Football clan: gli sporchi giri del calcio
Chi viene da fuori coglie solo il folklore. Gli striscioni che inneggiano ai boss come a Cosenza e a Crotone dove i tifosi scrivono ´Bentornato Franchino´ o ´Mario, la curva è con te´ per celebrare l´uscita da sei anni di carcere duro di un capobastone, Franchino Perna, o per protestare contro l´arresto di un amico, Mario Cimino, finito in manette per le armi trovate nel suo appartamento e in un casolare.
Chi sta dentro, chi di calcio ci vive, invece vede il resto e ha paura. Perché la mafia è nel pallone. E non è più solo una questione di ultras dall´incidente facile. Di curve che, come a Catania, secondo la polizia, sono in mano alla famiglia mafiosa dei Piacenti, o di gruppi di tifosi napoletani come le Teste Matte e i Niss - Niente incontri solo scontri - infiltrati dalla camorra.
Oggi le cosche guardano di nuovo in alto: vogliono controllare il mondo delle scommesse (clandestine e non); tentano di condizionare i risultati delle partite, le decisioni dei giudici sportivi e il valore dei calciatori; puntano agli appalti dei servizi allo stadio; usano il calcio per cementare legami con la politica; sognano il grande colpo sulla scia del clan dei casalesi che con la complicità, secondo l´accusa, di Giorgio Chinaglia nel 2004 voleva rilevare la Lazio per 24 milioni di euro. Mafia, camorra e ´ndrangheta, insomma, pretendono di comandare perché, lo si legge in una lettera tra due mafiosi calabresi sequestrata a Castrovillari, il football ha "un ritorno di immagine incredibile e fatto a livello aziendale porta posti di lavoro e guadagni insperati".
Tra i presidenti c´è chi dice no, come quello del Palermo, Maurizio Zamparini, che prima del blitz del 26 settembre in cui sono finiti in carcere un procuratore di giocatori e un allenatore in affari con la famiglia mafiosa dei Lo Piccolo, ha allontano tecnici e manager troppo chiacchierati. C´è chi pare indifferente come Lillo Foti, il big boss della Reggina che ha ancora al suo fianco, in qualità di vice, Gianni Remo, un imprenditore sotto inchiesta per estorsione, a cui la magistratura in maggio ha sequestrato l´azienda. Remo è cognato del latitante Michele Labate, considerato uno dei capi della cosca ´padrona´ proprio della zona dove sorge lo stadio. E c´è infine chi finisce in manette e viene condannato (in primo grado), come Raffaele Vrenna, ex vicepresidente della Confindustria calabrese, presidente del Crotone calcio (allora serie B ora C1), e legato a molti degli uomini della ´ndrina più importante della sua città, quella dei Vrenna-Corigliano-Bonaventura.
Se tra gli imprenditori, come fa la Confindustria siciliana, si arriva a espellere chi paga il pizzo, nel mondo del calcio si procede in ordine sparso. E i casi di Zamparini e Vrenna stanno lì a dimostrarlo. Quando, a Natale 2007, il cane di Rino Foschi, il direttore sportivo del Palermo, si mette ad annusare ossessivamente uno dei regali che il dirigente aveva messo sotto l´albero e dal pacco salta fuori una testa d´agnello mozzata, Zamparini non ci pensa su due volte e porta Foschi dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. Poi avvia una sorta d´indagine interna e capisce che Cosa Nostra ha messo le mani sul settore giovanile dei rosa-nero. Scopre che "cinque ragazzi erano diventati professionisti su iniziativa di Foschi senza che ne avessero le capacità". A quel punto la manovra è chiara: far diventare professionista un calciatore, magari facendogli giocare qualche scampolo di partita in prima squadra, vuol dire aumentarne il valore. Per la gioia del loro procuratore, un avvocato che assisteva tutti i Lo Piccolo, e della famiglia mafiosa Palermo centro, che attraverso un suo uomo gestiva una scuola calcio attivissima in città.
Se il navigato Zamparini si rivolge al procuratore Grasso per tentare di arginare Cosa Nostra, in tutt´altro modo si comporta a Crotone il suo collega Vrenna. Anche lui ha buoni rapporti con la magistratura e i potenti, solo che delle cosche non è una vittima, ma un presunto complice. Così le sue relazioni le usa per chiedere favori. Da un assessore regionale si fa sponsorizzare per 100 mila euro e in cambio gli garantisce pacchetti di voti; poi si muove per ottenere la riduzione della penalizzazione di tre punti inflitta alla sua squadra nel 2005 per un petardo fatto esplodere dai tifosi durante una partita di B, con il Venezia. Il ricorso è approdato davanti alla Caf (Commissione d´appello federale), ma la segretaria di Giuseppe Chiaravalloti - ex procuratore generale di Reggio Calabria, ex presidente della Regione e in quel momento appena diventato vice-presidente dell´Authority per la privacy - lo rassicura. Chiaravalloti, sostiene la signora, si è già mosso. E per telefono, il 4 aprile, prima della riunione della Caf chiede se Vrenna vuole che "il presidente faccia un´altra chiamata" ai giudici sportivi. Il ricorso per il Crotone va però male. La penalizzazione è confermata: alle sette di sera la segretaria appare incredula. In mattinata, spiega, "il presidente aveva parlato personalmente con due giudici su tre delle commissioni e gli avevano detto (...) di stare tranquillo".
Ma c´è poco da stare tranquilli. Perché le infiltrazioni criminali, a lungo andare, corrono il rischio di far saltare tutto il sistema.
Ne sanno qualcosa a Cosenza, dove ormai da cinque anni si va avanti tra minacce ai vari proprietari (al terzultimo, quattro uomini armati hanno intimato di vendere la squadra), retrocessioni causa fallimento e tante auto bruciate. Finché i rossoblù giocavano in B, alla loro testa c´era un grossista d´arredamento per bar, Paolo Fabiano Pagliuso, buon amico del direttore generale della Juventus ´Lucky´ Luciano Moggi. Nel periodo della sua gestione guardiani e servizio ristoro erano in mano alle cosche. Per l´accusa, che lo ha fatto arrestare nel 2003, Pagliuso era un loro complice e utilizzava la malavita per minacciare soci e giornalisti sportivi. Per il tribunale invece era solo una vittima "passiva e omertosa" e per questo, nonostante le ore e ore d´intercettazioni ambientali che lo riguardavano, lui e tutti gli altri imputati sono stati assolti. In attesa dell´appello resta il fatto che attorno alla sua ex squadra continua ad accadere di tutto. E lo striscione che nel maggio scorso celebrava il ritorno tra i detenuti comuni, dopo sei anni di regime speciale del 41 bis, del boss Franchino Perna (zio di Pierino Perna, il gestore dei servizi allo stadio all´epoca di Pagliuso), testimonia come la partita per il controllo del team sia in pieno svolgimento.
Ma sentite che cosa ha raccontato al pm Eugenio Facciolla, il 23 aprile 2005, un cugino del presidente Pagliuso, il pentito calabrese, Maurizio Giordano: "Nel 2003 ero in carcere a Vibo Valentia assieme ad Alberigo Granata (un pregiudicato, arrestato sia per traffico di cocaina che per l´indagine su Pagliuso) mentre mio cugino stava nella cella di fronte. Tra i due scoppiò una discussione su alcuni assegni. Granata voleva sapere dove Pagliuso li avesse depositati. Fu così che Granata mi spiegò di essere stato solito pagare giocatori e arbitri per scommettere sulle partite. Mi disse che non si aggiustavano solo gli incontri del Cosenza, lo si faceva anche con altre squadre di C1,C2, B, promozione, e qualcuna di A, non di primo piano. I contatti con i giocatori, in genere ex calciatori di grido che scesi di categoria avevano subito una riduzione di stipendio, li teneva lui. Era Granata che aveva il compito di avvicinarli, di organizzare dei festini, anche a base di cocaina, nel corso dei quali li si convinceva a partecipare alla truffa".
Nello stesso interrogatorio il pentito svela inoltre a Facciolla che, per fermare le indagini, era stata posta sulla testa del magistrato una taglia da 100 mila euro. C´è poco da stupirsi. Secondo Sos Impresa, il mercato delle puntate clandestine vale in Italia 2 miliardi e mezzo di euro l´anno. E che sia in mano alla criminalità organizzata è cosa nota. Proprio Sandro Lo Piccolo, il boss palermitano che con i suoi famigliari stava infiltrando il Palermo, al momento dell´arresto aveva con sé una valigetta in cui era contenuta la contabilità del toto nero gestito dalla sua famiglia: fino a 200 mila euro alla settimana solo in città. A Villabate gli uomini della cosca, che per anni ha curato la latitanza di Bernardo Provenzano, gestivano poi una serie di punti Snai. Nelle loro sale, però, accanto alle scommesse legali si raccoglievano pure le puntate fuori legge. È quasi fisiologico, dunque, che i clan tentino la combine. Il terreno del resto è fertile.
"Da noi molti presidenti di squadre sono mafiosi o mettono i loro uomini di fiducia a dirigerle", denuncia, parlando del calcio minore, don Pino De Masi, parroco di Polistena e responsabile dell´associazione Libera nella Piana di Gioia Tauro. Don Pino si chiede se i futuri campioni, spesso più che a scuola di calcio, non vadano a scuola di ´ndrangheta. Per chi viene dal Nord può sembrare una provocazione. Per chi vive qui e ha visto l´11 dell´Isola Capo Rizzuto (promozione) osservare un minuto di silenzio prepartita, dopo l´omicidio a colpi di bazooka del boss Carmelino Arena, è solo un´ovvia constatazione.
