Juve: no a Conte. Gasperini o Spalletti

Sembra che tutto stia accadendo un po' troppo tardi. Lippi che fa chiarezza con Blanc, tre settimane dopo aver spezzato con lui una focaccia. I giocatori che difendono Ranieri, con Buffon, Legrottaglie e Chiellini che giurano di essere tutti dalla stessa parte. Nel frattempo, però, la Juventus è precipitata in classifica, si è fatta contestare per l'acquisto di Cannavaro, ha scoperto il razzismo dei suoi tifosi, ha perso o pareggiato e mai vinto (l'ultimo successo è del 21 marzo, in casa della Roma, prima che il campionato si fermasse e che Blanc e Lippi si incontrassero), è uscita dalla Coppa Italia, è scivolata dal secondo al terzo posto e s'è lasciata sforacchiare da qualsiasi avversario: soltanto l'Inter ha segnato un solo gol a Buffon, mentre Chievo e Genoa gliene hanno fatti tre e Lazio e Reggina due.

Analizzando fatti e conseguenze, sembra che tutto sia dipeso da quell'incontro clandestino che ha squassato la Juve, scatenato voci e illazioni e, soprattutto, svelato un piano segreto che poi è andato a monte proprio quando è emerso alla superficie. Non a caso, Blanc ha dovuto chiedere scusa ai membri del comitato sportivo: se l'ha fatto, un motivo ci sarà. E se poi magari Lippi avesse spiattellato subito le sue verità, magari avrebbe interrotto la frana quando era soltanto un sassolino. E se i giocatori avessero difeso pubblicamente il loro allenatore prima che la classifica degenerasse, la Juventus non sarebbe stata travolta dalla crisi più acuta delle ultime settimane.
La sensazione è che ci si stia preoccupando di chiudere la stalla a buoi già ampiamente scappati. E il rimedio rischia di essere peggiore del male. Così, mentre Buffon semina dubbi suo futuro ("Vediamo come si muoverà la società, poi deciderò"), a Torino si parla ormai soltanto dell'eredità di Ranieri. Bruciata la pista Lippi, adesso sono in risalita le quotazioni di Gasperini, perché l'idea di Secco (Conte) non convince Elkann, che teme il rischio di affidarsi a un allenatore troppo giovane. Spalletti piace molto alla proprietà e molto meno (anzi, quasi niente) alla dirigenza, che sta tentando di indirizzare gli azionisti verso una figura più aderente alla loro politica: il romanista c'è il sospetto che non lo sia. Nel frattempo, Secco si è preso qualche giorno di vacanza ma dalla settimana prossima tornerà a lavorare per l'acquisto di Diego, un giocatore che, curiosamente, sarebbe difficilmente collocabile sia del 4-4-2 spinto di Conte sia nel 3-4-3 dinamico di Gasperini sia nel 4-4-2 più canonico di Ranieri. A Spalletti, invece, andrebbe a pennello.

