Ronaldinho è la palla al piede del Milan

Pubblicato da Massimiliano Mogavero On 11:26

Io l'avevo detto in tempi non sospetti, il giorno dopo l'arrivo di Ronaldinho al Milan. Il brasiliano sarebbe servito ben poco ai rossoneri ( Clicca qui per leggere l'articolo del 16 Luglio ). Ora tutto questo sta venendo a galla!

Che Ronaldinho, attorno ai 25-26 anni, sia stato per un paio di stagioni il più bravo giocatore al mondo e ancora oggi tocchi il pallone come nessuno, non si discute. Ma c'è una cosa che andrebbe aggiunta, per amore di verità, a proposito di questo strambo Milan targato 2008-2009: e cioè che Ronaldinho ne è la palla al piede.

E che i danni che la sua presenza in campo comporta sono esiziali. Per capirci: fa più danni Ronaldinho in campo dal primo minuto che una difesa a quattro Bonera-Senderos-Maldini-Favalli.

Sembra che dirlo sia un sacrilegio: invece bisognerebbe ragionarci sopra e in qualche modo provare a correre ai ripari. Quando il Milan gioca una partita schierando Ronaldinho dal fischio d'inizio (ultimo caso: Werder Brema-Milan di Coppa Uefa), Ancelotti regala un uomo agli avversari e il Milan gioca in 10 contro 11. Dinho oggi è un giocatore atleticamente parlando inesistente. E a parte tre o quattro lampi estemporanei, in cui l'ex Pallone d'Oro è ancora capace di lasciare a bocca aperta la platea con un'apertura geniale, un assist millimetrico, una punizione da manuale, il Milan gioca sempre e irrimediabilmente con un uomo in meno. Facendo una fatica bestiale. E arrivando al 90' con la lingua penzoloni, come un pugile suonato, cotto al punto giusto e sempre sul punto di finire al tappeto al minimo colpo (vedi auto-palo di Zambrotta al 92' dopo il gol di Diego all'84').
Per capirci: se sul campo del Werder, mercoledì, il Milan si fosse presentato con Roberto Baggio (42 anni compiuti da poco) al posto di Ronaldinho (29 anni da compiere fra poco), non sarebbe cambiato niente. E non lo diciamo per gusto di provocazione. Perché Ronaldinho ha camminato per 89 minuti esattamente come avrebbe fatto Baggio con le sua ginocchia a pezzi; e un paio di volte, o forse tre, ha regalato passaggi e aperture a dir poco deliziosi: giocate da fermo sublimi, che pochi al mondo saprebbero imitare. Tra i campioni che hanno vestito la maglia del Milan ce ne vengono in mente due: Baggio, appunto, e Rivera.
Ecco: con tutto il bene che gli sportivi italiani hanno voluto a Roberto Baggio e a Gianni Rivera – tanto per limitarci all'orticello-Milan – la domanda è: sareste stati contenti di vederli in campo a 40-41 anni completamente fermi, tristemente spenti anche se ancora capaci – perché no? – di calciare una punizione all'incrocio dei pali o di mettere la palla sulla testa di un Maldini o di un Maldera arrembanti, a tu per tu con il portiere? La risposta è no. Qualcuno eccepirà: ma Ronaldinho non ha ancora compiuto 29 anni! Vero. Però, per motivi che non siamo in grado di spiegarvi – e che solo l'interessato forse potrebbe – Ronaldinho è oggi un Baggio 42enne: e naturalmente è un peccato, oltre che un mistero, perché alzi la mano chi ha dimenticato i gol segnati da Dinho al Santiago Bernabeu facendosi mezzo campo di corsa e saltando i difensori merengues come birilli. Parliamo di una partita di quattro stagioni fa, non dei favolosi anni Sessanta.
Non entriamo nemmeno nel merito dei danni che Ronaldinho fa a Kakà ogni volta che i due si pestano i piedi in campo: la cosa è sotto gli occhi di tutti, ma qui entriamo nel campo del masochismo puro, roba che Tafazzi al confronto è un dilettante. La verità è che per quanto scomodo sia – lo sappiamo tutti: a volere Dinho è stato Berlusconi -, qualcuno dovrebbe prendere Ronaldinho da parte e raccontargli la storia di un suo connazionale molto famoso in Italia e un po' meno in Brasile, un certo Josè Altafini. Che era vecchio e spremuto, ma aveva classe da vendere; e allora si sedeva in panchina, a 20 minuti dalla fine l'allenatore lo mandava in campo e lui - con un lampo di genio e ad avversari cotti - lasciava sempre il suo il segno.
Che ne dici, vecchio Dinho? Ti va di renderti utile per davvero?

Fonte Paolo Ziliani