Fonte: Lirio Abbate e Peter Gomez per L'Espresso
Mancini sulla panca del Real?
La notizia è di quelle clamorose e, se fosse vera, se ne parlerebbe fino all'anno prossimo almeno. Si parla infatti, di Roberto Mancini come prossimo allenatore del Real Madrid. Si si, avete capito bene!
L'ultimatum del Real Madrid a Schuster ha dato adito ad una ridda di voci sul nome del possibile sostituto del tecnico tedesco. Qualora non dovesse prendere corpo l'ipotesi di una soluzione interna, anche Roberto Mancini potrebbe entrare in corsa per succedere all'ex allenatore del Getafe, risultando quindi tra i papabili per la successione del tecnico tedesco.
Il punto sulla decima giornata di serie A
Maggio 2004: il Milan si laurea campione d´Italia. Novembre 2008: il Milan raggiunge nuovamente la vetta dell´Everest della Serie A. Dopo quasi 4 anni e mezzo di distanza rigustare la "cucina italiana" avrà sortito indubbiamente un piacevole effetto nei palati rossoneri, forse stanchi delle bacchette e del sushi giapponese che, Mondiale per club a parte, avevano probabilmente lasciato uno sgradevole retrogusto. E allora via bacchette di legno e spazio alle tanto amate forchette, o se preferite ai forconi, strumenti inseparabili, secondo l´iconografia classica, per l´operato di Lucifero.
L’ultima vittima sacrificale infilzata ieri dai tridenti dei diavoli di Ancelotti risponde al nome di Napoli; proprio così: la storia riscritta dai partenopei, primi in classifica la settimana scorsa dopo ben 22 anni di astinenza, è stata cancellata da una “diavoleria” che non ti aspetti, frutto della mente malsana del miglior “Belzebù” che, per una manciata di secondi, (probabilmente irritato dai riflessi felini di Gennaro Iezzo su Kakà in occasione del rigore) si è impossessato delle membra di Denis, ancora incredulo per la violentissima zuccata che ha beffato l’estremo difensore azzurro, dopo la punizione dal limite dell’area di un ispirato Ronaldinho, con tanto di coscia in mostra –per inciso va bene che Milano sia rinomata nel mondo per essere la capitale della moda ma, alle gambe del “dentone”, preferiamo indubbiamente quelle delle modelle che sfilano in passerella– Questo è il bello o il brutto del calcio, dipende ovviamente dai punti di vista (chiedere a Galliani che ieri dopo il fischio finale mostrò col suo sorriso una dentatura infinita, degna del miglior squalo bianco).
La settimana scorsa si sprecavano i paragoni tra il celebre trio Ma-Gi-Ca, (Maradona, Giordano e Careca) sempre più accostato al contemporaneo terzetto Lavezzi-Hamsik-Denis che per carità, benissimo ha fatto e sicuramente continuerà a fare di qui al termine della massima serie ma attualmente, i confronti col passato, lasciano il tempo che trovano visto che Ma-Gi-Ca più che un trio era un vero e proprio triumvirato l’unico, a cavallo degli anni 80’-90’ del secolo scorso, in grado di spodestare il governo olandese di Gullit, Rijkaard e Van Basten. Ad onor del vero, prendendo spunto dalle pagine dei più autorevoli quotidiani sportivi nostrani, una cosa è certa: la squadra di Reja più che sconfitta, esce ferita dalla “Scala del calcio” (probabilmente pochi giornalisti conosco il teatro “Massimo” di Palermo: sarà forse per questo che paragonano San Siro al noto teatro milanese? Ma questa è un’altra storia), dove gli azzurri giocano con diligenza e tengono alta la testa non lasciandosi intimorire dalle urla di “ringhio” Gattuso - forse l’unico un po’ impaurito dalla veemenza dialettica del calabrese è stato Hamsik, redarguito a suon di vaffa dal metronomo rossonero Gennaro. – Parolacce e sguardi da “Esorcista” a parte decisiva, nell’economia del match, è stata l’espulsione maturata per doppia ammonizione dell’esterno partenopeo Maggio. Sino ad allora, infatti, la supremazia nella zona nevralgica del campo era in mano ai napoletani che, grazie al tanto amato 3-5-2 “rejaniano”, non lasciavano spazio alle folate offensive del Milan. La vetta per il Napoli è sfumata, è vero, ma non è il caso di fare drammi alla Nino D’Angelo, visto che la prima piazza della classifica dista soltanto 2 punti. Ergo il somarello azzurro non dovrà far altro che caricarsi di duro lavoro e buoni propositi per tentare di riacciuffarla il prima possibile. Ma si sa il ciuchino partenopeo è abituato a soffrire e portare sulle spalle macigni, ma dopo le aule di tribunale e gli inferi della C2 questa sconfitta, più che amara, ha un sapore agrodolce (chiedere al patron De Laurentis comunque soddisfatto ieri a fine gara).
Dando un rapido sguardo alla classifica, dominata in solitudine dal Milan con 22 punti, un gradino nonché un punticino più in basso, troviamo l’Inter che, stanca del monolocale chiamato quarto posto, ha chiesto all’Udinese di dividersi l’affitto dell’attico che da al secondo. Detto fatto: i bianconeri friulani con lo spettacolare 2-2 contro il Genoa, accontentano i capricci di Mourinho che, con affanno e grazie al siluro di Cordoba al 91.mo, gelano una grande Reggina in grado di rimontare il momentaneo 2-0 nerazzurro. Un super Cagliari si sveglia dal tepore iniziale causato dal gol firmato Di Vaio, timido affondo degli emiliani preludio di batoste orbe sarde che affondano l’orgoglio rossoblù con un 5-1 tennistico. Forse la proverbiale pazienza della presidentessa del Bologna Menarini, nei confronti del suo tecnico Arrigoni, potrebbe essere giunta al capolinea. Un’altra sorpresa che non ti aspetti, regalata della 10.ma giornata, è l’impresa targata Giampaolo che da sapiente stratega ha guidato il suo Siena alla vittoria (di misura) nel sentitissimo derby toscano contro la più titolata Fiorentina di Prandelli. Continua il buio pesto per il Toro sconfitto dalla Sampdoria grazie all’euro-gol di Bellucci. La domanda sorge spontanea come mi suggerisce il maestro Lubrano: ma bisogna portare in dote un cognome straniero (non so Ibrahimovic ad esempio), per essere definito “genio” del calcio? Beh consoliamo il povero blucerchiato Claudio plaudendo al suo magnifico gesto e rinfrancando il suo spirito ricordandogli che, realizzazioni così belle, sono degne della miglior Monica che, guarda caso, anche lei si chiama Bellucci…
L’unico match terminato a reti inviolate è stato quello di Bergamo tra Atalanta e Lecce.
Chiudiamo il nostro quadro sulla Serie A parlando del doppio responso avuto da una singola sfida, vale a dire Juventus-Roma, anticipo serale di sabato. La "ex classica" del nostro calcio, vista la balbuziente classifica dei giallorossi (adesso terzultimi), ha infatti decretato la definitiva fine della crisi della “Vecchia Signora” che, testuali parole di Ranieri “adesso vede l’aurora” (ed anche il ritorno in Champions League al Bernabeu contro un infuriato Real Madrid ieri bloccato dal modesto Almeria) e il baratro della retrocessione per gli uomini di Spalletti, che potrebbe dimettersi qualora mercoledì all’Olimpico contro il Chelsea, la fanteria romana dovesse schiantarsi sulle solide palizzate inglesi. Staremo a vedere.
Fonte Simone Alibani per mediagol
Rocchi e l'arte sottile di indirizzare le partite senza che nessuno se ne accorga...
Maledetta sudditanza, ci risiamo. Niente da fare. E’ più forte di loro, cioè degli arbitri. Evidentemente non è proprio possibile fischiare senza avere uno se non due occhi di riguardo per Milan (stavolta in primis) ma anche per Inter e Juve. Le strisce di sempre, insomma.
Ognuno può rinfacciarsi all’infinito questo o l’altro torto subito così da lavarsi la coscienza, ma la realtà è lampante: con le grandi non si può, non si deve, non sta bene. Onore il potente, regola numero uno. Ed il bello è che stavolta non ci sono episodi così clamorosi, o se ci sono si può obiettare per ore, ma è la GESTIONE delle partite che è tornata saldamente in mano alle big ben aldilà delle capacità dei rispettivi campioni di far gol e vincere le partite. La “gestione” degli arbitri è cosa nota e arcinota: consiste nello spezzettare il gioco dei più deboli, distribuire qualche ammonizione al momento giusto, ignorarne altre. E ancora lasciar correre o invertire perfino la rimessa laterale sempre al momento più opportuno. Per le moviole è impossibile documentare tutte queste micro ingiustizie che però alla fine della partita sommate insieme fanno la differenza.
Illuminante è stato il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, a SKY nel dopopartita di San Siro: “Inutile tirare in ballo la sudditanza, andrebbe tirato in ballo tutto il calcio italiano.” ha detto in pratica il patron azzurro. Un’accusa gravissima che dimostra come il potere nel calcio abbia adesso vecchi-nuovi padroni rispetto al … passato. E non basta neanche Collina a spodestare quella straordinaria inimitabile virtù di cui si dota ogni italiano armato quando imbraccia un briciolo di potere: correre in soccorso al vincitore.
