
Inizia la conferenza stampa ed ecco subito la conferma dell'avvocato Grazia Porta: "L'imprenditore di cui molto si è parlato in queste settimane è Raffaele Ciuccarini. Nato a Lucera, in provincia di Foggia, il 7 febbraio 1941, è da quasi 40 anni residente a Torino. Ama il calcio, desidera portare a termine questa trattativa a tutti i costi".
Parola ora all'avvocato Anna Pasquinelli: "Questo incontro sarà utile per chiarire molti aspetti di questa vicenda. Abbiamo incontrato Urbano Cairo a Milano a fine novembre e ci è sembrato disposto a portare avanti la trattativa. Si è trattato del primo contatto. I tifosi del Torino oggi possono rendersi conto che l'imprenditore c'è, è disposto a fare di tutto per la squadra. Raffaele ha il dono dell'umiltà e oggi confermiamo che non si è trattato di un'invenzione pubblicitaria. Troviamo inspiegabile il fatto che Cairo non ci voglia più incontrare".
Ancelotti diviso tra Chelsea e Real! Per il Milan c'è Donadoni
Roman Abramovich che tira da una parte, Florentino Perez dall’altra. E Silvio Berlusconi che comincia a dare segni d’insofferenza. Carlo Ancelotti vede e sente tutto. E per ora può solo ascoltare, a cominciare dalla tirata d’orecchie di Adriano Galliani quasi alla vigilia del derby. La lamentela del vice presidente esecutivo rossonero sulla "mancanza di determinazione" contro le piccole è certamente uno sprone alla squadra. Ma pare soprattutto un messaggio al tecnico di Reggiolo: "O vinci lo scudetto. Oppure...".
Dopo 7 anni e 3 mesi il rapporto con il Milan appare logorato. Più che mai. E per mille motivi. Non dimentichiamo che la scorsa primavera Ancelotti aveva già incontrato il proprietario del Chelsea, rifiutando la proposta di prendere il posto di Grant. Una scelta ovviamente condivisa, se non proprio suggerita, da via Turati.
Poi, l’ultima campagna acquisti ha aperto ferite non ancora rimarginate. Senza parlare dell’ingaggio di Shevchenko, di sicuro l’allenatore ha condiviso poco l’acquisto di Ronaldinho. E non è casuale che l’altra settimana Silvio Berlusconi abbia trovato il tempo per chiamarlo e caldeggiare l’utilizzazione dell’immalinconito Dinho. Un intervento che testimonia quanto la dialettica in casa rossonera, in questa fase, abbia fatto emergere più di un malessere. E’ già accaduto in passato, ma le vittorie hanno sempre chiuso ogni polemica. Stavolta è diverso.
Da una parte il Milan avverte sempre più l’esigenza di affidare la squadra a una nuova mano. Dall’altra Carlo Ancelotti si sta rendendo conto che forse è giunta l’ora di trovare altrove nuove sollecitazioni professionali. E se le mire del Chelsea su di lui sono ormai esplicite, non vanno neanche trascurate le mosse del Real Madrid. Florentino Perez a breve presenterà il suo programma elettorale e il nome del tecnico italiano è ben in evidenza. Perciò, occhio alle prossime settimane. Per mille motivi, a cominciare dalla lingua, Ancelotti è più attratto dall’idea di sbarcare nella capitale spagnola che in quella inglese.
E il Milan? Al momento non esiste una candidatura forte per la successione. Di sicuro il Milan intende affidarsi a uno dei tanti ex campioni dell’era Berlusconi. I nomi dei già affermati Marco van Basten e Frank Rijkaard calamitano da sempre tanti consensi, ma è anche vero che ormai frequentano poco la casa milanista.