The Wall Chelsea


Tra la classe e la forza alla fine vince la tattica. Il tecnico del Chelsea Guus Hiddink voleva lo 0-0 e mette in campo una squadra chiusissima, compatta e quasi impenetrabile anche per i fuoriclasse blaugrana. Che quando riescono a concludere si trovano davanti un Cech in serata strepitosa.
THE WALL - Il Barcellona parte forte, pressando alto e cercando subito la porta con Eto'o (pescato però in fuorigioco). Ma il Chelsea fa capire altrettanto in fretta di essere in grado di ripartire e creare allarme: lo fa per esempio Lampard quando va al tiro dal limite (traiettoria ad effetto fuori di poco). Così la squadra di Guardiola diventa più guardinga, e c'è una lunga fase di affollamento a centrocampo. Certo, l'iniziativa resta in mano ai catalani, che però fanno fatica a trovare varchi contro un avversario molto compatto. Così, da metà tempo, i blaugrana iniziano a provarci dalla distanza, arrivando anche vicino alla porta con Xavi. Ma il muro assemblato dal Chelsea sembra reggere senza particolari affanni. Quando poi il Barça arriva alla conclusione pericolosa, come con Henry poco dopo la mezzora, Cech è sempre reattivo. E nonostante l'intera squadra inglese alberghi costantemente nella propria metà campo, se l'occasione si presenta la sortita in attacco può essere molto pericolosa: succede nel finale di tempo, quando un improvvido retropassaggio di Marquez apre un'autostrada verso la porta a Drogba, sul quale Valdes si supera per due volte con due riflessi spettacolari. Cosi lo 0-0 con cui si va al riposo non fa una grinza.
LA RIPRESA - Si riprende con lo stesso copione del primo tempo: gran nervosismo, Barça che attacca ma Chelsea sempre compatto e pericoloso nei contropiede, con Ballack che sfiora di testa la traversa. Messi non appare in una delle sue serate migliori: sempre raddoppiato, fatica a liberarsi e quando tira non trova la porta. Il Barça comunque affonda di più rispetto al primo tempo, e dà a Cech l'opportunità di esaltarsi soprattutto quando deve chiudere in uscita su un travolgente Eto'o verso la mezzora. Ma i minuti passano a suon di falli e infortuni, fino al puntuale assedio conclusivo del Barça. Assedio che produce probabilmente le due migliori occasioni per i blaugrana: sulla prima Krkic, subentrato inspiegabilmente a un Eto'o ancora tonico, mette fuori di testa da pochi passi; sulla seconda è il solito Cech a salvare su Hleb. Così niente gol fino al fischio finale: se ne riparla a Londra. Dove però mancherà sicuramente Puyol, entrato da diffidato nel secondo tempo e che riesce in breve a farsi ammonire, e probabilmente anche lo sfortunato Marquez, al quale ha ceduto un ginocchio.

Ranieri, colpe zero


Magari ci sbagliamo, ma mentre la bufera-Juventus imperversa – ogni giorno con effetti più rovinosi -, la sensazione è che il ruolo di vittima designata (o capro espiatorio, fate voi) sia già stato assegnato: e che a caricarsi la croce sulle spalle alla fine di tutto sarà lui, Claudio Ranieri, senza nemmeno due ladroni a fianco a tenergli compagnia. Un classico, nel mondo del calcio. Noi però ci permettiamo di far notare quanto tutto questo sia ingiusto. E ingeneroso. E vile.
Non è colpa di Ranieri se i dirigenti della Nuova Juventus hanno venduto Ibrahimovic all'Inter: vero e proprio peccato originale dei novelli Adamo ed Eva del paradiso terrestre juventino, al secolo Cobolli Gigli e Blanc. Scendere in B e rafforzare l'Inter col campione più giovane, forte e sano del proprio organico ha significato creare un gap praticamente incolmabile tra Juventus e Inter: rendere imbattibile il proprio competitor. L'Inter da forte è diventata fortissima e la vita per i suoi avversari si è fatta impossibile: il Milan ha gettato subito la spugna e solo la Roma, nel campionato scorso, ha provato a vincere l'impari braccio di ferro, soccombendo alla fine proprio sotto i colpi di grazia indovinate di chi? Di Ibra. Che in tutta evidenza andava ceduto all'estero, Spagna o Inghilterra non aveva importanza, anche a costo di incassare qualche milione di meno. Per non rendere così impossibile il ritorno bianconero sul palcoscenico della serie A.
Non è colpa di Ranieri (o non è solo colpa sua) se la Juventus non è riuscita a risolvere - e oggi ne è schiacciata - il problema-Del Piero: che è il secondo peccato originale del nuovo management. Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma sono anni che il macigno-Del Piero grava sulla squadra: ed è chiaro a tutti che Del Piero, oggi, rischia di seppellire quel che resta della Juventus. Se nessuno ha il coraggio di dire: proviamo a far finta che Del Piero non ci sia e ripensiamo la squadra – come aveva fatto Capello, che aveva messo in pista una Juve in cui Del Piero era riserva e Ibra e Trezeguet titolari -, la rifondazione della Juventus sarà impossibile. Lo spettacolo cui stiamo assistendo è grottesco: quello di un glorioso club che accompagna il fine-carriera del suo campione più amato accettando tutto di lui, dalla sua inamovibilità alla sua dichiarata pretesa di “giocare fino a 40 anni”, per non parlare del suo essere ingombrante e condizionante in fase di mercato.
Non è colpa di Ranieri se i soldi sono diventati pochi e se la società si è specializzata nell'arte dell'acquisto a parametro zero: che ha portato a Torino giocatori come Salihamidzic, Mellberg, Grygera, Stendardo, Knezevic. Chi più chi meno, giocatori mediocri.
Non è (solo) colpa di Ranieri se i pochi soldi da spendere, la Juventus li ha spesi male. Le somme importanti stanziate per gli acquisti di Tiago, Poulsen e Andrade pesano sulla coscienza del tecnico (Andrade a parte), che evidentemente non ha il fiuto del talent-scout (a proposito: vi raccomandiamo il talent-scout Lippi che all'Inter, lontano da Moggi, portò Domoraud e altri indimenticabili fuoriclasse); ma una dirigenza minimamente ferrata in materia calcistica non avrebbe mai avvallato operazioni di mercato così a capocchia.
Non è colpa di Ranieri se è vero – come pare - che ci fu l'occasione di vendere Buffon per 70 milioni e non se ne fece nulla. Quando Moggi cedette Zidane al Real Madrid per 140 miliardi di lire, si privò del miglior giocatore d'Europa – che infatti portò ai galacticos scudetti e una Champions -, ma ebbe i mezzi per ricostruire la squadra con gli acquisti di Buffon, Nedved e Thuram. La storia del calcio italiano è piena di squadre che hanno vinto scudetti con portieri non propriamente eccelsi: da Abbiati ad Antonioli, da Marchegiani a Pazzagli (per non parlare di Garella). E anche il fatto che il Manchester abbia appena vinto una Champions con Van der Sar (do you remember Van der Sar?), e sia in lizza per vincerne un'altra, dovrebbe insegnare qualcosa, crediamo.
Non è colpa di Ranieri, infine, se nel momento cruciale della stagione l'amministratore delegato della Juventus, Blanc, se ne va a pranzo, a Recco, col c.t. della nazionale Marcello Lippi per programmare le mosse della futura Juventus: destabilizzando il club e delegittimando l'allenatore non solo agli occhi dei giocatori, ma del mondo intero. Per leggerezze di questo genere servirebbe dare le dimissioni: Blanc non ci pensa e vedrete che alla fine a fare le valigie, in un modo o nell'altro, sarà lui, Claudio Ranieri. Come dicono a Napoli: cornuto e mazziato. 
Fonte Paolo Ziliani