Gli arbitri, per non correre rischi e allo scopo di avvantaggiarsi sul lavoro, iniziano subito dallo 0-0 cioè dal primo minuto così che sconfiggere Milan, Inter o Juve è tornata l’impresa di sempre, ovvero dei tempi di Calciopoli.
Fonte calciomercato.com
La strega nel cuore: Benevento - Real Marcianise
Delude il derby campano della decima giornata, valevole per il campionato di Lega Pro. Non si fanno male Benevento e Marcianise e si dividono un punto molto più utile ai casertani che ai beneventani.
Entrambi gli allenatori riservano qualche sorpresa negli undici iniziali.
Papagni presenta una squadra spregiudicata lasciando fuori Cejas e schierando Clemente come esterno di centrocampo.
Fusi, dal suo canto, lascia in panchina l'ottimo Russo per schierare Ciano, giocatore più attento alla fase difensiva.
Le prime occasioni della partita sono del Benevento, con Palermo che per due volte non riesce a centrare la porta. Al 37esimo i sanniti passano in vantaggio con un gran gol di Clemente, abile a finalizzare di testa un cross pennellato di Bueno.
La gioia però dura poco: due minuti dopo, infatti, il Real agguanta il pareggio con Innocenti che ribadisce in rete una palla che danzava pericolosamente nell'area giallorossa.
Ad inizio ripresa il Marcianise ha subito la possibilità di portarsi in vantaggio, con Innocenti che, solo davanti a Gori, spara il pallone nel cielo beneventano.
Papagni, viste le scelte infelici del primo tempo, rivoluziona la squadra con gli ingressi di Cejas per Cinelli e di Tesser per Palermo. Grazie alle geometrie del centrocampista argentino, il Benevento riesce ad avere nelle mani il pallino del gioco, anche se non crea grossi pericoli alla difesa marcianisana.
Al 23esimo viene espulso Ciano, per un fallo da ultimo uomo su Bueno, apparso molto dubbio dalla tribuna. Il Benevento ne approfitta per cercare a tutti i costi la vittoria ma, vuoi per la scarsa vena degli attaccanti vuoi per i cambi di Fusi che mette dentro altri due difensori, il risultato non si sblocca, rimanendo impantanato sull'1 a 1.
PAGELLE
GORI: poco impegnato questa sera, ma quando viene chiamato in causa è sempre pronto e attento. 6
AQUILANTI: non molto positiva la sua prova. Appare timido e intimorito da non si sa cosa. Sbagli anche i passaggi più elementari ed è inesistente nella spinta offensiva e nelle sovrapposizioni. 5,5
COLOMBINI: il buon Francesco fornisce una prova finalmente degna delle sue quotazioni. Perfetto in fase difensiva, dà il giusto apporto alla manovra offensiva della squadra, arrivando al cross più volte. 6,5
FERRARO: un passo indietro rispetto alla prova di Pistoia, ma comunque la sufficienza la raggiunge, anche perché difronte ha un avversario di tutto rispetto. Guida bene la difesa, diventandone sempre più leader. 6,5
IGNOFFO: Romano e Innocenti sono due brutti clienti e mettono spesso in difficoltà il roccioso difensore già del Napoli. Non riesce a prendere le misure alle punte marcianisane, sembrando molto impacciato e impreciso. 5,5
DE LIGUORI: solita partita cuore e polmoni. Recupera una quantità industriale di palloni e fa un pressing asfissiante sui portatori di palla gialloverdi. Dovrebbe essere meno frettoloso e ragionare un pò in più quando ha la palla tra i piedi, ma va bene così6,5
CINELLI: come il suo compagno di reparto. Quando si tratta di recuperare palla, il rosso centrocampista è sempre puntuale. Ma nella costruzione del gioco è praticamente inesistente e ne risente tutta la squadra. 6
PALERMO: cerca di riscattarsi dalle prove opache delle ultime giornate, mettendoci tanto impegno. Non ci riesce anche perchè gioca completamente fuori ruolo, risultando spesso spaesato. 5
CLEMENTE: è in buon momento di forma e il gol realizzato è lì a dimostrarlo. Non si capisce perchè Papagni lo schieri esterno di centrocampo tenendolo di fatto lontano dall'area di rigore, avendo anche compiti di ripiegamento difensivo. 6,5
BUENO: arriva da un infortunio muscolare e questo può essere un alibi per la sua grigia prestazione. A parte l'assist per Clemente, non fa nient'altro risultando perfino superflueo nei movimenti offensivi. Da rivedere. 5
CASTALDO: anche la sua prestazione non è delle più rosee. Ma, a differenza di Bueno, cerca di inventarsi qualcosa e, a dir il vero, una rete la realizza pure, ingiustamente annullata dall'arbitro. 6
CEJAS: quando entra dimostra che di lui, proprio non si può fare a meno. Le sue geometrie sono fondamentali per una squadra che altrimenti è quasi abulica. Fondamentale 6,5
Milan - Napoli: l'eterno ritorno
Domenica il big match tra i rossoneri in salsa brasiliana e il giovane Napoli degli argentini Denis e Lavezzi. Un ritorno al passato e a quegli anni Ottanta dove da una parte Maradona e dall'altra Van Basten si contendevano il primato del pallone.
Milan-Napoli l’eterno ritorno. Dopo tante traversie, i partenopei sono tornati stabilmente in serie A e soprattutto in vetta alla classifica. Il Milan insegue, a un punto di distanza. Milan-Napoli di domenica sera rimanda inevitabilmente ai tempi che furono, gli anni Ottanta, quelli delle magie di Maradona e della scalata al potere (allora calcistico) di Berlusconi.
Partiamo però dal presente, o dal prossimo futuro. Domenica sarà Milan contro Napoli, ma anche Brasile contro Argentina. Da una parte il terzetto carioca con almeno due dei tre (Kakà e Ronaldinho, al momento imprescindibili) sicuri di scendere in campo: alle magie dei due brasiliani, ormai da tempo noti nel panorama del grande calcio, si affida Ancelotti.
Gli argentini del Napoli sono invece Lavezzi e Denis. Giovani e affamati, come giovane è il Napoli. Arrivati in Italia a cercare gloria , soprattutto Denis vola sulle ali della tripletta rifilata alla Reggina. Accanto a loro il terzo asso, si chiama Hamsik, freddo portento di centrocampo dell’Europa mitteleuropea (è slovacco).
C’è stato un tempo in cui Milan-Napoli valeva scudetti e soprattutto feroci rivalità. Da una parte la Milano industriale, dall’altra la Napoli arretrata: era l’inizio della fine della Prima Repubblica e l’ascesa della Lega Nord, il che aggiungeva alla sfida una bella dose di pepe. Maradona e i brasiliani Careca e Alemao da una parte, il terzetto di olandesi Van Basten, Gullit e Rijkaard dall’altra.
La passionalità sudamericana a Napoli, la freddezza nordeuropea a Milano. Per almeno un paio di anni sono state partite da mondovisione. Nel 1988 il Napoli arrivava dal suo primo scudetto, trascinato da Maradona. Il Milan berlusconiano allora stava solo sorgendo. Ma fu un 4-1 a San Siro dei ragazzi di Sacchi ad arrestare la corsa partenopea. Nella gara di ritorno al San Paolo, a due giornate dalla fine, 3-2 per gli ospiti: scudetto a Milano, Napoli ko.
L’anno dopo lo scudetto sarebbe andato all’Inter, con il Milan impegnato a vincere la Coppa dei Campioni. La sfida tra Milan e Napoli però si riaccende nel 1990. I rossoneri umiliano Maradona e compagni nello scontro diretto, ma quella è la stagione del caso Alemao: sgoccioli di campionato, a Bergamo una monetina colpisce il brasiliano, vittoria a tavolino che permette al Napoli di agganciare il Milan capolista.
Polemiche a non finire e soprattutto l’accusa ad Alemao di aver simulato. Il Milan poi cade a Verona, il Napoli accende la freccia di sorpasso e va a vincere il suo secondo scudetto. Ma è l’inizio della fine, perché l’astro di Maradona inizia a oscurarsi. Negli anni successivi il Milan volerà con Capello, il Napoli inizierà a perdersi in un decennio orribile, tra retrocessioni e fallimenti.
Roma: crisi De Rossi - Spalletti?
La Roma ai tempi della Juve è una polveriera. Uova lanciate contro il centro tecnico d'allenamento di Trigoria; contestazione allo stadio da parte della curva con fischi ai giocatori fatti salvi Totti e De Rossi; situazione societaria in bilico con il maggior creditore (Unicredit) che bussa alle porte della Sensi per il rientro dal debito del gruppo Italpetroli e che controlla di fatto la società giallorossa.
