Il fair play di facciata: il caso Gilardino

Pubblicato da Massimiliano Mogavero On 12:06

E’ una questione di cultura (anche se in casi come questo occorrerebbe parlare di non cultura e lasciare che la cultura mantenga solo un’accezione di significato positiva). Noi italiani siamo fatti così: ci sarebbe molto da fare, da lavorarci sopra per cambiare l’ordine delle cose. Ma si finisce sempre col non fare nulla. Gli episodi cambiano i protagonisti ma nella sostanza sono sempre gli stessi. Come uguale a se stesso è il dibattito più o meno mediatico che gira intorno ad essi. Favorevoli e contrari: perché se da un lato si accusa dall’altro si deve per forza giustificare. Siamo cerchiobottisti nati.

Quante volte l’avrà detto l’Arrigo, rimarcando la differenza con la cultura (quella sì positiva) di altre nazioni in materia di sport e di calcio in particolare? Oggi, al netto del suo Rolex d’oro e della sua Porsche (così come lo vuole la caricatura satirica cucitagli intorno dal buon Crozza), non possiamo non dargli ragione. Ma con enfasi meno predicatoria e espressione meno bonaria, lo stesso concetto lo aveva espresso Mourinho al termine di Inter - Catania. Solo che lì qualcuno, di cui ora mi sfugge il nome ma che sono certo avesse a che fare con i monasteri del Tibet, aveva subito brandito l’ascia di guerra da spaccare sonoramente sulle gengive del mal capitato tecnico lusitano. Tutto in pieno stile Italians.

Certo che con l’episodio di Gilardino non abbiamo fatto un gran figurone all’estero: specie se per estero si intendono i paesi d’Oltremanica dove il termine Fair Play in verità è stato coniato; terre dove l’aria è così salubre che persino il Paolo Di Canio di turno (senza nulla togliere all’ex calciatore laziale, qui preso semplicemente a prototipo del calciatore professionista italiano) può fermare la palla con le mani in piena area di rigore avversaria se si accorge che il portiere degli altri è a terra fuori dai pali. Lì gesti del genere vengono applauditi e glorificati e l’onda lunga di tale gloria finisce con l’arrivare anche qui, sulla Penisola. Ma già quando ne riparlano i nostri giornali e le nostre tv si ha l’impressione che il fatto abbia perso la purezza iniziale, la verginità britannica, per acquisire già un non so che di strano, originale, bizzarro: ‘Ma guarda un po’ quello che cosa ha fatto!’.

Rimane la lode, ma di fianco le si apre il dibattito: ‘E’ giusto?’. ‘Lo avreste fatto pure voi?’. Ed è qui che l’italiano si perde: perché se dai spazio al dibattito significa che dai avvio alla speculazione filosofica…’Ah sì, ma, però…’. La filosofia costruisce tesi e teorie, alcune pro e altre contro. Siccome siamo amanti del dibattito e il dibattito non si fa se non con il contraddittorio, allora tutte le opinioni hanno diritto ad essere accolte. Ecco, pertanto, che insieme a coloro che tessono le lodi dell’eroe iniziano a comparire, con eguale dignità e diritto di parola, coloro che alimentano la tesi del ‘babbeo colossale’. Lì tutto ritorna di nuovo in discussione e ciò che inizialmente pareva essere un punto fermo, un dato di fatto, si dilegua nell’incertezza e nell’assenza di una soluzione finale, perché a quel punto ciascuno si fa una propria opinione e tutti rimangono delle proprie idee. Finita la magia del Fair Play.

E questo per un episodio avvenuto fuori dal campionato italiano. Non parliamo di episodi del campionato italiano! Palermo – Reggina, il gesto di Brienza. Apriti cielo! Dibattiti, contro-dibattiti, l’associazione degli allenatori che prende posizione, i tifosi della Reggina passati dal nero all’amaranto, quelli del Palermo che difendono ma che sotto sotto magari pensano: ‘Fortuna che non giocava più per noi’ (nessuna vergogna nell’ammetterlo, signori: siamo in Italia e questi sono pensieri legittimi).

E’ vero: il calcio ormai è luogo degli interessi di business più sfrenati e molto dell’aurea purezza dello sport s’è persa con gli anni. Ma qui siamo di fronte a una forma mentis che è più radicata e profonda del senso degli affari. Il silenzio omertoso di Gilardino è l’autodifesa contro il pubblico dileggio, perché il giocatore sa che se metà degli Italiani lo avrebbero applaudito per la confessione, l’altra metà lo avrebbe crocifisso. E se guarda caso in quest’ultima metà ci fosse stata anche la parte di fede viola? Allora so’ problemi.

I media, in tutto questo, aggiungono il loro condimento: il dibattito, come detto. E questo non ha nulla a che vedere col business…almeno con quello strettamente calcistico. Riguarda semmai il business televisivo ed editoriale: l’audience e la vendita dei giornali. A parte i ‘Porta a Porta’ speciali delle sera stessa del posticipo con i pro e i contrari al gesto dell’attaccante biellese, pure ieri, di fronte ad un insindacabile verdetto del giudice sportivo (squalifica di due turni al giocatore per manifesta condotta antisportiva: cosa che in altri paesi spingerebbe a fare una conferenza stampa ad hoc per manifestare pubblicamente le proprie scuse) la testata di turno apriva, in concomitanza alla news, il forum: ‘Siete d’accordo col giudice?’. Capite bene che così non si mette mai il punto alle questioni e non si consente di andare a capo.

Ha detto Prandelli che anche lui come tutti sogna un mondo in cui certe ammissioni di colpa siano la regola e non l’eccezione spesso mancata. Speriamo che il sogno cominci ad avverarsi sin da oggi, magari con la rinuncia della Fiorentina a presentare ricorso per la squalifica di Gilardino.


Fonte Fabio Giacalone per mediagol.it