Anche per questo non meritano minori attenzioni altri due grandi del passato: l’ex c.t. azzurro Roberto Donadoni e l’attuale dirigente Leonardo. Il brasiliano frequenta il corso per allenatori di seconda categoria e a fine stagione può facilmente ottenere una deroga per aver vinto un mondiale da calciatore. Quindi può essere considerato in corsa, ma è presto per indicare le posizioni in questa hit. Il Milan s’augura di poter salutare altre vittorie con Ancelotti in panchina. Del resto esiste un contratto sino al 2010 e per risolverlo occorre una scelta consensuale. Un finale di stagione senza trofei porterebbe a una fatale separazione. Perciò questo derby può anche essere l’ultimo dell’era Ancelotti.
Appiah, che brutta fine: travolto dai debiti
A 28 anni (presunti) l'eroe del Ghana, il capitano non giocatore del paese che ha ospitato l'ultima Coppa d'Africa, è costretto a nascondersi per giocare al calcio. Stephen Appiah, talentuoso e potente centrocampista di Udinese, Parma, Brescia e Juventus, tre figli e moglie nel nostro paese, in questi giorni si sta allenando sotto mentite spoglie a Marbella, costa andalusa, con il Rubin Kazan, club dallo scorso novembre campione di Russia costretto dall'inverno rigido del Tatarstan ad allenamenti su una spiaggia spagnola.
Il peregrinare omerico del massiccio Appiah sta diventando una fuga segreta e protetta a causa della valanga di debiti che il ragazzo di Accra ha contratto ad ogni contratto firmato. L'ultima disputa legale è stata quella con l'ultimo club che lo ha assoldato, nel 2005, il Fenerbahce. La squadra di Istambul, per un'embolia a una gamba mal curata, "ha rischiato di mandarlo al creatore". Lo racconta il suo nuovo procuratore Luca Pagani, ex pr di discoteche lombarde. Alla fine Appiah ha chiesto 21 milioni di risarcimento ai turchi, comprensivi della Coppa d'Africa saltata in patria, e il Fenerbahce ha replicato con una "fattura danni" da 12 milioni per mancato rispetto del contratto.
Nella stagione 2008-2009 Stephen Appiah ha ascoltato una serie di timide offerte da parte di diverse società italiane: la Juventus, il Brescia, poi il Torino. C'è stato anche un affaccio da parte del Milan. Tutti, però, imbattendosi nel macigno della causa Fifa e in una pletora di richieste danni contro il giocatore incardinate in Italia, hanno salutato Stephen e la sua fama di cattivo pagatore. Non tornerà a giocare in Italia. Appiah, allora, ha deciso di raggiungere Londra per allenarsi con il Tottenham e, bruciato anche questo contatto, ha proseguito la fuga dal pignoramento indossando una nuova anagrafe in Spagna e immaginando un futuro nel campionato russo.
Tutta la storia del ragazzo di Accra è un racconto da clandestino. Giovane stella degli Hearts of Oak, arrivò poco più che bambino in maglietta a maniche corte all'aeroporto di Udine. Era febbraio. Gli misero addosso una tuta del club e lui, nei primi sei mesi, mangiò solo gelati perché non conosceva i cibi italiani né i loro nomi. I procuratori più accreditati del calcio ghanese raccontano che Stephen, come buona parte dei ragazzi d'Africa ansiosi di mostrarsi a talent scout stranieri, si fece cambiare il passaporto e abbassare di due anni l'età. Giunto in Italia, il talento si mise in luce per gol straordinari e leggendarie feste con ragazze ucraine. Ma, soprattutto, nuovi debiti. Lasciò senza un grazie lo studio Canovi e il suo primo mentore, quel Domenico Ricci che più di tutti conosce il calcio africano. Oggi l'ufficio gli ha chiesto 105 mila euro di provvigioni non saldate: la sentenza del tribunale di Roma è vicina. Approdato al nuovo procuratore, Santiago Morrazzo, riuscì ad abbandonare anche lui scordandosi del rinnovo del contratto che l'agente gli garantì con la Juventus (un milione e 800 mila euro) e le bollette pagate alla posta per non fargli staccare la luce. Il Tribunale di Roma ha stabilito che Appiah deve a Morrazzo 580.000 euro, ma poiché il calciatore non è mai raggiungibile l'unico risultato è stato che l'ex agente Fifa deve versare - per la sentenza a suo favore - 25.000 euro per i bolli all'Agenzia delle Entrate.