Ma non basta. Il clima pesantissimo che si è creato a Trigoria dove la squadra è in ritiro quasi permamente dalla sconfitta di Udine, sta sfaldando il gruppo che sfiorò l'impresa scudetto l'anno scorso. L'ultimo senatore a voltare le spalle al tecnico è De Rossi. A "Capitan Futuro", come lo chiamano a Roma, non sono andate giù diverse cose della gestione Spalletti. Convinto anche dal tecnico toscano a rinnovare il contratto in nome di un "progetto" nonostante le offerte indecenti del Real Madrid, il mediano si è sentito tradito dal flirt che Spalletti intrattenne con Abramovich ad inizio stagione. Da lì gli attriti, acuiti dalla convocazione per l'amichevole di Londra contro il Tottenham del 10 agosto, durante le ricerche del suocero scomparso, poi ritrovato assassinato il 13. Il giocatore chiese di poter restare accanto alla moglie in quel momento drammatico ma fu costretto a partire.
Spalletti, l’uomo che riportò la "normalità" a Roma, che prese una squadra con una media di cinque chili sovrappeso per portarla ai quarti di Champions League, è chiaramente un allenatore in bilico. Dalla sua parte sembra rimasto l'acciaccato capitan Totti, che pure ha avuto degli screzi col tecnico ma solo per la smania di voler rientrare troppo presto da un infortunio che richiedeva cautela. A fianco del capitano ci sono gli altri fedelissimi del tecnico (Pizarro, Perrotta, Tonetto e Cassetti), il resto dello spogliatoio non ha mostrato altrettanta coesione. Soprattutto gli otto brasiliani formano un gruppo difficilmente governabile, che ha già avuto modo di discutere col tecnico. Il portiere Doni gioca con infiltrazioni da mesi, Cicinho è in rotta di collisione dopo l'esclusione (e la lite) che ebbe con Spalletti prima della gara in Supercoppa.
In tutto questo, la società ha appena rinnovato la fiducia all’allenatore, con l'invito a mettere fuori rosa chi rema contro. Ma la mossa rivelerebbe più incapacità di agire che un effettivo tentativo di risolvere i problemi. Il punto è questo: Spalletti sa benissimo di non potersi privare di un giocatore come De Rossi perché avrebbe l'intera città contro. La Sensi si sta cautelando, chiedendo consigli (e disponibilità?) al vecchio Carletto Mazzone che potrebbe arrivare in qualità di traghettatore in qualsiasi momento.
Intanto i giocatori, per nulla abituati ai ritiri, sono nervosi. Molti non hanno gradito i fischi di giovedì sera alla lettura delle formazioni, prima che la partita venisse rinviata per il nubifragio, e quando il pulmann della squadra è stato bloccato da un centinaio dai tifosi che contestavano lo scarso impegno, appena fuori l'Olimpico, sono stati Totti e De Rossi ad uscire, a mostrare la faccia, ad invitare la gente ad avere pazienza. Non a caso gli unici a essere stati risparmiati dalla contestazione.
La situazione è critica, il tecnico domani sera si affiderà alla vecchia guardia e non schiererà nessun nuovo acquisto. La sua avventura potrebbe fermarsi a Torino, dove - mormorano a Roma - ne inizierebbe un'altra il prossimo anno. Ma questa è un’altra storia.
Fonte La Stampa
Inter, ritorno alle armi
"Bisogna ingranare". E' il chiaro invito di Moratti a fare meglio. Un richiamo alla squadra, che, per ora, viene addolcito dalle sucessive parole: "Non è stata certamente la miglior partita disputata dall'Inter in questo avvio di stagione - continua Moratti -, ma siamo solo all'inizio del campionato e abbiamo un nuovo allenatore, nuovi schemi e nuove idee".
La serenità che esce da queste frasi è verosimile. Infatti, il mezzo passo falso dell'Inter non è stato ben digerito. Perchè il pari ha fatto scivolare l'Inter al quarto posto dietro a Napoli, Udinese e Milan. Ed era dall'ultima giornata del campionato 2006 che non accadeva. Erano tre anni che il Milan stava dietro all'Inter. Allo scivolone dal primo al quarto posto si aggiunge il fatto che rispetto alla scorsa stagione l'Inter ha 3 punti meno. E, il risultato di tutto ciò è il confronto con l'Inter di Mancini. Impossibile non farlo. Moratti è restio ai paragoni, ma i dati parlano chiaro.
"Al massimo deve incentivare Mourinho a fare meglio - dice Moratti -, ma ogni campionato ha la sua storia: questo è certamente difficile e noi abbiamo cambiato delle cose. Per questo non posso pretendere di vedere la stessa esperienza di chi la squadra ce l'aveva in mano da tempo". Poi la stoccata finale: "Il potenziale dell'Inter è tale da risolvere ogni cosa positivamente. Però bisogna anche saperlo dimostrare e siamo in attesa che lo dimostrino".
Fonte calciomercato.com
Le probabili formazioni della nona giornata
Le probabili formazioni della nona giornata di campionato.
Partiamo con Torino - Atalanta
Torino (4-3-2-1): Calderoni; Diana, Pratali, Natali, Rubin; Barone, Dzemaili Samuel; Abate, Amoruso; Stellone. A disposizione: Fontana, Pisano, Di Loreto, Zanetti, Rosina, Abbruscato, Bianchi
Atalanta (4-4-1-1): Coppola; Garics, Talamonti, Manfredini, Bellini; Ferreira Pinto, De Ascentis, Guarente, Padoin; Doni; Floccari. A disposizione: Consigli, Capelli, Rivalta, Marconi, Valdes, Bonaventura, Cerci
Roma - Sampdoria
Roma (4-1-4-1): Doni; Cicinho, Juan, Panucci, Tonetto; De Rossi; Pizarro Brighi, Perrotta, Menez; Totti. A disposizione: Artur, Riise, Loria, Filipe, Taddei, Okaka, Montella
Sampdoria (3-5-2): Castellazzi; Lucchini, Accardi, Gastaldello; Stankevicius, Sammarco, Delvecchio, Franceschini, Pieri; Cassano; Bonazzoli. A disposizione: Fiorillo, Bottinelli, Padalino, Ziegler, Dessena, Bonazzoli, Fornaroli
Napoli - Reggina
Napoli (3-5-2): Navarro; Santacroce, Cannavaro, Contini; Maggio, Pazienza, Gargano, Hamsik, Mannini; Denis, Lavezzi. A disposizione: Giannello, Rinaudo, Aronica, Montervino, Vitale, Zalayta, Pià
Reggina (3-5-1-1): Campagnolo; Lanzaro, Valdez, Costa; Vigiani, Barreto, Carmona, Hallfredson, Ceravolo; Di Gennaro; Corradi. A disposizione: Puggioni, Cosenza, Tognozzi, Alvarez, Sestu, Barillà, Rakic
Milan - Siena
Milan (4-3-1-2): Abbiati; Antonini, Bonera, Maldini, Zambrotta; Gattuso, Seedorf, Ambrosini; Kakà; Pato, Inzaghi. A disposizione: Dida, Favalli, Darmian, Emerson, Cardacio, Shevchenko, Borriello
Siena (4-3-1-2): Manitta; Rossettini, Moti, Portanova, Del Grosso; Vergassola, Codrea, Galloppa; Kharja; Ghezzal, Maccarone. A disposizione: Ivanov, Rossi, Jarolim, Zuniga, Jaakkola, Calaiò, Frick
Genoa - Cagliari
Genoa (3-4-3): Rubinho; Papasthopoulos, Ferrari, Bocchetti; Rossi, Vanden Borre, Mesto, Thiago Motta; Sculli, Milito, Gasbarroni. A disposizione: Scarpi, Biava, Brivio, Potenza, Criscito, Roman, Jankovic
Cagliari (4-3-1-2): Marchetti; Pisano, Astori, Bianco, Agostini; Fini, Conti, Parola; Lazzari; Jeda, Acquafresca. A disposizione: Lupatelli, Matheu, Lopez, Burrai, Biondini, Matri, Larrivey
Fiorentina - Inter
Fiorentina (4-3-1-2): Frey; Zauri, Kroldrup, Gamberini, Vargas; Kuzmanovic, Felipe Melo, Montolivo; Santana, Pazzini, Osvaldo. A disposizione: Storari, Comotto, Da Costa,Almiron, Donadel, Jovetic
Inter (4-3-3): Julio Cesar; Maicon, Cordoba, Chivu, Maxwell; Stankovic, Dacourt, Zanetti; Quaresma, Ibrahimovic, Mancini. A disposizione: Toldo, Materazzi, Burdisso, Vieira, Balotelli, Crespo, Obinna
Chievo-Lazio
Chievo (4-3-1-2): Sorrentino; Frey, Mandelli, Yepes, Mantovani; Luciano, Patrascu, Bentivoglio; Marcolini; Pellissier, Esposito. A disposizione: Squizzi, Malagò, Scardina, Pinzi, D´Anna, Bogdani, Iunco
Lazio (4-3-3): Carrizo; Lichtsteiner, Siviglia, Rozehnal, Kolarov; Brocchi, Ledesma, Dabo; Pandev, Zarate, Rocchi. A disposizione: Muslera, Radu, Diakité, De Silvestri, Cinelli, Makinwa, S. Inzaghi
Catania - Udinese
Catania (4-3-1-2): Bizzarri; Sardo, Stovini, Silvestre, Alvarez; Izco, Ledesma, Biagianti; Mascara; Paolucci, Morimoto. A disposizione: Kosicky, Terlizzi, Silvestri, Baiocco, Tedesco, Plasmati, Martinez
Udinese (4-3-3): Handanovic; Motta, Coda, Domizzi, Lukovic; Inler, D´Agostino, Isla; Pepe, Quagliarella, Floro Flores. A disposizione: Koprivec, Sala, Ferronetti, Nef, Pasquale, Obodo, Sanchez
Bologna - Juventus
Bologna (3-5-2): Antonioli; Moras, Castellini, Bombardini; Lavecchia, Mingazzini, Mudingayi, Marchini, Valiani; Di Vaio, Marazzina. A disposizione: Colombo, Zenoni, Terzi, Lanna, Rodriguez, Adailton, Bernacci
Juventus (4-4-2): Manninger; Mellberg, Knezevic, Chiellini, Molinaro; Marchionni, Sissoko, Ekdal, Nedved; Amauri, Iaquinta. A disposizione: Chimenti, Ariaudo, Castiglia, Tiago, F.Rossi, Camoranesi, Giovinco
Quanto è brutta la serie A italiana!
