L'Italia ha trovato un nuovo eroe del calcio, ed è nero. Geniale e indisponente, potente e gratuito. E' Mario Balotelli nato in Ghana e cresciuto nella nebbia del Bresciano, Balotelli che ha preso una botta al piede in allenamento, qui a Helsingborg, ma si sa che la partita decisiva del gruppo A dell'Europeo Under 21 la giocherà. Balotelli saluta gli amici spersi tra la folla durante l'inno svedese e addomestica la palla appena parte la gara. Con Giovinco regala perle sotto il timido sole svedese. Nel giorno della festa del sole, ecco, quando tutti si agghindano la testa bionda con corone di margherite, Mario egocentrico e istintivo gioca al solito da solo. Ma stavolta basta.
E' forte, è travolgente. E ha voglia di stare in campo. C'è sempre una questione di voglie, di urgenze, in un carattere così. Balotelli impegna due uomini alla volta, come ha fatto contro la Serbia. E sul delicato assist con lo scavalco di Sebastian Giovinco - in giornata di grazia, ma nel suo educato stile travolto dall'impeto di Mario senza controllo - lui finta il tiro, rientra, salta l'uomo e a giro manda in vantaggio l'Italia. Non esulta, nella partita che segnerà la svolta del torneo, che apre la porta alle semifinali. Mario il nero allarga le mani come a San Siro fa Ibrahimovic, deve avergli passato fette di arroganza: "Eccomi, qua, non lo sapevate?".
I suoi gesti sbruffoni passano sopra i "buu", ormai lingua internazionale del tifo per colpire chi temi. Balotelli torna a centrocampo a piccoli passi: si divertirà un quarto d'ora ancora. Prende più spinte che colpi. E quando ne sente uno che lo fa cascare a terra, risponde come un mulo: scalcia a vuoto. Brutta cosa, a livello internazionale non te la perdonano. Fuori, espulso: il ct Casiraghi neppure lo saluta, Balotelli allontana da sé Dessena, che prova a consolarlo. Ora i "buu" dello stadio sono assordanti.
E' forte, è travolgente. E ha voglia di stare in campo. C'è sempre una questione di voglie, di urgenze, in un carattere così. Balotelli impegna due uomini alla volta, come ha fatto contro la Serbia. E sul delicato assist con lo scavalco di Sebastian Giovinco - in giornata di grazia, ma nel suo educato stile travolto dall'impeto di Mario senza controllo - lui finta il tiro, rientra, salta l'uomo e a giro manda in vantaggio l'Italia. Non esulta, nella partita che segnerà la svolta del torneo, che apre la porta alle semifinali. Mario il nero allarga le mani come a San Siro fa Ibrahimovic, deve avergli passato fette di arroganza: "Eccomi, qua, non lo sapevate?".
I suoi gesti sbruffoni passano sopra i "buu", ormai lingua internazionale del tifo per colpire chi temi. Balotelli torna a centrocampo a piccoli passi: si divertirà un quarto d'ora ancora. Prende più spinte che colpi. E quando ne sente uno che lo fa cascare a terra, risponde come un mulo: scalcia a vuoto. Brutta cosa, a livello internazionale non te la perdonano. Fuori, espulso: il ct Casiraghi neppure lo saluta, Balotelli allontana da sé Dessena, che prova a consolarlo. Ora i "buu" dello stadio sono assordanti.
Si parla sempre di lui, anche se Giovinco fa un secondo assist che salva gli azzurri e Acquafresca si riprende da uno stato di stanchezza cronico sistemando quell'assist, di testa, nell'angolo. Si parla sempre di lui, che mostra un disperato bisogno di essere al centro dell'attenzione, ultimo a uscire, ultimo nel pullman mentre digita con il pollice numeri sul telefonino. Solo, solitario. Ha già trovato l'ultima via di uscita per l'espulsione e le sue responsabilità. "E' stata una scivolata, un contrasto, non volevo fare male. L'arbitro era già arrabbiato con me per una gamba alta di alcuni minuti prima, ma anche lì ero scivolato. Giusta e non giusta l'espulsione, i compagni hanno fatto una partita super. Bravi loro, meno Mario".
Si allontana, torna negli spogliatoi, esce di nuovo, si piazza all'ingresso dello stadio dove risponde a due telefonate e avvista un volto amico. I ragazzini italiani, alcuni turisti, alcuni emigrati, gli urlano: "Noi ti vogliamo bene". I cuori degli adolescenti d'istinto stanno dalla parte di chi è solo, forte e accerchiato. Mario Balotelli, che quei cuori capisce perché è un bambino di 19 anni, chiede alla security di poter uscire dallo stadio, gli allargano un varco tra le transenne, si butta in mezzo alla folla. Ha avvistato un ragazzo con tratti dell'Est: "Ma tu eri seduto vicino a mio fratello?", gli chiede. Suo fratello Corrado, lo segue spesso. L'altro fratello, Giovanni, è in Abruzzo, volontario. La sorella Cristina in redazione, a Radio 24. Mario il centravanti espulso ora che è per strada e passeggia e parla in un inglese essenziale vede un bambino nero alto come le sue gambe. Gli mette il suo berretto in testa e scatena la gazzarra: in tre si rotolano per strappar selo di mano. Rientra verso il pullman, riconosce Labinot Harbuzi, giocatore svedese amico di Ibrahimovic. Si ferma a parlare, si danno un appuntamento: "Stasera giù in città". Torna nel pullman, senza parlare con i compagni.
Pierluigi Casiraghi, commissario tecnico che non l'ha degnato di uno sguardo quando l'attaccante ha lasciato la squadra in dieci, non sa più che fare: "E' difficile anche spiegargli le cose, se continua così non diventerà un campione". Già. Mario Balotelli è un fuoriclasse che, appena maggiorenne, deve stare dentro un mondo troppo grande - l'abbandono dei genitori naturali, lo stipendio dell'Inter da un milione e 300 mila euro a stagione, le banane tirate addosso, un continuo stato di tensione attorno - . Deve stare dentro un carattere senza difese, quotidianamente sanguinante. Sembra un ragazzo che non può fare a meno di essere al centro dell'attenzione. Sembra chiedere con urgenza, ad ogni partita, ad ogni intervista, di essere amato.
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