Già, Appiah è in fuga continua. La moglie e i tre figli vivono in una villetta con garage (e auto di lusso) sulla collina di Torino, ma lui ha eletto domicilio personale a Nichelino, nell'hinterland, in un casermone popolare abitato da extracomunitari senza permesso di soggiorno. Fuori dal suo "appartamento legale" non c'è campanello, nell'androne hanno sradicato le cassette della posta e l'ufficiale giudiziario, terrorizzato ogni volta che deve avvicinarsi a quel palazzo per recapitargli una raccomandata, ha stilato un rapporto di "irreperibilità strutturale". A Stephen Appiah ha chiesto i danni anche il vecchio padrone di casa di Torino, quello dei tempi della Juventus. Salutato dalla Triade, Stephen organizzò una festa d'addio all'Italia invitando la comunità ghanese e le solite ragazze ucraine: sfasciarono tutto sradicando lavandini, cessi e pure gli infissi. Le bottiglie di champagne - avrebbe scoperto il giorno dopo il padrone di casa - galleggiavano nello champagne. L'avvocato Mattia Grassani, che per tutte queste imprese difese e spesso salvò il calciatore, a sua volta non è stato mai pagato. E così ha chiesto 400 mila euro di arretrati riuscendo a farne sequestrare 40 mila.
Il bravo ragazzo con il destro preciso è cresciuto dentro una vita da clandestino e ora potrebbe portare la sua fuga nel freddo Tatarstan. Per non smettere di giocare al calcio e per non pagare i debiti.
Le 10 cose che uccidono il calcio
Sono tante le cose da cambiare nel calcio Italiano. Il Times la settimana scorsa ha stilato una lista delle 10 che stanno rovinando questo sport nel mondo. La graduatoria non ha potuto non far scatter qualche polemica. Non siamo naturalmente il Times, ma nel nostro piccolo e per ciò che riguarda il Belpaese proviamo a proporre una classifica delle 10 peggiori cose che stanno uccidendo questo sport.
LA QUESTIONE ARBITRALE – Per una volta ci siamo trovati d'accordo con Ranieri (che stimiamo molto come persona) quando accusa Mourinho, che vince 3-0 e si lamenta dell'arbitraggio. Come detto dal tecnico della Juve ogni allenatore da una parte e dall'altra alla fine di una partita avrebbe almeno 10 cose su cui lamentarsi, ma poi ci si dimentica – chissà perchè – sempre i cosiddetti favori. Ciò non toglie che AIA e e FIGC vanno staccate, che gli arbitri devo essere professionisti e che il sorteggio deve divenire integrale.
LA DIFFERENZA TRA GRANDI E PICCOLE – C'è ovunque nel mondo una squadra che vince più di altre. In Inghilterra lo United in Germania il Bayer, in Spagna il Real. Ma la differenza a volte viene ridotta dalle possibilità o meglio dalla dignità che si dà anche alle altre squadre. In Italia ne esistono 3. Tutto il resto – o quasi – è noia come canta Califano.
GLI STADI – Dal Friuli in poi è tutta o quasi una serie di disatri architettonici, che fanno fuoriuscire la bile pensando a quanto si è sperperato a Italia '90
LA NOMENCLATURA – A leggere i nomi che si susseguono nelle varie cariche si capisce perchè si dice che il calcio è specchio della società. C'è bisogno di gente nuova, con idee innovative e moderne, oltre che eque. Ma purtroppo qua siamo alla gestione Zoppas: qualità costante nel tempo
MOGGI – Ma non dovevamo vederci più? I suoi uomini più o meno di fiducia continuano ad apparire ovunque, lui scrive ovunque e si fa vedere ogni volta che può. Nauseante.