Si gioca male quasi ovunque. E l'Inter, il Milan, la Juve, la Roma sono le prime bandiere di questa regressione evidente. Si segna poco, 16% meno di un anno fa, che non fu un anno particolare. Lo sfizio tecnico è tenere dieci giocatori dietro la linea del pallone. E questo restare molto chiusi, questo correre e ingegnarsi a coprire qualunque spazio, lo si scambia per gioco moderno.
All'atto pratico non c'è mai stato in Italia niente di più vicino al catenaccio.
Siamo vecchi. L'Arsenal che ha giocato mercoledì scorso in Champions aveva 22 anni e mezzo di età media. In Italia molte squadre non hanno nemmeno un under 23 tra i 14 che vanno in campo. Siamo lenti perché ci vogliamo molto esperti. Vediamo la gioventù e la qualità come effetti destabilizzanti. A inizio stagione avevano giocato con piccola regolarità 5 ragazzi tra i 18 e i 19 anni: Pato, Okaka, Jovetic, Sanchez, Balotelli. Oggi nessuno è più titolare, spesso molti vanno in tribuna. La modernità del calcio sta portando alla fine dell'istinto. La preparazione atletica oggi è assolutamente prioritaria. Poi c'è l'evoluzione tattica pignola. Nessun giocatore, nemmeno Kaká, può muoversi secondo piacere. Ha compiti precisi che lo tengono bloccato in una zona di campo e chiuso dentro solo pochi movimenti. Lo 0-0 sta sempre più diventando il risultato esatto.
Il gol è un errore, non più un'impresa. Stiamo cercando dal calcio le conseguenze precise di una macchina. Ma non può essere così. Mourinho ha ragione quando pretende obbedienza e ordine dai suoi giocatori, ma Balotelli-Adriano- Obinna-Cruz non hanno niente in comune, gente così diversa avrà sempre difficoltà a fare la stessa cosa.
Il calcio è gioco di squadra almeno quanto è individualità. D'altra parte, se proviamo a fare il percorso inverso, il risultato diventa semplice: perché dovremmo giocare bene? Non ci sono fuoriclasse, ci sono alcuni grandi giocatori (Ibrahimovic, Kaká, Del Piero, De Rossi e poco altro), sono pochissimi in genere i giocatori che hanno qualità. Inter e Juventus hanno solo mediani dove comincia il gioco. Il Milan è costretto ad averne perché deve coprire l'attacco più anarchico (e di qualità) del campionato. Gioca infatti bene a San Siro quando le squadre aspettano i fantasisti in area. Soffre moltissimo in trasferta (a Genova, a Cagliari, ieri a Bergamo) perché la squadra diventa lunga e sempre in inferiorità numerica quando la palla è agli altri.
Ma almeno il Milan ci prova, è una squadra «normale», cerca il calcio attraverso il calcio. L'Inter in casa ha sempre grandi difficoltà. Non ha spazio, dovrebbe avere qualità. Ha forza, giocatori importanti, di sicuro anche qualità, ma non quella che serve, non quella che noi crediamo abbia. L'abitudine alla diretta televisiva ha abbassato i nostri riferimenti tecnici e alzato quelli del nostro tifo. Diventa spesso molto bello quello che semplicemente è utile alla nostra squadra. Un tiro, uno stop, un passaggio. Ma le grandi cose sono poche. Fateci caso, un dribbling è diventato un evento. Eppure è l'anima del gioco, ma la modernità prevede che il dribbling non esista, si deve andare oltre l'avversario triangolando. Il dribbling è arte, naturalezza, cose impreviste. Sto esagerando, ma non troppo. Chi si diverte alzi la mano. Il «male» è così diffuso che sta diventando parte del calcio, non si distingue più. Come la classifica attuale. Quattro anni fa con 17 punti si sarebbe stati quarti. Meglio l'equilibrio, sa sempre di aria fresca. Ma dietro la mischia raramente c'è qualità.
Fonte Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
Il fair play di facciata: il caso Gilardino
E’ una questione di cultura (anche se in casi come questo occorrerebbe parlare di non cultura e lasciare che la cultura mantenga solo un’accezione di significato positiva). Noi italiani siamo fatti così: ci sarebbe molto da fare, da lavorarci sopra per cambiare l’ordine delle cose. Ma si finisce sempre col non fare nulla. Gli episodi cambiano i protagonisti ma nella sostanza sono sempre gli stessi. Come uguale a se stesso è il dibattito più o meno mediatico che gira intorno ad essi. Favorevoli e contrari: perché se da un lato si accusa dall’altro si deve per forza giustificare. Siamo cerchiobottisti nati.
Quante volte l’avrà detto l’Arrigo, rimarcando la differenza con la cultura (quella sì positiva) di altre nazioni in materia di sport e di calcio in particolare? Oggi, al netto del suo Rolex d’oro e della sua Porsche (così come lo vuole la caricatura satirica cucitagli intorno dal buon Crozza), non possiamo non dargli ragione. Ma con enfasi meno predicatoria e espressione meno bonaria, lo stesso concetto lo aveva espresso Mourinho al termine di Inter - Catania. Solo che lì qualcuno, di cui ora mi sfugge il nome ma che sono certo avesse a che fare con i monasteri del Tibet, aveva subito brandito l’ascia di guerra da spaccare sonoramente sulle gengive del mal capitato tecnico lusitano. Tutto in pieno stile Italians.
Certo che con l’episodio di Gilardino non abbiamo fatto un gran figurone all’estero: specie se per estero si intendono i paesi d’Oltremanica dove il termine Fair Play in verità è stato coniato; terre dove l’aria è così salubre che persino il Paolo Di Canio di turno (senza nulla togliere all’ex calciatore laziale, qui preso semplicemente a prototipo del calciatore professionista italiano) può fermare la palla con le mani in piena area di rigore avversaria se si accorge che il portiere degli altri è a terra fuori dai pali. Lì gesti del genere vengono applauditi e glorificati e l’onda lunga di tale gloria finisce con l’arrivare anche qui, sulla Penisola. Ma già quando ne riparlano i nostri giornali e le nostre tv si ha l’impressione che il fatto abbia perso la purezza iniziale, la verginità britannica, per acquisire già un non so che di strano, originale, bizzarro: ‘Ma guarda un po’ quello che cosa ha fatto!’.
Rimane la lode, ma di fianco le si apre il dibattito: ‘E’ giusto?’. ‘Lo avreste fatto pure voi?’. Ed è qui che l’italiano si perde: perché se dai spazio al dibattito significa che dai avvio alla speculazione filosofica…’Ah sì, ma, però…’. La filosofia costruisce tesi e teorie, alcune pro e altre contro. Siccome siamo amanti del dibattito e il dibattito non si fa se non con il contraddittorio, allora tutte le opinioni hanno diritto ad essere accolte. Ecco, pertanto, che insieme a coloro che tessono le lodi dell’eroe iniziano a comparire, con eguale dignità e diritto di parola, coloro che alimentano la tesi del ‘babbeo colossale’. Lì tutto ritorna di nuovo in discussione e ciò che inizialmente pareva essere un punto fermo, un dato di fatto, si dilegua nell’incertezza e nell’assenza di una soluzione finale, perché a quel punto ciascuno si fa una propria opinione e tutti rimangono delle proprie idee. Finita la magia del Fair Play.
E questo per un episodio avvenuto fuori dal campionato italiano. Non parliamo di episodi del campionato italiano! Palermo – Reggina, il gesto di Brienza. Apriti cielo! Dibattiti, contro-dibattiti, l’associazione degli allenatori che prende posizione, i tifosi della Reggina passati dal nero all’amaranto, quelli del Palermo che difendono ma che sotto sotto magari pensano: ‘Fortuna che non giocava più per noi’ (nessuna vergogna nell’ammetterlo, signori: siamo in Italia e questi sono pensieri legittimi).
E’ vero: il calcio ormai è luogo degli interessi di business più sfrenati e molto dell’aurea purezza dello sport s’è persa con gli anni. Ma qui siamo di fronte a una forma mentis che è più radicata e profonda del senso degli affari. Il silenzio omertoso di Gilardino è l’autodifesa contro il pubblico dileggio, perché il giocatore sa che se metà degli Italiani lo avrebbero applaudito per la confessione, l’altra metà lo avrebbe crocifisso. E se guarda caso in quest’ultima metà ci fosse stata anche la parte di fede viola? Allora so’ problemi.
