Tra le due cose che potevano essere fatte: vendere Kakà al Real Madrid e vendere il Milan a qualche sceicco, Berlusconi ha scelto quella che davvero non si doveva fare (perché impossibile da spiegare). Il Milan che vende Kakà, 27 anni appena compiuti, al solo club europeo con più Champions League in bacheca, e cioè il Real Madrid (9 coppe i galacticos, 7 il Milan, 5 il Liverpool, 4 Bayern e Ajax, 3 Barcellona e Manchester), firma un atto di sottomissione e di resa drammatico e senza condizioni. Anche un bambino capisce che il miglior giocatore del mondo assieme a Messi e Cristiano Ronaldo, al culmine della sua maturità tecnico-atletica, non può essere ceduto pensando che la gente non capisca il significato dell'operazione. Kakà al Real Madrid vuol dire, papale papale, che il Milan smette di essere il Milan: e che sul palcoscenico internazionale – l'unico che conta, come hanno sempre sostenuto Berlusconi, Galliani e i vari allenatori che si sono succeduti in panchina, da Sacchi ad Ancelotti passando per Capello – diventa una Sampdoria o un'Atalanta qualsiasi, con tutto il rispetto per la Sampdoria e l'Atalanta, naturalmente.
Il Milan che vende Kakà al Real Madrid commette un atto contronatura: e non ci sono spiegazioni che tengano. Detto che un campione così si cede solo a 30-31 anni, avrebbe avuto un senso – magari - spiegare ai tifosi che dopo 20 anni di gestione a tavoletta, il Milan cambia politica: vende Kakà per 70 milioni al Real Madrid e comincia a setacciare il mondo alla sistematica ricerca dei Pato diciottenni (o dei Kakà ventenni) comprabili a poco. Un Ajax in grande stile, per capirci. “Con un po' di bravura potremmo continuare a vincere ancora, magari un po' meno, spendendo molto meno”. Avrebbe potuto essere una spiegazione convincente, ragionevole, e invece no. Kakà viene venduto al Real Madrid, rendendo il club spagnolo praticamente imbattibile (lo stesso errore fatto dalla Juve con la cessione di Ibrahimovic all'Inter), e le spiegazioni date in pasto ai tifosi sono: “Gli offrono troppi soldi” (falso) e “Finalmente un altr'anno potremo vedere Ronaldinho a tempo pieno”. Per la cronaca: liberandosi di Ronaldinho il Barcellona, che un anno fa faceva acqua da tutte le parti, è diventato un transatlantico e in una sola stagione ha vinto Champions, scudetto e Coppa del Re. Non c'è addetto ai lavori che non lo pensi: Ronaldinho non è più un giocatore proponibile ad alti livelli e in campo – tolti 3 o 4 sprazzi, 3 o 4 fiammate – con tutta evidenza è una palla al piede di insostenibile pesantezza.
Il Milan che vende Kakà e riparte da Ronaldinho è una barzelletta. Tra l'altro, se la motivazione della cessione è: “Gli offrono troppi soldi”, questa spiegazione apre le porte, in qualsiasi momento, alla cessione di Pato e domani – ammesso che a Milanello rinascano – a quella dei nuovi Rivera o dei nuovi Baresi o dei nuovi Maldini. Come se non bastasse: il tutto avviene in un momento di deriva morale impressionante, molto lontana dalle abitudini di casa-Milan. Ancelotti messo alla porta e sbertucciato come un goffo pasticcione (e non come l'allenatore capace di vincere 2 Champions in 5 anni), Maldini svillaneggiato e abbandonato a se stesso nel giorno dell'addio, lo stesso Kakà spinto ad andarsene cercando di far passare il messaggio che sia stato lui a spingere per andare a Madrid e non il Milan a portarcelo di peso.
Il Milan che vende Kakà al Real Madrid da domani diventa un'altra cosa. Legittimo, naturalmente, ma è un errore di incalcolabile portata che avrà conseguenze inimmaginabili. Forse Berlusconi avrebbe fatto meglio a vendere il club.
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