IL MERCATO – Urge una regolamentazione che eviti di far perdere la testa specie a campionato in corso ai giocatori. Chissà perchè le crisi avvengono specialmente quando si avvicina la finestra di gennaio. Blatter temiamo vorrà invece renderlo aperto tutto l'anno.
I PROCURATORI – Non in quanto tali, ma per come girano e bazzicano nelle società come profeti a cui affidare le proprie sorti.
GLI INGAGGI DEI GIOVANI – Inconcepibile che un ragazzino di 17 anni guadagni in un anno quanto un operaio o un impegato non vede nemmeno in 10.
GLI INGAGGI – Urge un tetto per dare equilibrio ed evitare che le sopra citate grandi rimangano Mecca per chi crede che il guadagno sia tutto.
LE TV – Comandanop e dettano legge, fagocitando anche altri media che non possono competere per mezzi e per potenzialità. Finchè comanderanno loro e i club saranno schiavi delle loro scelte perderanno tutto quel pensano di guadagnare. Alla fine alle tre carte è sempre il banco che chissà perchè vince.
Fonte Udineseblog.it
Il derby di Milano è già iniziato! A parole...
Già, Ronaldinho. Proprio l'ex Pallone d'oro, a meno di cambiamenti dell'ultima ora di Ancelotti, sarà di nuovo in campo. E i tifosi sperano che torni ad essere protagonista, magari rivitalizzato dall'amichevole di stasera. «Certo nessuno si aspettava questo nuovo allungo dell'Inter - ammette Rivera - però questo non cambia niente.
Il derby è una partita unica dove può succedere di tutto e il Milan ha le stesse probabilità di vincere dei nerazzurri. Spero che vinca il Milan, anche per il campionato».
La settimana del derby però inizia anche con l'eco delle parole di Mourinho sulle «stranezze» arbitrali. «Ma lui è prima personaggio e poi allenatore - la stoccata di Rivera - e da personaggio dice tutto quello che è più utile all'allenatore». «Vedo cose strane», si era sfogato l'allenatore di Setubal, infuriato per la discutibile ammonizione per simulazione rifilata a Ibrahimovic dopo un sospetto contatto in area. Gli ha risposto, poche ore dopo, anche Carlo Ancelotti ha avuto da ridire contro l'arbitro di Milan-Reggina, definito «incerto e nervoso».
Insomma, , a parole il derby è già iniziato....
Chelsea - Juventus: ora c'è più Guus
Abramovich chiama Hiddink al posto di Scolari. Il ct della Russia fino a giugno avrà due panchine. L'olandese: «Avrei detto no a chiunque».
Tra due settimane Claudio Ranieri tornerà faccia a faccia con il suo passato. Non solo a livello di club - al Chelsea ha passato quattro stagioni terminate con un grandissimo rimpianto - ma anche a livello di avversario diretto se è vero che sulla panchina dei Blues, con ogni probabilità, sederà Guus Hiddink, un tecnico che l'allenatore juventino ammira parecchio. Anche perché l'ha avuto da rivaleo ai tempi della Liga. Il bilancio è in pareggio: il 21 novembre 1998 il Valencia di Ranieri ha piegato per 3 a 1 il Real Madrid guidato da Hiddink. L'anno seguente, con Hiddink insediato al Betis e Ranieri sulla panchina dell'Atletico Madrid, è stato l'olandese ad avere la meglio, vincendo 2 a 1.
In realtà però, almeno per il momento, è meglio parlare di ipotesi. La stampa inglese dà per certo l'ingaggio di Hiddink, ma fonti vicine all'olandese frenano un po'. È vero che la federcalcio russa ha concesso il nullaosta perché Hiddink ricopra il doppio incarico fino al termine della stagione (ct russo/allenatore dei Blues), ma quella era più che altro una formalità; buona parte dell'ingaggio di Hiddink con la federazione russa è pagato direttamente da Abramovich, in qualità di super-tifoso (molto gradito a Vladimir Putin). Ed è anche vero che Hiddink ha offerto una certa disponibilità: «La situazione con il Chelsea e la federcalcio russa è complicata - ha affermato -. Ma questa è una situazione eccezionale. A qualsiasi club al mondo che mi avesse chiesto una cosa del genere avrei risposto con un secco no. Però il Chelsea è un caso diverso, perché io ho un rapporto speciale con il proprietario. E, se posso, vorrei aiutarlo».