I media, in tutto questo, aggiungono il loro condimento: il dibattito, come detto. E questo non ha nulla a che vedere col business…almeno con quello strettamente calcistico. Riguarda semmai il business televisivo ed editoriale: l’audience e la vendita dei giornali. A parte i ‘Porta a Porta’ speciali delle sera stessa del posticipo con i pro e i contrari al gesto dell’attaccante biellese, pure ieri, di fronte ad un insindacabile verdetto del giudice sportivo (squalifica di due turni al giocatore per manifesta condotta antisportiva: cosa che in altri paesi spingerebbe a fare una conferenza stampa ad hoc per manifestare pubblicamente le proprie scuse) la testata di turno apriva, in concomitanza alla news, il forum: ‘Siete d’accordo col giudice?’. Capite bene che così non si mette mai il punto alle questioni e non si consente di andare a capo.
Ha detto Prandelli che anche lui come tutti sogna un mondo in cui certe ammissioni di colpa siano la regola e non l’eccezione spesso mancata. Speriamo che il sogno cominci ad avverarsi sin da oggi, magari con la rinuncia della Fiorentina a presentare ricorso per la squalifica di Gilardino.
Fonte Fabio Giacalone per mediagol.it
Il punto sull'ottava giornata di campionato
Una giornata caratterizzata da sorprese, piacevoli conferme e qualche delusione di troppo. Negli anticipi del sabato il Siena impatta sul Catania: risultato 1 a 1 ma gli etnei devono ringraziare "San Bizzarri" autore di parate straordinarie.
Nella serata di sabato va di scena il derby della Mole tra i più brutti di sempre.
Ne esce vincitrice la Juventus grazie ad Amauri ma soprattutto grazie a Calderoni colpevole sul gol del bomber brasiliano. Un derby privo di spettacolo e azioni degne di nota ma animato dai molti falli e dalle continue interruzioni del gioco.
Il Milan riesce a superare un' Atalanta che non ha siguramente sfigurato ma che anzi avrebbe meritato almeno il pareggio.
Continua la rinascita del Cagliari; stavolta a farne le spese è il Chievo di Iachini che deve piegarsi di fronte ad un gran gol di Acquafresca ( tornato sui livelli dello scorso anno ) e al raddoppio di Fini.
Il Genoa riesce a bloccare sullo 0 a 0 un'Inter apparsa piuttosto contratta e forse anche affaticata. I nerazzuri hanno subito per larghi tratti del match l'iniziativa genoana che si è allentata solo in seguito all'espulsione di Juric.
Continua a stupire il Napoli che riesce a superare fuori casa anche la Lazio. Lo fa soprattutto grazie ad un Lavezzi apparso imprendibile e che ha nettamente vinto il confronto a distanza con l'altro argentino Zarate.
La Reggina supera di rigore il Lecce. Entrambi i tiri dagli undici metri portano la firma di Bernardo Corradi.
Ritorna alla vittoria la Sampdoria che supera il Bologna grazie ad i gol di Delvecchio e Bellucci, tornato titolare dopo l'infortunio patito nello scorso finale di stagione.
La Roma non riesce ad uscire dal periodo nero che sta attanagliando la squadra in quest'utlimo periodo. I giallorossi sono stati letteralmente surclassati da un'Udinese capace di raggiungere la vetta della classifica in coabitizione con Inter e Napoli.
Grandi polemiche nel posticipo serale: i palermitani sono furiosi per il gol di mano di Gilardino che ha dato il là alla vittoria della Fiorentina. In effetti la rete è apparsa nettamente irregolare e il Palermo non meritava assolutamente la sconfitta.
La lettera dei tifosi della Sambenedettese a Stefano Borgonovo
Ecco la lettera dei tifosi della Sambenedettese a Stefano Borgonovo, ex calciatore della Fiorentina ma anche ex proprio della Sambenedettese, colpito dalla SLA. Questi veri tifosi di calcio hanno organizzato una colletta per raccogliere fondi per la ricerca per poter finalmente combattere e far luce su questa terribile malattia. La riportiamo integralmente. Un plauso a questi splendidi ragazzi
ciao Stefano,
chi ti scrive è un gruppo di ultras della Sambenedettese.
siamo tutti abbastanza giovani, dai 20 ai 30 anni e quindi quasi nessuno di noi ti ha visto indossare la casacca rossoblu.
tuttavia, sappiamo bene chi ha reso grande la nostra squadra e chi ha onorato, seppur per una sola stagione, san benedetto e la sua gente.
appena saputo della tua grave situazione, ci siamo attivati con l'unica cosa che potevamo fare: una "colletta" in curva mediante la quale abbiamo raccolto una discreta somma a cui abbiamo aggiunto il fondo cassa del nostro gruppo. il tutto è stato inviato alla fondazione che porta il tuo nome.
con questo vogliamo testimoniarti la nostra vicinanza. ogni domenica gridiamo allo stadio il tuo nome e ti invitiamo a non mollare, ma su questo non abbiamo dubbi. ultimamente per gli ultras la situazione si è fatta brutta. stampa e tv ci danno addosso appena possono, dipingendoci come il male del calcio. noi come vedi non siamo mostri, come vogliono farci apparire, ma uomini che, con pregi e difetti, cercano anche di restare uniti nei momenti di difficoltà.
un abbraccio grade "Borgo" a te e alla tua famiglia.
sappi che la curva nord di san benedetto, di ieri e di oggi, sarà sempre al tuo fianco.
TIENI DURO! "i ragazzi della nord"
Zizì Roberts, l'amico di Weah... Amico ma non collega
L'Italia è piena di "amici di", "parenti di", "compari di". Anche di "figli di", ma quello è un altro discorso. Il calcio non fa eccezione: prendiamo Zizì Roberts, il bomber liberiano "amico di Weah", parcheggiato dal Milan al Monza e poi al Ravenna, con infausti risultati. Fosse stato un pincopallino qualsiasi, avrebbe avuto di sicuro meno chances di approdare in rossonero, ma almeno sarebbe stato guardato con occhi scevri da pregiudizi e ironia. Che per uno che già è scarso di suo, non è mai una bella cosa.
Kolubah "Zizi" Roberts nasce a Monrovia, capitale della Liberia, il 13 giugno 1979, da una famiglia di agricoltori. Pare che il suo nome, tramandatogli dal nonno, in dialetto Kru significhi letteralmente "forte come il legno", ma non si hanno riscontri effettivi di questa che, a onor del vero, potrebbe essere tranquillamente un'invenzione giornalistica successiva. Perché Zizì, in effetti, è davvero robusto, e anche piuttosto alto: non a caso fin da ragazzino viene schierato come centravanti di sfondamento nello Junior Professionals, uno dei tanti club di Monrovia. Esordisce nel 1994, a soli 15 anni, contribuendo alla promozione dei suoi in serie A; nel 1996 è tra i protagonisti assoluti della vittoria del campionato, la prima nella storia del team. E' un momento magico per Zizì, che assapora anche la gioia della convocazione in Nazionale; debutta nel match contro il Gambia valido per le qualificazioni al Mondiale di Francia '98 (il 16 giugno 1996), e finisce 4-0 per i Lone Star, la vittoria più ampia che la rappresentativa biancorossa abbia mai riportato nella sua storia. Insomma, questo ragazzo sembra nato per porre la sua firma in calce alle pagine del destino. La fortuna gli dà una mano importante quando, nell'estate del 1995, il suo amico e concittadino illustre George Weah si trasferisce al Milan. Conquistata la fiducia di tifosi e dirigenti a suon di gol, e soprattutto acquistato l'intero club dello Junior Professionals, nell'estate del 1997 il centravanti rossonero si reca da Ariedo Braida con questo consiglio/ordine: acquistare Zizì Roberts. Detto fatto. Il ragazzo - che già aveva fallito un provino con il Castel di Sangro, e di cui la dirigenza del Milan conosce a malapena il nome - sbarca in Lombardia a fine luglio, dopo aver risolto alcuni problemi con il visto italiano. Il tecnico Fabio Capello, intuite le doti del ragazzo ma anche la sua inesperienza per affrontare un campionato come quello nostrano, decide di metterlo alla prova, giusto per sicurezza. Lo convoca subito per la tournée in Brasile dei rossoneri; gli concede tre minuti contro l'Atletico Mineiro e un quarto d'ora contro l'America, "rubando" spazio a Kluivert e Andreas Andersson. Come volevasi dimostrare, l'amico di Weah - diviene questo il suo soprannome, un po' provocatorio - viene bocciato dal tecnico friulano (che pure capeggia una folta schiera di meteore, quell'anno) e girato in prestito per un anno al Monza, la società satellite del Milan per eccellenza, appena risalita in serie B. E' con i brianzoli che si inagura ufficialmente l'esperienza italiana di Zizì.