Allarme Inter


Dopo una prova inguardabile, l'Inter cade rovinosamente a Napoli e il suo vantaggio sullo scatenato Milan by Inzaghi & Kakà scende da dieci a sette punti. A cinque giornate dalla fine, sono sempre i campioni d'Italia a protendere le mani verso lo scudetto, ma questa sconfitta fa suonare le campane a martello. Lasciati alle spalle quattro pareggi e un insuccesso, Donadoni comincia a raccogliere i frutti del suo lavoro e Dio solo sa quanto lo meriti l'ex ct, trattato a pesci in faccia dalla Federazione.
Rispetto all'Inter ammirata contro la Juve nella trentaduesima di campionato e applaudita davanti alla Samp in Coppa Italia, nonostante l'eliminazione, la squadra fulminata da Zalayeta è apparsa una lontana e sconclusionata parente. Così molle, fiacca e floscia l'avevamo vista solo a Bergamo. Figo e Vieira camminano, tant'è vero che, nella ripresa, Mourinho è stato costretto a rimpiazzare il primo con Mancini e il secondo con Cruz: che bisogno c'era di schierare il portoghese e il francese, in questo momento due pesantissime palle al piede? E ancora: che fine ha fatto Santon?
Ma il vero caso si chiama Ibrahimovic: è clamorosamente scomparso. Abulico, inconcludente, irritante: lo svedese ha mandato un campo il sosia che non sa giocare al calcio. Forse, per Zlatan (e per il procuratore che gli tiene bordone), sarebbe il caso di concentrarsi sull'Inter, sullo scudetto, su Balotelli che corre il triplo di Ibra e si becca insulti e ammonizioni, anzichè pensare a che cosa fare e a dove andare nella prossima stagione. Moratti garantisce all'ex Juve 12 milioni di euro netti all'anno, cioè 1 milione di euro al mese, 32.258 euro al giorno, 1.344 euro all'ora, 22 euro al minuto, anche quando Ibra dorme in campo, com'è accaduto al San Paolo.
Se i nerazzurri sono quelli naufragati a Napoli, il Milan ha il diritto di aggiornare la tabella dei sogni. Occhio alla sindrome del 5 maggio. 
Fonte ilquotidiano.net