Detto ciò, Hiddink ha già rifiutato la panchina dei Blues in almeno due occasioni. L'ultima volta lo ha fatto sostendendo che, a 62 anni, e con un passato da giramondo alle spalle, non se la sentiva di prendersi un impegno così grande. Adesso le cose sembrano cambiate. Un Chelsea guidato da Hiddink significa un Chelsea quadrato tatticamente, attento al possesso palla, capace di cambi di ritmo improvvisi. Almeno a giudicare da ciò che il tecnico è stato in grado di mostrare al timone di Corea del Sud, Olanda e Russia, tre nazionali portate fino alle semifinali di Mondiali ed Europei. Ma forse il suo più grande merito è la capacità di inventarsi in epoche diverse. Il primissimo Hiddink era un allenatore in grado di guidare il Psv Eindhoven fino alla conquista della Coppa dei Campioni: era il 1988, altri tempi. Il fatto che sia ancora sulla breccia vent'anni dopo pur cambiando squadra a ripetizione (10 panchine) dimostra quantomeno la straordinaria capacità di adattarsi a qualsiasi situazione.
Sembra che Hiddink sarà un traghettatore in attesa che i Blues centrino il vero obiettivo: Carlo Ancelotti (o, in seconda battuta, uno tra Frank Rijkaard, Roberto Mancini e Martin O'Neill). Già la scorsa estate avevano contattato il milanista, prima di puntare decisi su Scolari. Il brasiliano era stato raccomandato da Peter Kenyon, amministratore delegato, e Pini Zahavi, superagente di fiducia di Abramovich. I due, guarda caso, non sono stati interpellati su Hiddink (Kenyon, addirittura è tutt'ora in vacanza a Barbados). Segno che forse Abramovich non ha poi voglia di cedere il bastone del comando a Stamford Bridge, come ha fatto troppe volte in passato. E forse è proprio questa la vera novità, ancor più dell'arrivo di Hiddink. Kenyon e Zahavi, gli uomini che hanno costruito questo Chelsea, contano molto meno di una volta.
Fonte La Stampa
Il Chelsea esonera Scolari! E a Napoli Reja rischia…
Tempi duri a Londra: il Chelsea ha sollevato dall’incarico Felipe Scolari. Il tecnico brasiliano paga i recenti risultati deludenti, ultimo il pareggio a reti bianche con l’Hull City, e un rapporto non proprio idilliaco con alcuni calciatori. La guida tecnica è stata momentaneamente affidata a Roy Wilkins, ma è una soluzione che sa molto di transitorio.
Infatti è già stato contattato Guus Hiddink, tecnico della nazionale russa e pupillo di Abramovich: l’olandese però non sembra essere interessato a fare da traghettatore e sempre propendere per un rifiuto dell’offerta. Sono spuntati anche i nomi, poco probabili, di Roberto Mancini ( ancora legato contrattualmente all’Inter ) e del ritorno di Avram Grant, ma, come già detto, sono ipotesi fantasiose. Il vero obiettivo e desiderio dei Blues si chiama Carlo Ancelotti: il tecnico rossonero potrebbe chiuedere il suo ciclo vincente questa stagione e non disdegnerebbe un’avventura all’estero. Ovviamente il buon Carletto si libererebbe solo a Giugno, ed ecco quindi che l’ultima idea per guidare i londinesi in questo scorcio di stagione porta il nome di Rijkaard ( probabile che rifiuti anche lui ) e di Roberto Di Matteo, forse la persona più accreditata ad assumere questo ruolo temporaneo.