Il Monza, guidato dall'esperto Gigi Radice, si presenta ai nastri di partenza della stagione 1997/98 intenzionato a puntare alla salvezza, anche striminzita se necessario. Sull'acquisto di Zizì Roberts, che viene sancito il 22 agosto 1997, qualcuno storce il naso: che ci fa un liberiano "raccomandato", seppure presunto campione, in una squadra che dovrebbe servire a valorizzare i giovani talenti italiani? Lo stesso giocatore non è che faccia i salti di gioia: "Sono sorpreso ma contento - spiega imbarazzato in conferenza stampa - di poter giocare nel Monza. Nessuno al Milan mi aveva infatti preventivato una tale soluzione. Però è chiaro che con giocatori del calibro di Kluivert e Weah gli spazi per il sottoscritto sarebbero stati praticamente inesistenti, dunque il passaggio al Monza mi apre nuove prospettive. Poi qui siamo a pochi chilometri da Milano e l'amico George mi ha garantito che, non appena la serie A effettuerà una sosta, farà di tutto per venire a vedermi e a incitarmi". In effetti, il bomber del Milan quando possibile non fa mancare la sua presenza sulle tribune del Brianteo. C'è, ad esempio, il 14 settembre, in occasione del primo gol ufficiale in Italia del diciottenne, contro il Venezia. Destino bizzarro: addormentatosi in camera ("ero salito a prendere la giacca" la sua versione), il ragazzo era stato dimenticato dal pullman che aveva portato il Monza dall'albergo del ritiro al campo. Raggiunti i compagni in auto, si accomoda in panchina e al 26' del secondo tempo entra, segnando poco dopo un bel gol di testa. "Non è la prima volta che accade di perderlo per strada - svela Radice -. Capita che il compagno che deve bussare alla sua porta o lo deve andare a prendere per gli allenamenti si dimentichi". In ogni caso, il gol sembra essere l'inizio di una stagione scintillante, ma non è così. Il liberiano, nelle partite successive, si dimostra ancora acerbo: "Ha scatto, un forte tiro e due piedi buoni, ma a volte in partita si perde - lo recensisce Bolchi, subentrato a Radice ai primi di ottobre -, si lascia andare a qualche ingenuità. Per questo gioca ancora a sprazzi". Fuori dal campo non va molto meglio: Zizì non sa una parola di italiano e ha problemi a comunicare con i compagni, nonostante la presenza del senegalese Joaquim Fernandez e del tecnico del settore giovanile Andrea Icardi, ex giocatore del Milan che avendo militato un anno in Australia se la cava con l'inglese. "Due volte la settimana lo prendo da parte e gli spiego i movimenti provati in allenamento - racconta Icardi -. Poi passiamo agli esercizi col pallone e senza. Zizi ha grandi qualità, quando sarà anche più smaliziato, diventerà un giocatore completo". Qualche gol comunque arriva: contro il Chievo, il 9 novembre, e poi contro la Salernitana il 5 gennaio, e sono quantomeno reti piuttosto pesanti, anche perché il liberiano quasi sempre entra nel finale e finisce per inventarsi qualcosa proprio in 'zona Cesarini'. Del resto Bolchi, dopo il gol messo a segno in trasferta contro l'Ancona (l'11 gennaio), spiega: "Zizì è come una macchina da corsa che deve essere ancora messa a punto, ecco perché lo faccio giocare soltanto per poco tempo e non per tutti i 90 minuti". Infatti debutta dal primo minuto l'8 febbraio contro il Verona, ma non è che cambi molto. A marzo, peraltro, Bolchi viene a sua volta sostituito da Pierluigi Frosio, e l'attaccante ne soffre non poco, tanto che riuscirà a mettere a segno soltanto un'altra rete, l'11 maggio contro il Padova. Alla fine il Monza si salva per il rotto della cuffia, più che altro grazie alle reti di Francioso e alle provvidenziali parate di Abbiati (lui sì, un giocatore da portare a Milanello!). L'infinita pazienza dei dirigenti del Milan, comunque, consente a Roberts di fare un altro giro sulla giostra della B, stavolta con la maglia del Ravenna. L'operazione - prestito gratuito per una stagione - frutta peraltro ai rossoneri un'opzione sul portiere Andrea Roccati. Per fortuna non verrà mai utilizzata.
Sergio Santarini, tecnico del Ravenna, dopo aver tenuto in panchina Roberts nelle prime partite, riceve un'illuminazione: perché non farlo giocare da terzino invece che da attaccante? Del resto è proprio in difesa che il giocatore ha accumulato quasi 30 presenze con la maglia della Nazionale liberiana; dunque vale la pena ripetere l'esperimento. In effetti i risultati si vedono: Zizì innanzitutto si ambienta meglio, e trova nel centrocampista Antonio Casalini, suo compagno di stanza in ritiro, un inaspettato traduttore inglese-italiano. Primo giocatore straniero nella storia del club romagnolo, Roberts - chiuso inizialmente come attaccante - trova subito un buon minutaggio quando viene "riscoperto" terzino. Memorabile, il 13 dicembre 1998, la gara contro il Napoli. Entra a dieci minuti dalla fine con i suoi in vantaggio per 3-2: al novantesimo salta Pesaresi sulla sinistra con uno scatto fulminante, e da trenta metri insacca con una bomba di sinistro. Capolavoro, un gol da Milan. Alla fine saranno 18 le presenze in campionato per il liberiano; a Monza erano state 27, è vero, ma molte di queste soltanto spezzoni di partita. Al Milan, comunque, non basta: la pazienza si esaurisce, ma non prima di aver provato l'ultima carta, la cessione in prestito al Bellinzona, nel campionato svizzero. Dodici partite, esattamente 931 minuti giocati (ah, la precisione elvetica!), ma pochi sprazzi di genialità. Roberts, che a 20 anni non può più permettersi di recitare il ruolo di "eterna promessa", deve cercarsi un'altra squadra. Nel gennaio del 2000, del resto, il suo mentore George Weah lascia il Milan per trasferirsi al Chelsea; i dirigenti rossoneri, finalmente, possono dunque vendere Zizì al primo che passa senza avere rotture di scatole. E ne approfittano subito, qualche giorno dopo la partenza del bomber: ad acquistarne il cartellino è lo Ionikos Nikaias, club del Pireo allenato dall'ucraino Oleg Blokhin. E' probabile che Weah abbia cercato di convincere anche il Chelsea ad acquistarlo, ma in Inghilterra certe cose le sentono a naso…
In Grecia, Roberts ritorna attaccante e con risultati più che discreti: otto gol in 15 partite all'esordio nel campionato ellenico, con un buon quinto posto finale. La stagione successiva il liberiano passa al Panionios, dove addirittura esplode: 13 gol in 30 gare, un'annata decisamente trionfale che gli vale, nell'estate del 2001, il trasferimento all'Olympiakos neo-campione dei Grecia. Il giocatore firma un biennale (con opzione per altri due anni) e il suo cartellino viene valutato circa un milione di dollari. Qui però la sua verve si spegne, anche perché lì davanti Lampros Choutos (sì, proprio lui) ha il posto assicurato, e dunque gli spazi per giocare sono davvero pochi. Quando viene chiamato in causa, tuttavia, Zizì c'è sempre (cinque gol in otto partite, quasi esclusivamente in Champions League), finché a novembre 2002, dopo aver vinto il campionato con il club ateniese, non decide di cambiare aria e di trasferirsi addirittura negli Stati Uniti. Firma infatti per i Colorado Rapids di Denver, che hanno bisogno di una punta di peso da affiancare a Carlos Valderrama e all'altro liberiano Musa Shannon. Negli States iniziano però i guai fisici: arrivato già claudicante nella MLS, Zizì si infortuna ripetutamente al ginocchio, tanto che nel 2004, alla scadenza del contratto (9 gol in 17 partite in due anni in Colorado), è costretto ad operarsi e a concedersi una lunga "pausa di riflessione" in attesa di ristabilirsi fisicamente. Il suo obiettivo è tornare in Nazionale, in vista delle qualificazioni ai Mondiali 2006, ma resterà un sogno destinato a non realizzarsi, nonostante la pressione delle istituzioni locali (che nel 2003 lo avevano eletto addirittura "calciatore liberiano dell'anno"). Alla fine del 2004 si accasa mestamente al Coalisland Athletic, prima divisione dell'Irlanda del Nord, club nel quale - a quanto è possibile desumere dalle pochissime e incomplete fonti a disposizione - milita ancora. Chissà se da Miami, dove vive attualmente, George Weah lo degna ancora di qualche telefonata.
Fonte Germano D'Ambrosio per tuttomercatoweb.com
I dolori del giovane Radoslaw... Matusiak chiude col calcio!
Che non fosse poi così aggraziato nei movimenti, che stesse sulla soglia dell’area di rigore sempre spalle alla porta, immobile senza mai provare a voltarsi e guardare per un attimo in faccia il portiere, che non avesse sopraffine doti di palleggiatore e che anche di testa non costituisse un particolare pericolo per gli avversari… beh penso che queste cose le avessero notate un po’ tutte. Ma di tutto ci saremmo aspettati, tranne scoprire che l’ex centravanti per caso del Palermo Radoslaw Matusiak, lo scorso 29 agosto, alla veneranda età di 26 anni abbandonasse il calcio professionistico. Cioè, praticamente, s’è ritirato a vita privata.
Per chi ha un minimo di dimestichezza con l’inglese, potrà trovare riscontro a questa sconvolgente notizia facendo una semplice ricerca sul web digitando nome e cognome dell’attaccante polacco. La news è riportata persino dal sito ufficiale della Uefa, dove in risalto troverete la frase del signor Matusiak padre, tale Janusz, che curando gli interessi del figlio spiega in maniera netta la decisione dell’ex centravanti della nazionale che fu di Zibi Boniek: “Mio figlio diventerà adesso un uomo d’affari!”.
Sarei tanto curioso di chiedere al signor Janusz quali affari vede lui oggi più redditizi dello sport-business calcistico. Fatti i dovuti raffronti, una frase del genere è paragonabile a quella di un ex attore porno pentito che dichiara: ‘Da oggi mi chiudo in convento’.