Napoli: Reja in bilico - Adesso De Laurentis è stufo! La settima sconfitta consecutiva in trasferta ha fatto cadere vertiginosamente la stima della società in Edy Reja. Al tecnico viene addebitata una gestione tecnica della squadra approsimativa e, in particolare, il cambio di modulo per una trasferta difficile come quella di Palermo, non è piaciuto molto : anche i meno esperti sanno che prima di proporre nuove idee e nuove direttive tattiche bisogna collaudarle a dovere! Il tecnico vicentino resterà sulla panchina azzurra sicuramente fino a fine stagione ( sempre che non ci siano sviluppi clamorosi dovuti ad una crisi di risultati eccessiva ), ma dalla prossima stagione dovrà farsi da parte: per la sua sostituzione e per l’inizio di un nuovo ciclo si cerca un tecnico emergente che abbia già dimostrato di saperci fare. Al momento, il nome più gettonato è quello di Massimiliano Allegri che tanto bene sta facendo in terra sarda. Altro nome, emergente e molto valido almeno quanto Allegri, è quello del tecnico del Bari Antonio Conte che sta avendo qualche difficoltà di troppo a rinnovare il contratto con i biancorossi.
Napoli: tecnico e società, due mondi diversi
Il problema comunque non è che Reja non abbia cambiato modulo, come anzi io ho più volte chiesto da queste colonne, ma il fatto che la decisione non sia stata presa per una precisa scelta tattica, quanto piuttosto per le palesi scelte societarie, dettate ad esempio dall'arrivo di Datolo. L'argentino è una pedina inadatta al 3-5.2, ma per una squadra che cambia il modulo in corsa, come insegnano i grandi saggi della panchina, sarebbe stato più semplce un 4-4-2, che permette copertura su tutti i fronti e non richiede grandissima applicazione nel metabolizzarlo al contrario di tutti gli altri schemi. Nel 4-3-1-2 improvvisato ieri, sono fondamentali i movimenti degli esterni, i quali, alzandosi o abbassandosi, determinano la superiorità numerica o la parità numerica in alcune zone del campo: se Hamsik poi viene impiegato sulla trequarti, e con due punte, i tre di centrocampo dovranno essere bravi anche nella fase di contrasto e dunque non mi spiego la presenza di Bogliacino.
Se 4-3-1-2 doveva essere allora, sarebbe stato più indicato Pazienza, per cercare di dare più copertura nella fase di non possesso palla, dato che un pareggio in Sicilia sarebbe andato benone: come terzino destro, poi, è stato schierato Maggio, che da tempo ha ben altre caratteristiche e che si è visto così limitare il raggio d'azione. Santacroce, unico velocista nella difesa del Napoli, avrebbe potuto contenere meglio Miccoli in mezzo, cosa che i vari Cannavaro, Contini e Aronica non hanno mai saputo fare. Sui cambi poi meglio stendere un velo pietoso: perchè buttare dentro Pazienza per Hamsik, confermando la scelta insulsa di Bogliacino, con un calcio alla logica. Lo slovacco, come spesso accade per Kakà per il Milan, Del Piero per la Juve ed eccetera, avrebbe potuto inventare la giocata restando nonostante la prova incostante, cosa che il sopravvalutato e modesto Bogliacino non avrebbe potuto fare. E poi, perché Pià viene preferito al povero Russotto per la panchina? Da tutto ciò si evince solo una cosa: il Napoli quando fa mercato non tiene conto delle esigenze dell'allenatore. Abbiamo rivissuto lo stesso copione di 12 mesi prima, quando fu imposto l'arrivo di Mannini e Reja fu costretto in fretta e furia a schierare un 4-3-3 con l'Empoli. Poi si tornò al 3-5-2, con Mannini esterno, poi Maggio e Mannini a sinistra fuori ruolo. Con Datolo poi abbiamo completato il tris: è un giocatore prettamente offensivo, e visto l'investimento, il Napoli sarà obbligato ad adattare alle sue esigenze lo schema della squadra. Mi sovviene un pensiero, un flash di gennaio 2007, quando fu offerto al Napoli Federico Balzaretti: abbiamo appurato nell'ultima gara quanto sarebbe stato utile un giocatore simile, terzino sinistra ma bravo a riciclarsi a destra, poliedrico e ricco di forza. Ma perchè i giocatori vengono acquistati per stravolgere un impianto consolidato, anziché ad hoc per il modulo prestabilito? Certo con un allenatore diverso sarebbe anche stata possibile una squadra poliedrica e camaleontica, ma conoscendo le caratteristiche di Reja non mi sembra una grande idea.