Il signor Matusiak padre mi risponderà che certo il figlio non guadagnerà più delle migliaia di euro che riusciva a spillare a squadre come il Palermo, ma almeno otterrà la pace della coscienza e un guadagno in termini di autostima. Eh sì, cari lettori, pare proprio che la clamorosa scelte del giovane prematuramente scaduto Radoslaw sia stata dovuta allo stato di depressione morale nel quale il giocatore era caduto a partire proprio dal suo flop palermitano. I dolori del giovane Radoslaw sono iniziati una volta abbandonato il nido del suo primo club polacco, il GKS Belchatow. A Palermo sappiamo tutti com’è andata (anche se riconosco che qualcuno potrebbe già aver rimosso il fuggente ricordo della sua permanenza siciliana). Avendo riscontrato che nel Palermo di Zamparini e, allora, Foschi né sotto Guidolin, il primo che trovò in panchina essendo stato acquistato nel mercato di riparazione 2007 (che in questi casi specifici diventa ovviamente di distruzione), né tantomeno sotto Colantuono, all’inizio del campionato successivo, sarebbe stato ‘valorizzato’ (ancora oggi non ci sembra che il Palermo Calcio si sia attrezzato per compiere certi miracoli come succursale di Lourdes), Matusiak decise (vivamente consigliato dalla società rosa) di cambiare aria.
Migrazione in Olanda, nelle fila dell’SC Heerenveen (proprio la squadra che ieri sera il Milan ha strapazzato 3-1 in Coppa Uefa: qualcuno, esperto di cose internazionali, si sarà magari chiesto dove fosse Radoslaw!). Tanta e tale era la fama del centravanti polacco che su alcuni forum di tifosi olandesi impazzava la domanda: ‘Ma chi c… è sto Matusiak?”. Lì i più informati rassicuravano gli amici sprovveduti con un breve curriculum del giocatore e sottolineavano la parte che più dava valore al suo pedigree di attaccante di razza: ‘Guardate che sto tizio ha giocato nella serie A italiana e ha pure segnato un gol (all’Ascoli, ndr) con la maglia del Palermo (quale onore, nda) e pensate che lo ha scoperto Rino Foschi (non è vero, questa è una mia personale aggiunta…)’. Ma anche nei Paesi Bassi ben presto capiscono che Matusiak e il calcio sono due mondi paralleli. Così l’attaccante, perso anche il treno della nazionale polacca per Euro 2008 (qualcuno di voi ammetta che attendeva di vedere qualche gara della Polonia per la sola curiosità di riammirarlo in campo), finisce (lo scorso gennaio) in prestito al Wisla Cracovia. E siamo ai giorni nostri. Essendo ancora sotto contratto con l’ Heerenveen (i furbi olandesi lo hanno bloccato per tre anni) il giocatore sarebbe dovuto rientrare alla base per la stagione in corso, ma il tecnico del team olandese Trond Sollied ha subito messo le carte in tavola dichiarando di non voler usufruire dei servigi sportivi del signor Matusiak e invitandolo a trovarsi una nuova sistemazione altrove. Radoslaw, convalescente nella sua città natale di Lodz in Polonia per i postumi di un recente infortunio, ha a questo punto annunciato la fine dei giochi. C’è da credergli fino in fondo? Il padre, sempre lui, afferma che il figlio è sconcertato delle critiche mossegli in questi ultimi tempi, specie dalla stampa specializzata. Qualcosa mi dice che la mossa del ritiro è stata decisa proprio perché la stampa riprendesse ad occuparsi del caso (umano) Matusiak. Tanto è vero che già si inizia a sentire la mancanza del possente centrattacco polacco: il club della sua città ŁKS Łodz, l’unico ad essere rimasto in massima divisione dopo la retrocessione del Widzew, lo vuole assolutamente assoldare. Per il tecnico Marek Chojnaki sarebbe il risolutore di tutti i problemi della squadra (devono essere messi proprio male!). Alla fine, cosa deciderà Radoslaw Matusiak? Riprenderà le scarpette dal chiodo dove le ha momentaneamente appese o ce lo ritroveremo un giorno dietro la porta di casa a fare il piazzista di chissà quale compagnia telefonica polacca? Ai posteri l’ardua sentenza!
Fonte Fabio Giacalone per mediagol.it
Il punto su... Le italiane in Champions
La notizia del giorno è rappresentata sicuramente dall'impresa della Juventus che supera per 2 a 1 il Real Madrid.
Un risultato che lascia sorpresi soprattutto per il momento no che la squadra della stirpe Agnelli attraversava dopo le due sconfitte consecutive in campionato. Ma, spesso e volentieri, i bianconeri ci hanno abituato a risposte rabbiose ai momenti di difficoltà. E così è stato anche martedì sera, trascinati da un Del Piero eccezionale e da un Amauri sontuoso. Ma è tutta la squadra ad aver fatto bene, compresi quei giocatori maggiormente criticati fino a questo momento, vedi Molinaro. Una partita condotta con grinta, concentrazione e condita dai colpi eccezionali dei suoi campioni.
Nella stessa giornata delude la Fiorentina, che esce notevolmente ridimensionata dal match contro il Bayern Monaco di Luca Toni. 3 a 0 il risultato. Un risultato sicuramente bugiardo e troppo severo per i gigliati. che evidenzia però tutte le lacune di una squadra che manca soprattutto dal punto di vista dell'esperienza.
Ciò però non deve portare all'annullamento mediatico di quanto di buono ha fatto fino ad ora la Fiorentina e anche ieri sera le sue occasioni le ha create sbagliando gol clamorosi con Melo, Gilardino e Mutu.
Mercoledì sera è il turno di Inter e Roma. I nerazzurri trovano qualche difficoltà di troppo a superare i ciprioti dell'Anorthosis di Dellas. Il risultato di 1 a 0 la dice lunga su quanto abbia sofferto l'Inter, anche se i ciprioti hanno creato pocchissime azioni offensive. La rete decisiva porta la firma del redivivo Adriano, abile ad insaccare un preciso cross del solito Maicon.
La Roma esce sconfitta dallo Stamford Bridge, contro un Chelsea che non è sembrata affatto una squadra imbattibile. Una partita condotta bene dai capitolini che hanno creato qualche grattacapo ai Bleus. Alla minima disattenzione difensiva, sono stati puniti da Terry che in area, liberissimo, insacca un calcio d'angolo di Lampard, firmando la rete del definitivo uno a zero.
Il punto sulla terza giornata di serie A
Giornata interessante con risultati poco sorprendenti e alcune conferme importanti, come Inter e Juventus.
Il Catania supera un'ottima Atalanta per 1 a 0 con gol di Paolucci: buona la prova degli etnei che si dimostrano sempre di più una squadra cinica e dura da superare. Lecce - Siena termina 1 a 1 con vantaggio senese firmato Ficagna e il pareggio salentino ad opera di Caserta, che segna con un bel colpo di testa. Nel pantano di Marassi, Sampdoria e Chievo si dividono un punto che forse serve più ai clivensi che ai blucerchiati. Il cambio di allenatore ha portato i benefici sperati a Palermo che supera per 2 reti ad 1 un Genoa che ha risentito della mancanza dell'estro e della fantasia di Gasbarroni. L'Udinese perde una buona occasione ( 0 a 0 ) contro un Napoli falcidiato dalle assenze e ridotto in 10 per l'ennesima espulsione di Santacroce. La Fiorentina conquista i primi 3 punti della stagione superando per 1 a 0 un Bologna che non ha demeritato, grazie al solito Gilardino. Il Milan ritorna alla vittoria in campionato e lo al meglio sbarazzondosi per 4 a 1 di una Lazio che all'inizio sembrava in grado di reggere la pressione rossonera ma che alla fine ha mollato troppo facilmente. La Juventus si sbarazza con qualche difficoltà di troppo di un Cagliari coraceo con un sontuoso Amauri, abilissimo sotto porta ad insaccare il definitivo 1 a 0. Infine l'Inter supera per 3 a 1 un Torino apparso, almeno nel primo tempo, troppo rinunciatario ma che forse, nel secondo tempo, avrebbe meritato qualcosa in più per le tante occasioni avute. Ma si sa, non è facile fare gol a questa Inter.
LA STREGA NEL CUORE
Il punto sulla prima giornata di Champions League
LA STREGA NEL CUORE
ITALIA: domani parte l'avventura per il Mondiale 2010
Un avversario modesto per ripartire come ci si era lasciati: con una vittoria. Per l'occasione il ct Lippi punterà su ben 9 campioni del Mondo per una formazione che dovrebbe vedere Buffon tra i pali, Zambrotta e Grosso esterni bassi mentre la coppia centrale sarà composta da Cannavaro e Gamberini. A centrocampo agiranno Camoranesi Pirlo e De Rossi mentre in avanti l'unico dubbio è tra Gilardino e Iaquinta. Il primo però, sembra essere favorito per affiancare il rientrante Luca Toni e Totò Di Natale. Un'Italia alla ricerca dei tre punti, obiettivo che non deve assolutamente sfuggire vista la caratura degli avversari ma anche e soprattutto la voglia di riscatto dei nostri azzurri dopo lo sfortunato Europeo. Da domani saremo tutti pronti a gridare nuovamente il nostro sostegno per i colori azzurri.