Questo modulo ad esempio in carriera lo ha già usato a Vicenza com Zauli trequartista, ma lo spiegò dal ritiro, non da gennaio. La seconda considerazione invece è sui cambi a disposizione di Reja, per cui vanno rimarcate le davvero modeste alternative a sua disposizione: basta confrontare ad esempio il fatto che a Ballardini mancassero Carrozzieri e Liverani, eppure Ballardini ha potuto schierare ugualmente gente valida, adatta alla serie A. Riprendo allora il discorso fatto nel primo editoriale della stagione: l'ultima campagna acquisti non ha rinforzato il Napoli, perchè mancano una punta, un centrocampista ed un difensore di grande livello per non finire a rischiare un ottavo posto, al momento concreto per i Partenopei. Ebbene alcuni lettori mi scrissero critici quel giorno, ma oggi sarei davvero curioso di capire il parere di quei pochi: chi vuol bene al Napoli, ed io tra questi, non deve sempre dargli ragione, ma dargli anche essere duro per aiutarlo a crescere. Perché Denis e non Floccari, data l'impossibilità (presunta) di arrivare a Milito? Perché Gargano e non Cigarini? Ma soprattutto perché ancora Reja e non un tecnico emergente? Con tutta probabilità si ripartirà con un nuovo allenatore quet'estate, ma avranno sprecato una stagione. Il calcio italiano intanto sta mettendo in mostra nuovi tecnicidavvero iinteressanti, nomi sulla bocca di tutti, ed a riguardo consiglio ai tifosi del Napoli di godersi il secondo tempo di Sampdoria-Siena, o il primo tempo di Fiorentina-Lazio. Marco Giampaolo e Delio Rossi, ma anche Massimiliano Allegri o Antonio Conte, non sarebbero un salto nel vuoto per un club che deve ancora crescere. Sbagliare è umano, ma l'importante è non perseverare, riconoscendo con umiltà i propri errori senza censurare scomode verità. Il settimo posto è ancora alla portata: andranno sfruttate le gare interne con Bologna e Genoa, con i felsinei particolarmente alla portata. Ma ora è tempo di cambiare registro: sperando che Jesus Datolo valga davvero i sacrifici economici e tattici che la società ha fatto per lui...
Fonte Ciro Venerato per Tutto Mercato Web
L'Inter è sempre padrona
Questa giornata perde praticamente d'interesse (o quasi) già il sabato pomeriggio quando la ormai nota "Special-band" fa un sol boccone di un troppo arrendevole Lecce. Però vedere le giocate di Ibrahimovic, Figo e Stankovic è un piacere per l'occhio dell'amante del calcio. Peccato che ci pensi Mourinho a far diventare meno anonima del dovuto questa partita: l'inutile lamentela verso l'arbitro a fine partita poteva essere tranquillamente evitata, soprattutto considerando che lui, da quando è arrivato in Italia, non ha fatto altro che lamentarsi dell'eccessiva attenzione che qui diamo alla moviola. In un ambiente già avvelenato, non è questo atteggiamento che aiuta a stemperare gli animi.
Se Mourinho si sente autorizzato a dire certe cose, Ancelotti dopo la fine della sua partita avrebbe potuto tranquillamente assalire l'arbitro per quanto visto a S.Siro.
Il Milan infastidito dall'eccessivo agonismo della Reggina non è riuscito a portare a casa l'intera posta in palio, si è visto annullare un gol identico a quello convalidato ieri al Siena, e la prossima settimana dovrà fare a meno di Kakà nel derby per un problema ad una caviglia probabilmente dovuto all'agonismo mostrato dai giocatori calabresi durante i 90 minuti. Naturalmente tutto ciò non può essere un alibi, una squadra che ambisce a vincere lo scudetto, partite del genere le deve portare in porto. Invece il Milan non è la prima partita contro squadre di bassa classifica in cui perde punti importanti, quegli 8 punti che domenica lo porteranno alla sfida con l'Inter considerandola l'ultima spiaggia: se il Milan non vince, l'Inter si cuce addosso già mezzo scudetto.
Torna alla vittoria invece la Juve, e decide di farlo nel modo più particolare possibile: in 10 per tutta la partita, soffrendo, con qualche decisione arbitrale discutibile, ma soprattutto grazie ad uno dai piedi di legno criticato da ancora prima che vestisse la maglia della Juventus. Dimenticavamo il nome, Poulsen, l'uomo dello sputo di Totti, letale come un Amauri, roba da non credere.
Zenga si chiederà di quale male si è macchiato per meritarsi una scena da teatro dell'assurdo come questa di Poulsen goleador decisivo, magari quando si ritroverà Terlizzi in allenamento verrà investito da un fascio di luce che gli schiarirà le idee. Ranieri ringrazia, la Juve si fa la seconda puntura di fiducia della settimana dopo la vittoria ai rigori sul Napoli in Coppa Italia, e domenica proverà a sbrigare il proprio compito per arrivare a sedersi comodamente in poltrona e gustarsi il posticipo per capire se veramente è finita l'ora di sognare, o se c'è ancora qualche ora di sonno a disposizione.
Nel frattempo dietro continuano a correre come le matte Roma e Fiorentina.
Totti e compagni, nell'inedita sfida Champions col Genoa, hanno fatto vedere di che pasta sono fatti: come già detto nelle passate settimane, più passa il tempo, più cresce il rammarico per quella che sarebbe dovuta essere la vera realtà di questa squadra senza quelle sciagure di inizio stagione. E' però importante arrivare in questo periodo in forma, l'Arsenal senza Fabregas e probabilmente orfana di Adebayor fa meno paura di quel pomeriggio in cui l'urna decise l'accoppiamento di Champions.
La Fiorentina invece resiste bene alla Lazio perchè ha un portiere che probabilmente è secondo solo a Buffon, e soprattutto un attacco da far invidia a parecchie compagini: Mutu è un misto di fantasia e potere che fa paura, Gilardino è una macchina da reti che non conosce pause.
La lunga volata per l'Europa che conta è appena iniziata, e comunque il Genoa non è da escludere a priori esclusivamente perchè ha meno blasone delle avversarie, o perchè oggi ha perso con la Roma.
Da questa corsa a cui pareva poter partecipare, è uscito invece probabilmente in maniera definitiva il Napoli. Malato di "trasfertite", aveva illuso i suoi tifosi con la prestazione di Torino in Coppa Italia, per poi ricadere a Palermo sotto i colpi di un pazzesco Fabrizio Miccoli.
Poi magari in settimana Reja spiegherà a Blasi che Cavani e Succi non sono giocatori del Napoli, o più semplicemente che lo stesso Blasi non è un giocatore del Palermo.
O succede qualcosa all'ombra del Vesuvio, o a fine anno Lavezzi e Hamsik scappano via.
Dietro è la solita storia, forse avevamo escluso troppo presto Sampdoria e Siena dalla lotta, ma le quattro maggiori indiziate restano le solite. Si accettano sempre scommesse.
Ed ora aspettiamo domenica per capire se è arrivata l'ora di andare tutti sotto la doccia o meno...
Fonte Fabio Mauro Giambò per Fantagazzetta.it